Ritorna la “Scienza del cibo”, la rubrica che tratta curiosità, storia, benessere e trucchi culinari legati al mondo dell’alimentazione. Il tartufo è uno degli alimenti più rari e costosi che si possano trovare sulle nostre tavole ed è simbolo d’eccellenza italiana in tutto il mondo
La prima volta che ho assaggiato un tartufo mi sembrò di assaporare l’elemento stesso da cui proviene, la terra. Un sapore pungente, intenso, misto a quel caratteristico profumo un po’ acre lo rendono un alimento unico nel suo genere. Può piacere o non piacere e deve essere ben dosato per non rischiare di coprire tutti gli altri sapori con un risultato quasi sgradevole.
Il valore di un bene è determinato dalla sua scarsità: il tartufo è infatti molto difficile da coltivare, specialmente per quanto riguarda le specie più pregiate. Le coltivazioni sperimentali di tartufo tentano di ricreare un terreno adatto allo sviluppo del fungo, simile a quello dei sottoboschi degli appennini, calcarei e poveri di humus. Vengono poi piantate delle piante già micorizzate (chiariremo tra poco questo termine) e si spera che si sviluppi il prezioso corpo fruttifero. Una tecnica che ha riscosso invece un buon successo è quella di trapiantare in zone boschive fruttifere nuove piante micorizzate, incrementato la produzione dell’area. Il tartufo quindi è un prodotto fortemente legato all’ambiente e all’ecosistema, patriottico potremo dire. Cerchiamo di scoprirne i segreti, ricostruendone la storia e le caratteristiche che l’hanno reso un bene di lusso culinario.
Pregiato tartufo bianco, può essere venduto a centinaia di dollari al chilo
Scienza del cibo: il tartufo, un gusto antico
La prima testimonianza ufficiale e approfondita sul tartufo arriva dallo storico romano Plinio il Vecchio nella “Naturalis Historia”. Gli aneddoti riportati dall’erudito latino chiariscono come fosse un prodotto già molto apprezzato in tempi antichi, una tradizione di origine etrusca che facevano largo uso in cucina del tartufo. Una interessante leggenda arriva dal poeta greco Giovenale e riesce a spiegare il pregio di questo alimento: il tartufo sarebbe nato dal’unine degli elementi di acqua, terra e fulmine. Il dio Giove scagliò un fulmine ai piedi di una quercia, un albero sacro, e dall’interazione dei tre elementi nacque il rinomato fungo. In antichità, oltre che al suo uso in cucina, era ritenuto un potente afrodisiaco. L’origine culinario del tartufo sembra essere ben più antica: tracce ritrovate nell’antica Mesopotamia fanno pensare che anche Sumeri e Babilonesi, oltre 3000 a.C., utilizzassero il prezioso alimento per arricchire le pietanze.
Durante il medioevo, con l’affermarsi della tradizione cristiana che scalzò quella classica e la perdita della ricchezza del fiorente commercio romano, il tartufo perse la sua importanza importanza. Durante il rinascimento venne riscoperto e ricominciò a rendere più briosi i pranzi nelle corti italiane e europee. L’origine divina di estrazione classica venne pian piano dimenticata, in favore di una affermazione del suo potere afrodisiaco. Il medico Michele Savonarola li consigliava come alimento ideale per gli anziani che avevano una bella moglie e Platina, erudito dell’epoca, non solo assegnò al tartufo un alto potere nutritivo, ma lo definì:
un eccitante della lussuria… servito spesso nei pruriginosi banchetti di uomini ricchi e raffinatissimi che desiderano essere meglio preparati ai piaceri di Venere.
Per gli studiosi del passato il tartufo era spesso associato ad un effetto estatico, un piacere superiore che passava attraverso il palato e pervadeva tutto il corpo. La storia del tartufo, a partire della sue origini divine fino alle più moderne attribuzioni erotiche, è permeata da un’eccezionale velo di regalità che probabilmente ha contribuito a renderlo particolarmente interessante agli occhi dei ricchi di tutte le epoche che volevano ostentare la loro posizione agiata.
Il nome tartufo ha un’origine, come anche il concetto in sè, strettamente legato al territorio e all’ambiente in cui vive. Lo storico Giordano Berti ha recentemente ricostruito l’etimologia del nome del prezioso fungo e sembra che, mentre gli antichi romani lo chiamavano semplicemente “Tuber“, il moderno termine tartufo derivi da “terra tufule tubera” una denominazione individuata dalla storico in un antico codice miniato naturalistico del XIV secolo. Parafrasando otteniamo “tubero che cresce sotto il terreno di tufo”, una roccia di origine vulcanica che abbonda nelle colline italiane. Con la sua seconda diffusione durante il rinascimento, i tre termini vennero fusi in un unico termine poco scientifico e molto popolare: tartufo.
Gioacchino Rossini e la sua passione per il tartufo hanno portato a creare un piatto unico: il filetto alla Rossini
Scienza del cibo: il tartufo, un fungo molto pregiato
Gli studiosi delle varie epoche hanno fato davvero molta fatica a collocare il tartufo in una categoria di esseri viventi: c’è chi l’ha messo tra i vegetali nella famiglia dei tuberi – come suggerirebbe anche l’antica denominazione “Tuber” -, chi lo mise addirittura nel regno degli animali! Ma oggi sappiamo che il tartufo è una via di mezzo tra entrambi, ovvero un fungo. Noi siamo abituati ad associare i funghi ai curiosi ombrellini che spuntano nei sottoboschi, tuttavia quello che vediamo è solo il corpo fruttifero, generato per spandere le spore e permettere la riproduzione. In realtà il corpo del fungo consiste in una fitta rete di sottili filamenti che corrono sopra e sotto il terreno, per lo più invisibili per via del loro spessore davvero infinitesimo. Le ife, così si chiamano i rami del corpo del fungo, possono estendersi per metri intorno al corpo fruttifero.
Struttura di una micorizza generica
Il tartufo è un tipo particolare di fungo ipogeo, cioè che fruttifica sottoterra. Non solo: come ben sappiamo i diversi tipi di funghi sono spesso associati a particolari piante o tipi di terreno, questo perché di norma sopravvivono grazie ad un rapporto simbiotico con una specifica specie di alberi: i due organismi si associano traendo mutuamente benefici e moltiplicando le chance di sopravvivenza. Una relazione tra un fungo e una piante superiore è detta micorriza ed è molto comune in natura. La micorizza non aumenta solamente la quantità d’acqua e nutrienti assorbiti, ma è in grado di svolgere tante funzioni importanti. Ad esempio il fungo può occuparsi di assorbire e decomporre in nutrienti sostanze complesse che normalmente la pianta non sarebbe in grado di assorbire oppure è in grado di proteggere e rinforzare l’albero dagli attacchi di altri funghi parassiti. In generale quindi le piante micorizzate sono più resistenti. Non solo: la simbiosi tra piante e funghi, in virtù della capacità di questi ultimi di decomporre le sostanze più complesse aiuta anche a purificare i terreni e a renderli più fertili. Naturalmente in fungo non fa tutto questo lavoro “gratis”: l’albero lo rifornisce di zuccheri e altri nutrienti sintetizzati nelle foglie condividendo la linfa.
I funghi che generano i tartufi possono essere associati a diversi tipi di terreno e alberi e generano il corpo fruttifero allo scopo di attirare animali selvatici che scavando a mangiando il tartufo possano spargere le sporgere in giro per il bosco, contribuendo alla diffusione del fungo. Quello che noi chiamiamo tartufo è quindi solo il corpo fruttifero del fungo.
Ciclo di vita del tartufo
Scienza del cibo: il tartufo è questione di chimica e non solo
Abbiamo capito che il sapore e il profumo così decisi e peculiari del tartufo sono necessari per renderlo facilmente individuabile dagli animali del bosco in modo da spargere facilmente le spore del fungo. Da cosa derivano però queste mirabolanti proprietà che l’anno reso uno degli alimenti più rinomati del mondo? Tutto si può spiegare con un po’ chimica (o forse no).
Innanzitutto è bene precisare una cosa: il tartufo è composto circa al 90% di acqua. Sappiate quindi che state pagando 300 euro per mezzo litro d’acqua. Non ci resta che capire che cosa rendere speciale quest’acqua. Le analisi chimiche sono riuscite ad identificare alcune delle principali molecole che caratterizzano il sapore e il profumo dei tartufi. In genere si tratta di composti dello zolfo che però possono variare in quantità e qualità rendendo ogni specie unica. Ad esempio il Tuber melanosporum Vittadini – il cosiddetto tartufo nero pregiato di Norcia – contiene un’elevata quantità di dimetil solfuro, mentre il Tuber magnatum Pico – comunemente noto tartufo bianco di Alba – che è la varietà più pregiata è caratterizzato da una molecola chiamata bis(metiltio)metano.
Prodotti a base di tartufo: saranno veri o contraffatti?
Quest’ultima molecola è sintetizzata con metodi industriali ed è utilizzata per produrre aromi artificiali come l’olio di tartufo che simulano l’aroma del prezioso fungo. Al palato dei meno esperti la differenza potrà sembrare irrisoria – in realtà è veramente difficile distinguere l’aroma artificiale da quello naturale – e proprio per questo il rischio di venire imbrogliati era molto elevato. Dico volutamente era perché recentemente è stata pubblicata una ricerca svolta da alcuni studiosi italiani che illustra un metodo analitico per distinguere il vero tartufo dall’aroma artificiale riprodotto in laboratorio. La differenza è molto sottile: quando di origine naturale, il bis(metiltio)metano contiene gli isotopi carbonio-12 e carbonio-13 in una combinazione unica, che varia a seconda del terreno dove il tartufo è cresciuto. Anche l’aroma artificiale contiene questi isotopi, ma in percentuali diverse (che dipendono dal composto di origine utilizzato nel processo di sintesi, spesso un derivato petrolchimico). I ricercatori hanno poi utilizzato le tecnica sviluppata per testare e classificare campioni di tartufi provenienti da tutta Italia. Infine hanno confrontato i dati con gli aromi di origine artificiale e con vari prodotti presenti in commercio, classificandoli in base alla qualità.
Nonostante la chimica sia riuscita ad arrivare una classificazione su scala molecolare dei tartufi, ci sono degli aspetti che rimangono incontrollati e irriproducibili. Innanzitutto è quasi impossibile produrre in maniera economica un mix di molecole che integri tutte quelle naturalmente presenti nel tartufo. Oltre alla chimica però c’è anche una forte componente biologica: l’albero con cui viene realizzata la simbiosi, le colture batteriche che proliferano sulla superficie e all’interno del tartufo contribuiscono in modo sostanziale a modificarne l’aroma e il sapore. Potremo dire che ogni tartufo e unico, ma meglio star zitti per non far lievitare troppo i prezzi!
Il tartufo deve il suo gusto e aroma a decine di composti che variano in base all’ambiente e alle interazioni con altri esseri viventi
Scienza del cibo: il tartufo, cani o maiali?
Bene, abbiamo capito che cosa sono i tartufi e perché son così buoni, ma come li troviamo? Ogni anno si svolgono importanti fiere e aste dove il prezioso ingrediente viene venduto a peso d’oro. Supponendo di non avere un cospicuo conto in banca, come possiamo ottenere un grosso e profumato tartufo con cui insaporire in nostri manicaretti? In realtà è molto semplice: basta un maiale. I maiali sono dotati di un olfatto davvero eccezionale, in grado di scovare il cibo anche sotto terra e a distanze molto grandi. In natura infatti capita spesso che maiali e cinghiali si nutrano di radici, tuberi e ovviamente tartufi! Ma non solo. Sembra che il profumo di tartufo sia simile a quello del maiale femmina – sì, diciamo che il tartufo comunque non sa di rose – e quindi il maschio è addirittura sessualmente attratto dal tartufo. Un tempo venivano usati prevalentemente i maiali per scovare i tartufi, tuttavia oggi si preferisce usare i cani. Perché? Il maiale è bravissimo a cercare, tuttavia è molto goffo e rozzo: rischia di rovinare il prodotto mentre scava e se non siete veloci a recuperare il tesoro rischiate di vederlo sparire tra le fauci del vostro verro. Non è di certo una fine dignitosa per un fungo da centinaia di euro al chilo. Si preferisce usare quindi cani addestrati che in genere sono più delicati. Esiste anche un codice etico per la raccolta dei tartufi che è diventato una vera e propria legge. Le regole servono per preservare il territorio dalla raccolta indiscriminata che potrebbe portare alla scomparsa del tartufo. Ad esempio è richiesto di scavare solo nel punto preciso indicato dal cane e non tutto intorno, per rompere il meno possibile le ife e le radici su cui poi nasceranno nuovi tartufi.
Il cane oggi è preferito come animale da tartufi
C’è anche una seconda soluzione al problema, ma potrebbe non essere semplice. È infatti possibile provare a “coltivare” il tartufo. In commercio esistono delle piante già micorizzate – ovvero le cui radici sono già “infettate” con il fungo del tartufo – ed è possibile acquistarle per poi piantarle nei giardini e negli orti. Dopo almeno una decina d’anni, se il terreno è adatto, la simbiosi sarà abbastanza matura da dare alla luce i primi preziosi frutti. Avere una tartufaia in giardino può essere molto redditizio, ma è davvero molto, ma molto difficile riuscire nell’impresa. In ogni caso potete provare: mal che vada avrete sempre una bella pianta, all’ombra della quale leggere un buon libro durante le giornate estive.
Struttura di una micorizza su una pianta vista al microscopio
Scienza del cibo: il tartufo come la cannabis
Sembra che l’odore e il sapore così particolari non siano il solo motivo dell’amore smisurato verso questo pregiato prodotto della terra. I ricercatori di Micologia e Genetica dell’Università dell’Aquila insieme ai colleghi abruzzesi di Teramo e del Campus Biomedico di Roma sono infatti riusciti ad arrivare ad una scoperta davvero particolare. Nei tartufi, in particolare quello nero (Tuber melanosporum), sarebbe contenuta una “molecola del piacere” chimicamente molto simile al THC, cui dobbiamo gli effetti psicoattivi della cannabis. La molecola del piacere è nota come anandamide, un nome che deriva dal sanscrito “ānanda” e significa letteralmente beatitudine interiore o estasi. Il ruolo di questa molecola nel sistema del sistema nervoso è quello di neurotrasmettitore che si lega ai recettori cannabinoidi, gli stessi su agiscono i principi attivi della cannabis, e anche come ormone presente nel sistema linfatico.
Lo studio intitolato “Phytochemistry – Truffles contain endocannabinoid metabolic enzymes and anandamide” è stato pubblicato sulla rivista National Center for Biotechnology Information e finalmente sembra svelare il mistero dell’irresistibile aroma del tartufo. Mauro Maccarrone, biologo e chimico del Campus BioMedico di Roma spiega:
L’anandamide scatena il rilascio di sostanze chimiche che regalano benessere e modulano l’umore. La nostra idea è che i tartufi la usino per attrarre gli animali e spingerli a nutrirsene, in modo che le spore possano essere disseminate nell’ambiente e questo favorisca la diffusione dei tartufi stessi.
In realtà gli animali sono attirati dal profumo caratteristico del tartufo, l’effetto dell’anandamide è quello di fornire una piacevole gratificazione quando il tartufo viene mangiato. In questo modo l’animale è stimolato a cercare nuovi tartufi, favorendo la diffusione delle spore. Come è stato possibile immaginare di trovare una sostanza psicoattiva – non preoccupatevi, gli effetti sono estremamente più blandi di quelli della cannabis e limitati ad un senso di piacere e rilassamento – nel tartufo? Maccarone risponde in proposito:
Anni fa avevamo dimostrato che la formazione della melanina nella nostra pelle era regolata proprio dagli endocannabinoidi. Siccome il tartufo nero contiene melanina ci siamo chiesti se l’anandamide, il lipide che stimola la produzione di questo pigmento per proteggere la pelle dai raggi, fosse anche nel tubero. Abbiamo anche visto però che nel tartufo nero non ci sono i recettori chiave, su cui l’anandamide avrebbe dovuto agire per la melanogenesi.
La cosa più stupefacente è che il tartufo avrebbe un’origine più antica della cannabis, in pratica è la cannabis che ha “imparato” dal tartufo a produrre effetti sul sistema nervosi dei consumatori. In termini più scientifici significa che il meccanismo alla base della produzione di sostanza psicoattive simili al THC ha un’origine più antica della famosa pianta. Infatti il ricercatore afferma:
Il tartufo è una specie molto più antica della cannabis. E la presenza di questa molecola nel tartufo ci dice che i segnali endogeni interni per produrre la sostanza psicoattiva sono antecedenti alla pianta che la contiene.
L’effetto dell’anandamide sul sistema nervoso potrebbe anche essere legato alla sua fama storica di afrodisiaco naturale, in quanto stimola il piacere fisico.
Scienza del cibo: il tartufo, come usarlo per arricchire i nostri piatti
Adesso sappiamo come trovarlo e perché ci piace tanto. Adesso è arrivato il momento di usarlo nelle nostre cucine (dato che l’abbiamo pure pagato a caro prezzo). Iniziamo ad analizzare le sue proprietà nutritive. Mediamente 100 grammi di tartufo forniscono 31 Kcal, quindi si tratta di un prodotto dietetico! La spiegazione sta nel fatto che un tartufo è composto, oltre che da una buona percentuale di acqua, soprattutto da proteine e fibre.
Uovo con tartufo: una colazione continentale di lusso
Il sapore e l’aroma molto pungenti rendono difficile per i principianti dosarlo a dovere: se esagerate, oltre che sprecare decine di euro di prodotto, rischiate di rovinare completamente i vostri piatti! Ricordate una semplice regola: si fa sempre in tempo ad aggiungere un grattatina di tartufo in più, quindi andate ponderati e assaggiate prima di aggiungerne ancora. Nota questa regola che è applicabile a tutti i tipi di tartufo, si possono classificare i tartufi in base alla loro affinità con la cattura: il tartufo bianco deve essere consumato crudo, mentre quello nero si presta bene alla cottura. Con una spolverata di tartufo anche i piatti apparentemente poveri e banali possono elevarsi a grandi pezzi di arte culinaria. Il caso più eclatante è il classico uovo al tegamino, cosparso di tartufo bianco appena finita la cottura. Certo se siete più esigenti il tartufo si sposa molto bene anche con la carne, ad esempio per insaporire una tartare o un carpaccio. Il tartufo è in realtà estremamente duttile e si può adattare a decine di piatti diversi. Grandi classici sono anche i primi piatti di pasta e risotti.
A proposito di riso: dopo che avete speso 5000 euro del vostro bel tartufo bianco di Alba da un chilo, di certo non lo mangerete tutto in una volta. Come conservarlo al meglio? Il segreto è proprio quello di sfruttare come alleato il riso. I chicchi mantengono costante il livello di umidità e assorbono quella in eccesso, evitando che il prezioso fungo marcisca. Basterà riporre il tartufo in un barattolo e sommergerlo con del riso. Inoltre, il riso assorbirà l’aroma e il sapore del tartufo e potrete utilizzarlo per preparare dei risotti spettacolari (senza bisogno di tartufo aggiunto).
Il tartufo può arricchire i nostri piatti e renderli speciali
Scienza del cibo: alla prossima puntata!
Siamo giunti alla conclusione anche questa volta. Se vi abbiamo fatto venire voglia di tartufo, ma siete troppo pigri per cucinare – e figurarsi arrampicarsi su per le montagne per andare a cercarli – ci sono decine e decine di ristoranti che propongono una sacco di delizie a base di “Tuber”. Ad esempio a New York potrete trovare dei succulenti hamburger ai tartufi, alla modica cifra di 150 dollari l’uno. Un piatto di risotto al tartufo in un ristorante italiano potrebbe essere tuttavia molto più economico, attenzione alla fregature però!
Se vi siete persi le scorse puntate potete trovarle qui e non scordatevi se seguire la nostra sezione scienze per tante news e curiosità dal mondo naturale!
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