Una scoperta tutta italiana apre la strada a nuove cure per l’Epatite B cronica. Infatti è stata scoperta una molecola in grado di riattivare le difese
Lo studio compiuto dai ricercatori dell’Irccs Ospedale San Raffaele e dell’Università Vita-Salute San Raffaele. Oltre a loro hanno supportato la ricerca il Consiglio europeo della ricerca (Erc), della Fondazione Airc per la ricerca sul cancro e della Fondazione Armenise-Harvard. La scoperta è stata poi pubblicata sulla rivista Nature. Vediamo tutti i dettagli.
Epatite B cronica: vediamo tutti i dettagli di questa scoperta| Biologia
La molecola in grado si riattivare le difese nell’Epatite B cronica è l’interleuchina-2, si tratta di un messaggero del sistema immunitario che potrebbe aprire la strada alla creazione di nuovi farmaci per combattere questa infezione che colpisce nel mondo più di 250 milioni di persone, risultando tra i primi fattori di rischio per il cancro del fegato. Matteo Iannacone, immunologo, ha guidato lo studio promuovendo la tecnica di microscopia in vivo, microscopia intravitale.
Grazie a questa tecnica è stato possibile vedere in diretta, nei topi, l’azione dei linfociti T che sono in grado di attaccare il virus dell’Epatite B. Hanno così scoperto che queste cellule sono disfunzionali fin dalla loro attivazione, che avviene per contatto diretto con le cellule infette del fegato. Analizzando l’espressione genica dei linfociti, i ricercatori hanno tracciato una sorta di ritratto dettagliato del loro stato molecolare. Dettagli che ha fornito moltissime informazioni al team di ricercatori. E riguardo ciò il dottor. Iannaccone dice quanto segue:
La prima è che la scarsa capacità di reazione dei linfociti al virus dell’epatite B è diversa da quella che si osserva in presenza di altri virus o di cellule tumorali.
Da quanto detto dal dottore si evince che i farmaci somministrati per riattivare il sistema immunitario potrebbero non funzionare bene nel caso dell’epatite B cronica. Ed è proprio la caratterizzazione dei linfociti T disfunzionali ha permesso di identificare molecole più adatte ed efficaci a risvegliarli. Stiamo parlando quindi dell’interleuchina-2, che è già sperimentata con successo sia in vitro, sia su cellule di pazienti, sia nel modello animale.
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