La vista è sicuramente il senso su cui l’essere umano si basa di più per affrontare la vita. Lo sviluppo in laboratorio delle cellule della retina potrebbe aprire ad interessanti prospettive per nuove terapie e ricerche.
La retina è un tessuto presente nella parte interna nell’occhio e collegato direttamente al nervo ottico: la sua funzione è quella di convertire la radiazione luminosa in un segnale elettrico, interpretabile dal sistema nervoso. È quindi fondamentale per la vista, senza di essa il mondo sarebbe buio, non sfuocato o scolorito, ma completamente nero.
La visione è resa possibile grazie ad uno strato di cellule fotosensibili che si dividono in due categorie: coni e bastoncelli. I bastoncelli sono chiamati così per la caratteristica forma del loro segmento esterno, l’elemento sensibile. Sensibilissimo potremo dire: la loro percettibilità è così elevata che bastano pochi fotoni per eccitarli, alcuni studi affermano addirittura sia sufficiente un singolo fotone. Se pensiamo che una lampadina da 100 W emette approssimativamente 1020 fotoni al secondo (cioè circa 100 miliardi di miliardi di fotoni al secondo) capite che si tratta di strumenti biologici davvero precisi. Il loro funzionamento si basa sulla rodopsina, una proteina che quando viene colpita da un fotone da inizio ad una catena di reazioni chimiche al fine di generare una piccola differenza di potenziale da trasferire ai neuroni del nervo ottico. Mediamente ne possediamo 100 milioni.
Struttura di un bastoncello, Di Madhero88
Fonte: Wikipedia
I coni invece sono responsabili dei magnifici colori che vediamo nel mondo. Infatti ne esistono di tre tipi e le proteine che compongono un tipo specifico sono eccitabili dai fotoni di lunghezza d’onda verde, rossa e blu. Cosicché le tre tipologie di cellule sono collegate ai tre pigmenti fondamentali della vista. Non sono sensibili come i bastoncelli, infatti al buoi tendiamo a vedere i colori più sbiaditi. Inoltre sono presenti in numero più limitato, circa 5-6 milioni. Tuttavia possiedono un tempo di risposta allo stimolo molto più breve rispetto ai bastoncelli – che devono portare a termine una catena di reazioni chimiche per convertire il segnale luminoso – e questo garantisce maggior reattività visiva. Rappresentano quindi una preziosa risorsa per la retina.
Struttura di una cellula cono della retina, di Ivo Kruusamägi
Fonte: Wikipedia
Proprio su questi ultimi si è concentrato lo studio che ha creato la prima retina artificiale.
Biologia: una retina artificiale per curare alcune forme di cecità
La coltivazione in vitro della prima retina umana ha permesso di studiare con attenzione la formazione e il funzionamento delle cellule sensibili ai colori, gettando le basi per lo sviluppo di cure a varie forme di cecità ai colori come il daltonismo. Kiara Eldred ha guidato i biologi della Johns Hopkins University nell’impresa, descritta in un articolo nella rivista Science.
Fino ad ora si era riusciti solo a riprodurre le cellule fotosensibili dei topi, che però non hanno la stessa sensibilità ai colori dell’uomo e di conseguenza molti studi risultavano preclusi. La dottoressa Elder ha dichiarato:
Se comprendiamo come si sviluppano queste cellule, siamo più vicini alla possibilità di curare le persone che non vedono i colori o li vedono in modo alterato.
Per sviluppare le cellule della retina umana si sono utilizzate delle staminali pluripotenti indotte, eticamente più corrette rispetto alle altre perché ottenute da cellule adulte fatte regredire tramite una terapia genica. Queste cellule sono state indotte, sempre utilizzano l’ingegneria genetica, ad evolversi in cellule della retina e poi utilizzate come base per far crescere in vitro un tessuto completo. Sono stati necessari 300 giorni di attento sviluppo per ottenere una retina vera e propria.
I biologi hanno potuto osservare con calma la maturazione dei coni, di cui abbiamo parlato sopra. Lo sviluppo anomalo delle cellule a cono è responsabile di diverse forme di cecità ai colori. Una curiosità: i coni sensibili alla luce blu tendono a svilupparsi prima rispetto a quelli associati al rosso e al verde. È emerso inoltre il ruolo chiave nello sviluppo di un ormone secreto dalla tiroide, ma le cui concentrazioni sono gestite internamente dal tessuto stesso della retina.
Neuroni del nervo ottico che si collegano alla retina
FONTE: Rachel Wong, University of Washington
Lo sviluppo di tessuti artificiali è fondamentale per la ricerca non invasiva e totalmente sicura: si possono studiare eventuali fattori tossici – come la famigerata esposizione alla luce blu -, testare l’effetto di molecole farmaceutiche e nell’approfondimento dei meccanismi che regolano la nostra fisiologia. In oltre permettono di utilizzare tecniche di indagine improponibili su esseri umani viventi, potenziando di fatto le possibilità.
Per altre news, approfondimenti e curiosità dal mondo naturale, consultate la sezione scienze del nostro sito, ma non troppo a lungo: non vogliamo rovinare i vostri bastoncelli!
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