Con l’arrivo del coronavirus nel nostro paese è cominciata anche una corsa scatenata all’informazione. Lo scopo di questo articolo è quello di mostrare uno spaccato sulle statistiche del coronavirus per inquadrare meglio l’epidemia
Con il fervore mediatico che in queste ultime ore ha invaso il nostro paese si rischia di perdere il contatto con la reale portata dell’epidemia. Quali sono i numeri che orbitano attorno alle statistiche del coronavirus? Un’analisi del Division of International Epidemiology and Population Studies di Bethesda pubblicata su Lancet ha provato a riordinare i dati provenienti da DXY.cn, una sorta di “social network” dedicato a medici, farmacisti e professionisti della sanità. Il sito permette di accumulare una grande quantità di dati su numero di infetti, sintomi, età e provenienza dei pazienti. I ricercatori hanno poi aggiunto altri dati da pazienti provenienti da altri 21 paesi (tra cui anche l’Italia). L’approccio basato su questi dati generati in modo distribuito permette di raccogliere una grande quantità di informazioni dettagliate a livello del singolo paziente, anche se si perde un po’ l’affidabilità garantita da un ente centrale. Vediamo che cosa ci dicono i dati elaborati.
Statistiche coronavirus: le statistiche di una epidemia
Lo studio comprende circa 507 pazienti segnalati dal 13 fino al 31 gennaio 2020, di cui 364 (72%) in Cina e 143 (28%) al di fuori della Cina. Si tratta di un campione che copre circa il 5.2% di 9826 casi di coronavirus COVID-19 riportati dall’OMS al 31 gennaio 2020. Si tratta dunque di una analisi sulle prime fasi dell’epidemia, quando ancora le misure cautelative erano ridotte e che quindi può dare un visione oggettiva della reale portata dell’epidemia.
Particolarmente interessanti sono sicuramente le statistiche del coronavirus sull’età dei pazienti. L’età media del campione è di circa 45 anni, tuttavia l’età media cui avvengono i decessi è di circa 70 anni. Per un’analisi più approfondita è stato calcolato il fattore di rischio relativo (RR) per le diverse classi di età. Si tratta del rapporto tra la percentuale di casi appartenenti nella fascia di età sui casi totali e la percentuale della fascia d’età sulla popolazione totale: in sostanza è una indicazione su come si distribuiscono i contagi nelle diverse fasce di età, un elevato RR significa che la probabilità di contrarre il virus sono elevate. Curiosamente non si ha un andamento uniforme: il rischio sembra aumentare con l’età e i bambini sono i meno colpiti – ma anche la classe con meno dati in assoluto. I dati potrebbero essere anche interpretati coma indice di “espressività” della malattia: se i sintomi non compaiono, la malattia difficilmente viene diagnosticata. Quindi un elevato RR può anche essere correlato ad una maggiore probabilità di manifestare sintomi gravi. Un’analisi dettagliata di uno dei primi casi di coronavirus COVID-19 ad esempio ha rilevato infezioni sintomatiche in cinque membri adulti del stessa famiglia, mentre un bambino nella stessa famiglia di 10 anni era infetto ma è rimasto asintomatico.
I dati sul periodo di tempo trascorso tra la permanenza a Wuhan e l’insorgenza dei sintomi ha permesso anche di stimare il tempo di incubazione medio del virus: circa 5-6 giorni con un intervallo di confidenza al 95% compreso tra 2 e 11 – significa che il 95% dei pazienti hanno mostrato un periodo di incubazione compreso tra 2 e 11 giorni. Infatti l’OMS, andando oltre i margini di sicurezza indicati dalle statistiche del coronavirus, fissa il periodo di quarantena minimo a 14 giorni.
Veniamo alla mortalità: al di sotto dei 35 anni il tasso è zero, nessuna vittima nel campione considerato, tra i 35 e i 65 la mortalità media è intorno al 5% mentre dai 65 in poi siamo circa al 40%. Globalmente si parla di una mortalità del 2.7%. Una distribuzione che ricalca la preferenza della malattia per le persone anziane che rimangono la categoria più a casi più rischio.
Statistiche coronavirus: i casi più gravi
Circa l’80% degli infetti tende a sviluppare sintomi vicini a quelli di una influenza: tosse, febbre, difficoltà respiratorie. Ma un 20% invece degenera in patologie più gravi quali polmoniti e insufficienze respiratorie. Uno studio ha tentato di far luce sui casi più gravi di infezione da coronavirus analizzando le statistiche su un campione di 52 pazienti adulti in condizioni critiche.
L’età media dei 52 pazienti era di 59 anni, 35 (67%) erano uomini, 21 (40%) avevano una malattia cronica, 51 (98%) presentavano febbre. 32 pazienti (61,5%) erano deceduti a 28 giorni dal ricovero e la durata mediana dall’ammissione al reparto di terapia intensiva alla morte era di 7 (in un intervallo di variabilità tra 3 e 11) giorni per i non sopravvissuti. Rispetto ai sopravvissuti, i non sopravvissuti erano più anziani (64.6 anni contro 51.9 anni), con maggiori probabilità di sviluppare sindrome da stress respiratorio acuto (ARDS) (26 pazienti contro 9 pazienti). La maggior parte dei pazienti presentava danni alla funzione degli organi, di cui 35 (67%) con ARDS, 15 (29%) con danno renale acuto, 12 (23%) con danno cardiaco, 15 (29%) con disfunzione epatica e uno (2%) con pneumotorace. 37 (71%) pazienti hanno richiesto ventilazione meccanica. Infezione acquisita in ospedale in sette (13,5%) pazienti. Lo scenario delineato dalla statistiche è che il coronavirus è particolarmente pericoloso per i soggetti deboli e soggetti a sviluppare infezioni polmonari.
Come ci si cura?
Poiché al momento non è stato identificato alcun farmaco specializzato per il trattamento dell’infezione da SARS-CoV-2, il principale metodo di cura è stata la terapia di supporto. I pazienti vengono trattati in modo isolato e i loro contatti stretti vengono messi in quarantena. Per i pazienti non critici, è probabile che una cura con farmaci supplementari (che alleviano i sintomi) sia sufficiente per gestire la malattia. Per i pazienti critici, tuttavia, sono necessari trattamenti aggressivi e terapia intensiva. Non avere una cura specifica né un vaccino è un grosso rischio: senza contenere l’epidemia infatti la situazione potrebbe diventare ingestibile con centinaia o migliaia di pazienti che necessitano di terapia intensiva e staff medico a rischio – perché anche i medici e gli infermieri rischiano di ammalarsi. E poi c’è il rischio di un blocco della produzione e trasporto delle merci per mancanza di manodopera. Questo è lo scenario che si vuole evitare, lo stesso che si è delineato a Wuhan e che ha reso necessaria la costruzione di un ospedale in tempi record. Anche se la mortalità non è elevatissima, l’impatto sociale ed economico del virus potrebbe essere molto elevato.
Purtroppo non è facile avere statistiche complete sull’epidemia di coronavirus per due motivi: un mese non è poi così tanto tempo per quanto riguarda il mondo della ricerca, inoltre gran parte degli sforzi oggi sono concentrati nel gestire l’emergenza e non nel documentare la situazione in modo dettagliato. Speriamo di avervi fatto chiarezza, non mancheremo di approfondire altre tematiche riguardanti il coronavirus: continuate a seguire la nostra sezione scienze!
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