In questo articolo di critica alla fotografia virtuale cercheremo di comprendere tutte le potenzialità e i rischi nell’utilizzo della photomode nei videogiochi
Negli ultimi anni abbiamo assistito ad un fenomeno sempre in crescita nei videogiochi. La quantità di titoli in cui possiamo trovare la modalità fotografica aumenta di anno in anno. Non solo in quantità però, perché questa particolare funzione è stata implementata in titoli qualitativamente diversi. Se fino a qualche anno fa potevamo scattare fotografie in-game quasi esclusivamente in giochi racing, adesso è possibile farlo anche in moltissimi altri titoli dai generi più disparati, dagli action in terza persona, agli fps, fino ai gdr.
Data la crescente importanza di questa modalità dovuta all’enorme interesse da parte di tutti i soggetti dell’industria, nelle righe che seguono tenteremo di comprendere il fenomeno tramite una critica ragionata alla fotografia virtuale e una conseguente comparazione con la fotografia tradizionale.
Un fenomeno in crescita
Come detto, nel corso del tempo si sono moltiplicate le persone interessate a questa particolare caratteristica dei videogiochi, dalle singole testate a veri e propri artisti che hanno potuto unire il loro mestiere di fotografi con la loro passione per i videogiochi. In rete infatti, possiamo trovare tantissime gallerie fotografiche con una forte impronta autoriale, così come scatti di normali giocatori che hanno voluto condividere la propria esperienza durante le loro sessioni di gameplay. Il fenomeno della fotografia virtuale necessita dunque di una critica che tenti di individuare tanto le potenzialità espressive e di arricchimento, quanto i rischi e i pericoli che vi si nascondono.
Parallelismi – Critica alla fotografia virtuale
Personalmente ho potuto provare la photomode in vari titoli e scattare moltissime foto. Inutile dire che se non si è un minimo conoscitori dell’ambito fotografico si continuerà a scattare una infinità di immagini più o meno belle che però alla lunga verranno integralmente scartate. Per questo, la prima questione che vorrei emergesse è proprio questa. Ovvero, come la fotografia virtuale condivida moltissimi aspetti con quella tradizionale. Così come in quest’ultima ad esempio, anche per gli screen in-game la disponibilità illimitata nello scattare in qualsiasi momento, data l’assenza di un supporto come la pellicola delle macchine analogiche, porta a valorizzare non l’immagine in sé, quanto il vero e proprio atto di scattare.
Questo ultimo aspetto è stato di fondamentale importanza nel quadro della storia della fotografia. Pensiamo a tutti quei fotografi di guerra del novecento, come Robert Capa, che durante i loro appostamenti in zone pericolose avevano a disposizione solo una manciata di scatti per catturare la “verità” della guerra. Con il digitale non è stato più così. Le foto aumentavano in numero in maniera esponenziale grazie ai supporti di memorizzazione digitali, ma il rischio è stato quello di avere un’infinità di immagini anonime e senza un vero significato, senza una storia da raccontare.
Simulare la macchina fotografica – Critica alla fotografia virtuale
Lo stesso discorso si può tradurre con i videogiochi, dove in qualunque momento è possibile mettere in pausa il gioco e mettersi a catturare il proprio istante preferito. Quello che la photomode ha via via semplificato, o complicato a seconda dei punti di vista, è la sintassi, l’estetica dello scatto. Ovvero la possibilità di gestire e modificare una tale quantità di impostazioni tramite l’aggiunta di slider e sottomenu, da annullare potenzialmente la differenza, almeno a livello tecnico, con le macchine fotografiche digitali reali.
Grazie a questo è possibile, in qualsiasi gioco che lo permetta, aggiustare saturazione, luminosità, contrasto e altri mille parametri e catturare delle immagini esteticamente impeccabili e suggestive, pensiamo a titoli quali Ghost of Tsushima o ancora le ultime produzioni Naughty Dog.
La Camera Chiara – Critica alla fotografia virtuale
Una delle critiche attribuibili a questa “perfezione”, come già anticipato, è il rischio dell’assenza di un vero punctum. Nel celebre saggio di Roland Barthes del 1980, La Camera Chiara, l’autore identifica, prima da un punto di vista ontologico e poi da un punto di vista più intimo e personale, due elementi di analisi che emergono quando ci poniamo di fronte a una fotografia: lo studium e il punctum. Se lo studium è tutto ciò che la foto rappresenta, ovvero il suo livello di realtà, il suo mero contenuto, il punctum è la verità che emerge da quella rappresentazione e colpisce lo spettatore a livello emotivo.
In qualche modo il punctum è il significato profondo che colpisce il soggetto che guarda l’immagine. Tornando ai nostri videogiochi, spesso il punctum si confonde con lo studium; la volontà di catturare il nostro personaggio preferito in una posa assurda o con un bello sfondo alle spalle, come ad esempio negli ultimi capitoli di Marvel’s Spider-Man, si traduce nella maggior parte dei casi in un mero esercizio di stile per il giocatore più pigro. In Marvel’s Spider-Man, per ottenere una foto suggestiva non serve poi molto, basta mettere in pausa il gioco quando il personaggio sta volteggiando in mezzo ai palazzi e scattare.
Un piccolo aiuto – Critica alla fotografia virtuale
Fortunatamente però esistono altri giocatori con l’occhio più allenato, che desiderano sfruttare la modalità fotografica per ricavarne degli scatti che abbiano rilevanza, che raccontino una storia, che catturino l’essenza di un momento, di un personaggio o del gioco stesso. Tuttavia, è necessario precisare che non si può giudicare in modo netto, dicotomico, la validità di uno scatto. Esistono solo foto più riuscite di altre. Inoltre, i videogiochi, a differenza di quanto accade nel mondo reale, danno una grossa mano quando ci si approccia alla fotografia digitale.
Un po’ tutti abbiamo notato che moltissimi degli scatti catturati in game sono comunque buoni (almeno nella composizione), a prescindere dall’esperienza del singolo giocatore con il mezzo fotografico. I videogiochi infatti, rappresentano un mondo virtuale già completo e perfetto. I motori di gioco di oggi sono sempre più realistici e dettagliati rispetto a quelli di solo qualche anno fa, basti pensare a cosa è in grado di restituire visivamente il nuovo Unreal Engine 5, come nell’ultima tech demo dedicata al mondo di Matrix.
Fissare l’eternità in un istante – Critica alla fotografia virtuale
Il discorso è più ampio a ben pensarci. Perché non si tratta solo della qualità delle texture, del sistema di illuminazione e del rendering, ma anche della regia e più in generale della direzione artistica che sta dietro all’esperienza di gameplay. Quante volte ci capita, camminando con un personaggio, di svoltare l’angolo e trovare un paesaggio talmente bello da spingerci a catturarlo con uno screen? Questo momento catartico sembrerebbe dovuto al caso o al massimo al buon occhio del giocatore, tuttavia non è così.
Il magico incontro con il nostro scatto perfetto è in realtà frutto di un meticoloso lavoro di regia, level design e costruzione della progressione ludica fatte a monte dagli art director. La verità è quindi una sola, e i giocatori fotograficamente più allenati lo sanno da tempo. Ovvero che occorre armarsi di pazienza, provare e riprovare per trovare finalmente lo scatto perfetto, come era solito fare d’altronde uno dei più grandi fotografi di tutti i tempi, Henri Cartier-Bresson.
Verità fotografica – Critica alla fotografia virtuale
Il discorso intorno alla “verità” della fotografia ha interessato i teorici per tutto il secolo scorso. Se taluni ritenevano la fotografia portatrice di una verità di tipo documentaristico, altri hanno ribattuto che la fotografia non potesse che contenere di per sé un certo grado di finzione, di artificiosità. Dalla scelta dell’inquadratura, alla scelta del soggetto fino alla post produzione, la fotografia non può far altro che mentire, essendo il frutto di una serie di premesse autoriali, e quindi soggettive. Come tradurre dunque queste considerazioni nell’ambito videoludico?
Il problema teorico è complesso, perché i videogiochi costituiscono un mondo virtuale, artificiale in ogni linea di codice. Come si fa quindi a catturare la verità di una realtà finta? la risposta sta nel fatto che i videogiochi rappresentano certamente un mondo fittizio, ma non per questo meno reale del nostro. La loro realtà si colloca semplicemente su un diverso piano ontologico. Tolto il velo di Maya, ciò che resta della fotografia digitale è dunque la sua forza nell’essere uno degli strumenti con i quali il videogioco stesso testimonia la propria ricchezza espressiva come medium.
Laboratorio creativo – Critica alla fotografia virtuale
All’interno dei mondi virtuali, a differenza della realtà ordinaria, tutto è sotto il controllo delle nostre mani. In questo senso è un po’ come trovarsi dentro degli ambienti controllati, dei laboratori artistici in cui si manipola la materia ludica a proprio piacimento per trovare nuovi significati.
All’interno di un gioco si può, in questo senso, utilizzare la photomode con diversi approcci e diverse intenzionalità. Ad esempio, in un gioco di guida come Forza Horizon 5, se prendiamo l’automobile come soggetto della fotografia, possiamo trovare molteplici chiavi interpretative.
Un momento di riflessione
Tra una gara e l’altra, possiamo catturare l’auto in corsa mettendo in evidenza l’elemento della velocità con le linee cinetiche o scattare una più statica “still” (da Still Life, corrente fotografica che imita la natura morta del mondo pittorico) della vettura in mezzo alla natura lussureggiante messicana. Oppure ancora immortalare un bug particolarmente divertente e condividerlo sui social. Come abbiamo potuto vedere in questo articolo di critica alla fotografia virtuale, essa è in grado di farci scoprire nuovi orizzonti, di guardare i videogiochi da un altro punto di vista.
Ci ha mostrato infatti, come in un medium in cui la fruizione principale è legata alla dinamicità del gameplay è possibile ricavare uno spazio interiore più calmo, una sorta di pausa riflessiva in cui dare sfogo alla creatività e diventare autori a nostra volta.
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