Molti generi ne hanno inglobato delle componenti, ma dov’è iniziato tutto? Mettetevi comodi e preparatevi a rivivere con me la storia degli RPG, nel secondo episodio de L’evoluzione dei videogiochi
Cosa significa immergersi in un videogioco? Per alcuni vuol dire sfuggire dalle responsabilità della vita, per altri è un modo per vivere in un mondo controllabile conoscendo i suoi parametri. Nel mio caso, forse banale, cerco di tuffarmi in una narrazione immersiva con un mondo vivo che respira. Quasi come il Dr. Grant quando si appoggia sul triceratopo sedato in Jurassic Park.
Questo articolo ha lo scopo di far rivivere l’evoluzione dei videogiochi CRPG e RPG attraverso i titoli che mi hanno maggiormente inluenzato o che ho ritenuto più importanti. Questo è il secondo episodio de L’evoluzione dei videogiochi, una rubrica settimanale che ci aiuta a ripercorrere l’evoluzione antologica di alcuni generi.
Dove tutto è iniziato
Inizialmente chiamati CPRG, potremmo dire che la loro nascita sia avvenuta grazie ai giochi di ruolo cartacei come Advanced Dungeons & Dragons. Uno dei primi ad ispirarsi a quel sistema fu Rogue, titolo per PC dove il giocatore si trovava ad esplorare dungeon per vincere contro il computer (dal quale nasce il sottogenere dei Rogue-Like o Lite). L’intento iniziale degli sviluppatori fu quello di emulare il senso di avventura e casualità tanto care a D&D, e racchiuderlo in un videogioco che potesse permettere di viverle in solitaria seduto davanti al PC.
Questo però non era sufficiente perché mancava una vera storia a subire le nostre scelte, una narrazione avvincente, personaggi carismatici e tutte quelle statistiche che permettevano una completa personalizzazione del personaggio. Questo ha portato alla nascita di giochi come Ultima e Wizardry, ma preferisco partire dalla mia esperienza con uno dei titoli più amati di sempre, e che 22 anni fa ha portato i CRPG nell’epoca moderna, Baldur’s Gate.
Quando un PC Windows 98 era una piattaforma di gioco – L’evoluzione dei videogiochi 2/4
Prima di riceve un pc ero un fidato giocatore console su Gameboy e Nintendo 64, le mie avventure si dipanavano dal Mushroom Kingdom a quello di Hyrule. Prima di allora avevo solo premuto qualche pulsante sulla tastiera dell’iMac di mia sorella e provato una brevissima demo di Deus Ex. Tuttavia nel 2004 mio padre tornò a casa con un pc usato che girava Windows 98, che per poco non veniva cestinato dal suo capo. Era veramente orrendo ma completo di tutto. Un bel giorno un amico si presentò a casa mia con ben 5 CD bianchi, con su scritto Baldos Gate (si avete letto bene) dalle dubbie origini.
Da lì ho potuto vivere una delle avventure più articolate e complesse di quell’epoca. Baldur’s Gate, sviluppato da Bioware e pubblicato da Interplay Entertainment, era l’embrione perfetto di quello che gli open world RPG sarebbero stati nel futuro. Esplorare la Costa della Spada era un assoluto piacere, ricco di biomi diversi ma perfettamente amalgamati e liberamente esplorabili, finché una squadra di Ankheg non ti ammazzava violentemente. Il tutto mentre si era accompagnati da una squadra di personaggi controllabili e limitatamente personalizzabili, ma ognuno con la sua storia da raccontare. Sarebbe impossibile dimenticare il benevolo Minsc con il fidato criceto d’attacco Boo.
-Go for the eyes, Boo. GO FOR THE EYES! RrraaaAAGHGHH!-
La trama generale è un capolavoro scritto da Lukas Kristjanson, che riprendeva da Wasteland la volontà di garantire al giocatore diversi esiti per le nostre azioni. In base alla squadra che portavamo con noi (ben 25 personaggi reclutabili) la trama si adattava offrendo una esperienza diversa ad ogni nostra scelta.
Baldur’s Gate è stato sviluppato con l’Infinity Engine, motore grafico alla base di alcuni altri capolavori del genere sviluppati dalla Black Isle Studios sempre per Interplay: Icewind Dale e Planescape: Torment. Il motore grafico vide poi la sua naturale evoluzione nell’Aurora Engine utilizzato per Neverwinter Nights.
Perdersi tra funghi giganti e maghi in picchiata – L’evoluzione dei videogiochi 2/4
Nel periodo di fine anni 90’ e inizio 2000 i CRPG stavano vivendo la loro età dell’oro. Principalmente sviluppati per essere in 2D e con visuale dall’altro, abbiamo avuto in questo periodo la nascita di Diablo, Fallout, Ultima Online, EverQuest fino ad Arcanum: Of Steamworks and Magick Obscura. Tuttavia sempre negli anni 90’ un’altra casa di sviluppo diffondeva il proprio diverso modo di creare giochi di ruolo per PC. Bethesda stava infatti pubblicando i suoi primi titoli della serie The Elder Scrolls. Con Arena e Daggerfall volevano dimostrare di poter portare questo genere in un mondo pienamente 3D. È però con il 2002 e l’uscita di The Elder Scrolls III: Morrowind che la loro ricetta venne perfezionata.
I primi momenti in Morrowind credo siano tra i più indimenticabili di sempre nel mondo dei videogiochi. Le musiche composte da Jeremy Soule avevano già quello stile inconfondibile e le note iniziali del menù sono ancora stampate indelebili nella mia mente. Dopo una creazione del personaggio al di fuori di ogni standard concepibile all’epoca, un mondo enorme e tridimensionale aspettava di essere scoperto e saccheggiato. Un normale piatto poteva essere rubato, un coltello da cucina diventava un arma e qualsiasi fiore poteva essere colto.
La libertà di costruzione del personaggio era pressoché infinita, in quanto le nostre azioni andavano a stabilire direttamente le numerose caratteristiche. Gli NPC avevano dialoghi complessi e interessanti e le quest andavano completate seguendo gli indizi testuali che ci venivano forniti. Non esistevano i moderni punti di interesse segnalati sulla mappa, ma per raggiungere un luogo specifico bisognava seguire letteralmente le indicazioni.
La fine di una Golden Age – L’evoluzione dei videogiochi 2/4
Gothic, Arx Fatalys e Neverwinter Nights sono altri tre capolavori usciti sempre nel 2002, che hanno aiutato a ridefinire i CRPG, portando il genere nel mondo 3D. Per molti anni a seguire i titoli di ruolo di maggiore rilievo sarebbero stati quelli con visuale in terza o prima persona, subissando quelli in visuale isometrica. Ma i tempi stavano cambiando e sui forum le persone iniziavano a mormorare.
Tra il 2005 e 2006 PlayStation 3 e Xbox 360 stavano facendo il loro debutto nelle case dei giocatori. Entrambe le console furono dei successi straordinari e portarono tanti giocatori nel gaming da salotto. Tuttavia un’ombra si calava sui nostri computer, la frase “pc gaming is dead” stava iniziando ad essere di larga diffusione. Le console erano diventate il focus dei publisher, mentre i giocatori pc si prendevano le briciole o almeno questa era la vivida percezione.
Un’evoluzione sofferta – L’evoluzione dei videogiochi 2/4
I sommelier dei giochi di ruolo nei forum avevano iniziato ad accorgersene e con Oblivion uscito nel 2006 la cosa era diventata piuttosto evidente. Si era partiti da Morrowind con una interfaccia caotica ma molto personalizzabile, a The Elder Scrolls IV: Oblivion con una grossa e invasiva UI adatta all’uso di un controller.
Oltre a questo il gioco aveva diverse feature percepite come dei grossi passi indietro, cioè la Radiant AI e il nuovo sistema di dialoghi. Il primo prometteva di donare agli NPC un’intelligenza artificiale quasi realistica, avrebbero quindi indipendentemente potuto decidere i dialoghi da intraprendere con altri NPC, quando mangiare, rubare o dormire. Il risultato fu disastroso ma dona ancora oggi delle magnifiche perle di comicità surreale.
Purtroppo anche il comparto narrativo prese una brutta piega con una trama leggera poco coinvolgente e dialoghi banali ridotti a un frustrante mini gioco. Da così si potrebbe credere che fosse un brutto titolo, cosa molto lontana dal vero. Nonostante gli errori, Oblivion aveva intrapreso la giusta strada per il futuro con combattimenti migliori, grafica magnifica e un ottimo feeling esplorativo. Tanto godibile che avevo comprato il contenuto aggiuntivo Knights of the Nine, considerato uno dei primi DLC a pagamento della storia.
Negli anni a venire i giocatori PC e CRPG iniziarono ad avere una percezione meno negativa delle console grazie all’uscita di videogiochi multipiattaforma che emanavano passione da tutti i pori. Nel 2007 esce infatti per il primo The Witcher, sviluppato dai polacchi della CD Project Red con un modificatissimo Aurora Engine precedentemente usato per il primo Neverwinter Nights. Nel 2008 poi arrivarono Mass Effect e Dragon Age: Origins introducendo lo stile Bioware nella nuova era.
Una nuova era per il ruolismo – L’evoluzione dei videogiochi 2/4
I CRPG nella loro terminologia più stretta hanno però iniziato a non esistere più, troppo rari sono i giochi di ruolo sviluppati solo per PC. Oggi semplicemente vengono tutti chiamati RPG per indicare un’ispirazione più occidentale nei contenuti. Tuttavia il PC viene forse oggi percepito come terra neutrale, godendo della pubblicazione di giochi esclusivi first party (Death Stranding, Gears of War, Daemon X Machina etc..)
Come abbiamo visto, il primo decennio del 2000 è stato caratterizzato più che altro da una necessità di evolvere e cambiare. Il secondo si sarebbe invece focalizzato nel tentativo di sedimentare e fertilizzare tutto ciò che è stato creato precedentemente. Ad esempio nel 2010 è uscito Fallout: New Vegas sviluppato da Obsidian Entertainment (nata dalle ceneri di Black Isle Studios, creatori originali della saga) che portò, o riportò, innovazione narrativa al buon Fallout 3 del 2008 sviluppato da Bethesda.
Molti salti qualitativi sono stati fatti ma anche notevoli capitomboli, la saga di Dragon Age ha avuto grosse difficoltà nel trovare un pubblico console. Mass Effect si è concluso con un terzo capitolo sottotono seguito da un Andromeda disastroso e un odierno Anthem che…Non parliamone neanche; segnando l’era buia per Bioware. D’altro canto Bethesda ci ha portato The Elder Scrolls V: Skyrim nel 2011, imparando dagli errori del predecessore e abbracciando maggiormente la sua indole esplorativa. Personalmente il loro inciampo è avvenuto con Fallout 4, con un comparto narrativo e ruolistico che impallidisce al confronto con New Vegas.
Il lupo bianco che fa emozionare – L’evoluzione dei videogiochi 2/4
Se escludiamo per un attimo Bioware dal discorso, si può percepire l’inizio di una seconda età dell’oro per gli RPG nella seconda decade degli anni 2000. Grazie alle iniziative Kickstarter, il metodo CRPG fine anni 90 è potuto tornare in tutta la sua grazia, sia in forme molto fedeli che più innovative. Obsidian ci ha portato lo splendido Pillars of Eternity e Larian Studios ha rinnovato la serie di Divinity con Original Sin I e II.
Nel 2015 CD Project Red rilasciò un teaser sul canale YouTube di The Witcher dove parlavano del loro terzo e prossimo capitolo. Il video in questione aveva pochissimi filmati di gioco, ma mostrava più che alto gli sviluppatori spiegare com sarebbe stato il futuro della serie. I compagni polacchi promettevano di evolvere la formula di The Witcher da un open map ad un open world. Di base ogni singola cosa che hanno detto dovrebbe far esaltare ogni fan, ma non in questo caso e qui va aperta una breve parentesi.
Il meritato successo di Assassin’s Creed II e Far Cry 3, aveva portato gli open world ad omologarsi lentamente. Le grandi mappe erano solo dei pretesti per un buon marketing, ridotti a luoghi di raccolta per collezionabili privi di storia. Discorso simile si potrebbe fare con la moda per i boss enormi in stile God of War 3.
Per The Witcher 3: The Wild Hunt correva il timore che sarebbe stato solo grande a discapito della narrazione. Così per fortuna non è stato. Quello che ci siamo trovati era un mondo enorme e narrativamente coeso. Ogni luogo nascondeva storie o una coerente missione secondaria. Quest’ultime hanno svolto un ruolo fondamentale nell’immergere il giocatore in un mondo percepito come vero e con un gran cuore. Più di 300 ore ho speso esplorando i caratteri dei personaggi e camminando nelle foreste, al suono degli alberi accarezzati dalla brezza marina. The Witcher 3 è un titolo che ancora oggi avvio per immergermi in un mondo estraneo ma familiare e trovare qualche momento di relax.
Che il ruolismo continui
Nei prossimi mesi o anni ci aspettano numerosi titoli che non possono altro che lasciare un’impronta indelebile nel genere RPG. L’unica cosa che mancherà è forse il tempo per giocare tutto senza tralasciare nulla dalle varie esperienze. Gli RPG richiedono molto tempo e dedizione, che spesso ripagano in modo cospicuo. Non potrò mai dimenticare il tempo passato nel Faerûn o nel mondo di The Witcher, e lo considererò sempre ben speso. Se anche Cyberpunk 2077 o The Elder Scrolls VI riusciranno a donare anche solo il 10% di quel sentimento, forse sarò comunque soddisfatto.
Questo era l’episodio numero de L’evoluzione dei videogiochi, rimanete sintonizzati su tuttoteK per gli altri episodi di questa serie di speciali!
Lascia un commento