Il morbo di Parkinson è una patologia neurodegenerativa che ad oggi non è possibile curare, ma solo rallentare. Una ricerca italiana ha però da poco dimostrato come sia possibile riparare i danni della malattia grazie a sostanze prodotte naturalmente dal nostro corpo
Il morbo di Parkinson è una malattia che si trova spesso negli anziani, tipicamente dopo i 50 anni di vita e si manifesta nelle fasi iniziali con tremori, rigidità e lentezza nei movimenti. Nella fasi più avanzate della patologia possono insorgere anche problemi cognitivi e comportamentali come la demenza. La diagnosi precoce tramite neuroimaging e indagine sui sintomi è fondamentale per permettere alle terapie palliative di agire in modo efficacie rallentando il decorso della malattia. La ricerca è fondamentale in questo senso per migliorare la qualità della vita di queste persone e permettere loro di vivere una vita normale il più a lungo possibile.
Marcatori della patologia visibili tramite neuroimaging
Morbo di Parkinson: la malattia
La cause prime della malattia sono ignote. I sintomi sembrano essere legati ad una diminuzione della produzione di dopamina causata dalla morte di alcune cellule cerebrali. Il problema principale su cui si indaga è un anomalo accumulo della proteina alfa-sinucleina che si accumula all’interno dei neuroni creando delle inclusioni – dette corpi di Lewy. Le inclusioni con il progredire del morbo di Parkinson si estendono in diverse zone del cervello – substantia nigra, nelle aree del mesencefalo e prosencefalo basale e, nell’ultima fase, nella neocorteccia – che spiegano i diversi sintomi quali problemi motori, dell’apprendimento e della cognizione. Nel corso degli anni è stata osservata una correlazione tra l’insorgenza della malattia e l’esposizione a prodotti chimici, solventi e prodotti fitosanitari.
Un modello molto famoso in campo medico prova a spiegare gli effetti del morbo di Parkinson dal punto di vista motorio: il circuito motorio del cervello è visto come un sistema costantemente inibito; quando si decide di compiere una determinata azione l’inibizione viene ridotta tramite la produzione di dopamina. Ecco che con la diminuzione di produzione della dopamina si manifestano le difficoltà a portare a termine i movimenti, uno dei sintomi chiave della malattia. Altri studi hanno associato al morbo di Parkinson e alla morte delle cellule degli stress ossidativi e stati infiammatori causati dall’accumulo di proteine e altre sostanze. Tuttavia lo studio di questo aspetto è ancora in fase embrionale. Oltre alla difficoltà nei movimenti infatti si possono manifestare anche altri sintomi neuropsichiatrici come come deficit cognitivo, difficoltà nella pianificazione delle azioni e difficoltà nell’avvio di azioni appropriate al contesto. Purtroppo questo può portare ad un notevole calo della qualità della vita del paziente e ad uno sforzo non indifferente da parte dei familiari per prendersi cura del malato.
La dinamica della dopamina nel morbo di Parkinson
La cura
Purtroppo ad oggi non esiste una cura efficacie e definitiva per il morbo di Parkinson. Le terapie farmacologiche e chirurgiche hanno solamente la funzione di alleviare i sintomi. In particolare vengono utilizzati comunemente dei farmaci per sopperire alla carenza di dopamina. La terapia farmacologica deve essere tenuta sotto controllo da un neurologo perché può variare a seconda della fase della malattia e provocare anche effetti indesiderati. L’attività fisica regolare e la neuroriabilitazione sono metodologie molto efficaci nella trattazione della malattia perché stimolano naturalmente la produzione della dopamina. Anche l’assunzione regolare di caffeina è stato dimostrato avere un impatto benefico sulla prevenzione e il trattamento della malattia. Ora un nuovo studio condotto su particolare molecole prodotte dal nostro organismo potrebbe portare una boccata di aria fresca.
Ad oggi le cure della malattia mirano solamente ad alleviare i sintomi
Morbo di Parkinson: terapia tramite “Resolvine”
Uno studio pubblicato su Nature Communications dai ricercatori dell’Università di Roma “Tor Vergata”, Fondazione Santa Lucia IRCCS e Università Campus Bio-Medico di Roma ha rilevato che nei malati di morbo di Parkinson era presente un basso livello di Resolvina D1, una molecola prodotta naturalmente dal nostro corpo per mantenere in omeostasi le cellule dell’organismo. Hanno così ricreato in laboratorio un modello sperimentale per riequilibrare il livello della molecole in cavie animali. I risultati sono stati sorprendenti: il team è riuscito a rallentare il processo neurodegenerativo alla base della malattia. Nicola Mercuri, Ordinario di Neurologia dell’Università di Roma Tor Vergata, Responsabile della Linea di Ricerca di Neuroscienze Sperimentali dell’IRCCS Santa Lucia e coordinatore dello studio , spiega:
Lo studio ci ha permesso di dimostrare che la proteina alfa sinucleina, nota per il ruolo chiave nello sviluppo della malattia di Parkinson, causa molto precocemente un cattivo funzionamento dei neuroni dopaminergici. Le conseguenze sono disturbi motori e cognitivi, ma anche un’aumentata neuroinfiammazione associata a ridotti livelli di Resolvina D1 che abbiamo osservato nel sangue e nel liquor cefalorachidiano di pazienti affetti da Parkinson, in cura presso il Policlinico di Tor Vergata.
In marrone è evidenziato un accumulo proteico o corpo di Lewy (fonte: Wikipedia)
Grazie alla geniale osservazione dello stato infiammatorio dovuto alla carenza di Resolvina D1, i ricercatori hanno dedotto che per eliminare il problema sarebbe stato sufficienti somministrare la molecola alle cavie. Dopo un paio di mesi lo stato infiammatorio si era progressivamente ridotto e anche la morte prematura dei neuroni che sta alla base del morbo di Parkinson ha cominciato a rallentare. Di conseguenza i classici sintomi motori e comportamentali della malattia hanno rallentato la loro insorgenza. Marcello D’Amelio, Ordinario di Fisiologia Umana del Campus Bio-Medico di Roma e Responsabile del Laboratorio di Neuroscienze Molecolari dell’IRCCS Santa Lucia, sottolinea:
Ad oggi la diagnosi di malattia di Parkinson avviene tardivamente, quando più della metà dei neuroni dopaminergici è già andata distrutta e non abbiamo terapie per rigenerarli. Essere riusciti a intervenire in Laboratorio su un processo infiammatorio collegato a questa neurodegenerazione prima che i neuroni dopaminergici siano andati persi per sempre, fa ben sperare per future sperimentazioni cliniche in grado di rallentare o auspicabilmente arrestare lo sviluppo della malattia.
E Valerio Chiurchiù, Ricercatore dell’Unità di Biochimica dell’Università Campus Bio-Medico di Roma e dell’IRCCS Santa Lucia, conclude:
È ragionevole ipotizzare che la presenza ridotta di Resolvine in pazienti affetti da Parkinson possa in futuro servire anche come marcatore precoce della malattia.
La recente scoperta quindi servirà non solo per sviluppare terapie innovative per contrastare l’avanzamento del morbo di Parkinson, ma anche per una diagnosi più tempestiva che aumenterebbe di molto la qualità della vita del paziente.
La molecola di Resolvina D1, fondamentale nella diagnosi e cura del morbo di Parkinson
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