Presentato alla 79esima edizione della Mostra del cinema di Venezia, The Whale segna l’incredibile rinascita di Brendan Fraser con un film elegante e sensibile: ecco la nostra recensione
TITOLO ORIGINALE: The Whale. GENERE: Drammatico. NAZIONE: Stati Uniti d’America. REGIA: Darren Aronofsky. CAST: Brendan Fraser, Sadie Sink, Samantha Morton, Ty Simpkins, Hong Chau, Huck Milner, Sathya Sridharan. DURATA: 117 minuti. DISTRIBUTORE: I Wonder Pictures, Unipol Biografilm Collection. PRODUTTORE: A24, Protozoa Pictures. USCITA AL CINEMA: 23/02/2023.
In questa recensione vi diremo la nostra su The Whale, film che ha fatto molto parlare di sé per lo più a causa del ritorno sul grande schermo di Brendan Fraser, diretto da Darren Aronofsky. Abbiamo infatti avuto la possibilità di vederlo in anteprima rispetto all’uscita nei cinema prevista per il prossimo 23 febbraio grazie a I Wonder Pictures e Unipol Biografilm Collection. E non possiamo che associarci all’ampio pubblico che ha osannato la rinascita professionale di Brendan Fraser, capace con un’interpretazione da Oscar (vedremo i risultati, intanto è sicura la nomination) di farci avvicinare al dramma interiore di un personaggio spaventato e solo.
La trama e il trailer | Recensione The Whale
The Whale, diretto da Darren Aronofsky, racconta la storia di Charlie (Brendan Fraser), un professore di lettere inglese che soffre di gravissima obesità e vive recluso in casa. L’uomo insegna in corsi universitari di scrittura online, tenendo sempre la webcam spenta. Charlie ha perso ogni rapporto con il mondo esterno, compreso il legame con la figlia adolescente, Ellie (Sadie Sink), che no vede da anni. L’unica persona che Charlie frequenta è Liz (Hong Chau), l’infermiera che lo aiuta con le medicazioni e le cure. Dopo una diagnosi che attesta che a Charlie resta poco tempo da vivere, l’uomo decide di riallacciare i rapporti con la figlia, in un tentativo disperato di riscatto di una vita che si è reso conto aver perso. Nel quadro entra anche Thomas (Ty Simpkins), un giovane membro della New Life Church che tenta di evangelizzarlo. La presenza di nuove persone – e soprattutto di Ellie – nella vita di Charlie porterà l’uomo a scavare nei propri ricordi e nei traumi che lo hanno portato fino a quel punto.
The Whale è un film profondo ma insidioso, parlando di colpa, di rimpianti, di solitudine e di abbandono. Tutti temi cari al cinema di Darren Aronofsky, che nel corso della sua carriera ha provato a inseguirli, a esplorarli sempre sul filo tra reale riflessione e ossessione. Nel farlo spesso si spinge all’estremo, sfociando spesso e volentieri nella pornografia della miseria. Allo stesso tempo, è altrettanto vero che il regista, nell’inseguire le sue storie al limite, spesso si innamora dei suoi personaggi e degli interpreti che li portano in scena, trovando equilibri spesso inaspettati. È stato il caso di The Wrestler, con Mickey Rourke, che nel 2008 gli valse il Leone d’Oro a Venezia e due Golden Globe, e che ha molti paralleli in comune con The Whale, presentato sempre a Venezia quest’anno. Anche al centro del nuovo film di Aronofsky c’è un attore, Brendan Fraser, che ritorna come protagonista dopo un periodo complesso della sua vita e della sua carriera, e un personaggio il cui corpo diventa centro del discorso, metafora dell’esistenza e luogo di scontro.
Colmare il dolore della perdita | Recensione The Whale
The Whale, girato interamente durante la pandemia, sintetizza quindi molto bene il cinema di Aronofsky. Il film è un punto di arrivo di una riflessione sulla sofferenza e le sue manifestazioni. La sceneggiatura, scritta con Samuel D. Hunter, autore dell’opera teatrale omonima da cui è tratto il film, aspettava solamente un protagonista e le condizioni ideali per realizzarlo. Questo peregrinare, rimandare e ricercare hanno permesso al film di arrivare a compimento in maniera naturale e di trovare un equilibrio non scontato: proprio la premessa di un attore afflitto per moltissimi anni da problemi fisici e sceso nel baratro professionale avrebbero potuto calamitare l’attenzione facendo scadere la pellicola nel pietismo e nella retorica spicciola. The Whale invece, pur macchiandosi di alcune semplificazioni (che ne hanno bloccato, probabilmente, la corsa al titolo di migliore pellicola agli Academy), non scende mai sotto quel livello di attenzione che ne farebbe diventare una macchietta. Alla fine della proiezione è così normale rimanere paralizzati per qualche istante, in parte nel tentativo di capire meglio il contenuto del film, in parte in forma di rispettoso commiato per una storia che è incredibilmente sincera e umanamente vicina.
Charlie è un uomo che si nutre del ricordo, alimentando la malinconia ingurgitando cibo. La mancanza del compagno, della figlia abbandonata e dei barlumi di una vita che è irrecuperabile, sono vuoti che devono essere colmati. Pizza, panini, dolci, ogni alimento è un mattone con cui costruire la propria fortezza corporea, un fortino che stritola l’anima, dove la soddisfazione effimera di un momento di felicità appena assaporato, lascia ben presto posto all’amaro della solitudine. Charlie si chiede spesso se sia orripilante agli occhi degli altri, eppure questa non è la principale reazione che vedere il suo corpo subumano fa venire: il protagonista è un uomo reale, quasi tangibile, che al tempo stesso fa rabbia e tenerezza, ma nel quale possiamo in definitiva rispecchiarci. Buona parte del merito va naturalmente a Brendan Fraser che non pare mai limitato, o nascosto, dall’involucro prostetico di un fisico imprigionato da strati di grasso, ma anzi, si dimostra capace di atterrire e colpire il proprio spettatore puntando sulla forza del proprio sguardo. I suoi occhi si fanno portali di emozioni e non detti, sentimenti capaci di farsi largo nonostante gli strati di grasso. Perché in The Whale solo il corpo è bloccato; l’anima adesso vola, si alza leggera, nell’attesa di liberarsi per sempre.
Claustrofobico poema | Recensione The Whale
In ogni caso la metafora della balena, animale elegante, maestoso, ma anche sinonimo di paura, inflitta e subita. Impostosi nell’immaginario collettivo come metafora di terrore interiore, obiettivo da distruggere e simbolo di lontananza, siccome idealizzata nel libro Moby Dick, rappresenta il fil rouge della proiezione. Quel senso di frustrazione e dolce incomprensione che ammanta l’immagine della balena bianca, vittima e allo stesso tempo carnefice, si mostra nelle ristrettezze di un corpo non collaborativo e di quattro mura. Come il suo protagonista anche lo spettatore entra in casa di Charlie, per lì rimanerci nell’arco di una settimana. Fuori piove, imperversa un temporale continuo, il cui grigiore e aspetto uggioso, si reduplica e continua nelle stanze di una casa ambigua: da un lato le stanze mantenute a mo’ di altare vissute prima della tragedia che ha portato all’esito infausto, dall’altro quelle buie vissute dal protagonista ormai recluso.
C’è un senso di claustrofobia che circonda Charlie, un senso di respiro affannoso, lento, stanco che si mostra in un soffocante 4:3. La regia fluida, che osserva, ma senza mai esagerare, i volti dei propri personaggi, scrutandone e rivelando un’interiorità celata e repressa è un punto in più per questo film, senza dubbio eccellente.
Conclusioni
La forza di The Whale, come abbiamo provato a spiegare in questa recensione, è data dai suoi protagonisti, pochi ma buoni. La storia intima tocca l’anima dello spettatore, che può come anche un uomo costretto all’immobilità possa trovare una strada per dare un senso alla propria vita. L’uso sapiente della cinepresa e la solida sceneggiatura hanno un potere salvifico. Consapevole di essere l’autore del romanzo della propria disfatta, Charlie intende anche farsi promotore della propria redenzione, in un ultimo balzo verso un frammento di vita, per ingoiare, in un sol boccone, l’ultima fetta di felicità.
Punti a favore
- Non sfocia mai nel pietismo
- Mantiene una dimensione intima ma non ristretta
Punti a sfavore
- Di fondo la storia rimane bidimensionale
- Alcune scelte stilistiche sono semplificate
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