Con la recensione di Jojo Rabbit vi parliamo del primo film “impegnato” di Taika Waititi, che si conferma un regista dalla vena comica sopraffina ma questa volta ci emoziona anche, parlando di un argomento delicato quale l’olocausto
TITOLO ORIGINALE: Jojo Rabbit. GENERE: Commedia / Drammatico. NAZIONE: Stati Uniti, Nuova Zelanda, Repubblica Ceca. REGIA: Taika Waititi. CAST: Roman Griffin Davis, Thomasin McKenzie, Taika Waititi, Rebel Wilson, Stephen Merchant, Alfie Allen, Sam Rockwell, Scarlett Johansson. DURATA: 109 min. DISTRIBUTORE: 20th Century Fox. USCITA: 16/01/2020.
Jojo ha dieci anni, non è molto popolare ma ha un amico immaginario: niente meno che Adolf Hitler. Nazista fanatico, col padre al fronte a boicottare il regime e madre a casa a fare quello che può contro il regime, fa di tutto per rispettare i canoni del partito e dimostrarsi un buon soldato. Un giorno la sua vita viene sconvolta dalla scoperta di Elsa, ragazza ebrea che la madre tiene nascosta in casa. Tra i due si sviluppa un rapporto che scrolla i capisaldi del ragazzo, che comincia a vedere il regime in modo diverso. Il tutto in un periodo di notevole fermento quale la fine della seconda guerra mondiale.
Con Jojo Rabbit Taika Waititi esce dalla sua comfort zone di film leggeri, seppur ottimi. Lo fa puntando alto, verso un argomento che al cinema e fuori desta sempre molte riflessioni: l’olocausto. Il film in Italia esce non a caso in un periodo di ricordo di questa pagina nera nella storia. Sotto la sua lente questo argomento così drammatico trova una vena humor tutt’altro che fuori luogo e che non eclissa l’importanza del messaggio.
Un’ottima prova di Taika Waititi | Recensione Jojo Rabbit
La pellicola è in primo luogo frutto di Taika Waititi, regista, sceneggiatore e produttore. Il cineasta neozelandese nel film prende di mira negazionismo, razzismo, sovranismo ed elogio della violenza. Argomenti passati ma, tristemente, sempre attuali. Sbeffeggia la nefasta ideologia e il suo portato sulla popolazione con una commedia irriverente, ma senza mai perdere il senso della misura e sfociare nel fuori luogo. Ciò che in effetti viene fuori dalla visione è il sapore dolce-amaro di ogni battuta, in cui c’è sì la vena comica ma anche quella drammatica, sentimentale e più seria.
Il nazismo filtrato dallo sguardo intimidito del piccolo Johannes è da barzelletta. L’Hitler che Jojo immagina, interpretato ottimamente dallo stesso Waititi, è sgangherato come pochi, animato da deliri di onnipotenza più che da un vero valore. I militari e la popolazione che dovrebbero appoggiare il regime non sono certamente incorollabili come la propaganda vorrebbe far credere.
La mossa vincente di Taika Waititi, tra tutti questi indizi che la situazione non è sotto controllo come sembra, è quella di scegliere come narrante un bambino. Il punto di vista privilegiato del suo film è infatti quello plasmabile dell’infanzia. Johannes, filtra il nazismo attraverso il suo sguardo ingenuo generando un curioso mix tra orrore e leggerezza. Parte con l’ideologia inculcatagli dalle istituzioni ma finisce con l’avere sempre meno certezze (che però non vengono del tutto abbandonate). Un po’ come La vita è bella, il nazismo viene letto come una sorta di fiaba in cui, a tratti sporadici quanto inesorabili, fanno irruzione frammenti di realtà di indicibile violenza.
Una strada che porta agli Oscar | Recensione Jojo Rabbit
Al di là degli innumerevoli riferimenti cinefili, Jojo Rabbit è forse il film più riuscito di Taika Waititi. Ogni battuta e ogni scena lascia trasparire il gusto del regista per il nonsense non fine a se stesso. Ed in effetti, in questa pellicola finalmente, Waititi alza il tiro, forte di una raggiunta maturità creativa e della libertà garantitagli dal successo di Thor: Ragnarok, permettendosi di trasformare un divertissement in puro cinema politico, che sfrutta il linguaggio della fiaba per prendere una posizione decisa sul presente.
Si avverte per tutta la proiezione la voglia di prendere una posizione netta sulle tendenze politiche globali, in danno magari alla comicità pura ma, ancora una volta è bene precisarlo, senza cedere totalmente alla serietà più grigia. Il film resta infatti frizzante, ricco di colpi di scena intervallati da momenti estremamente significativi dal punto di vista umano. Una scena su tutte è degna di menzione: quella in cui Jojo, ormai consapevole della presenza di una ragazza ebrea in casa sua, sfida sua madre, minandone l’autorità; la madre (una sempre migliore Scarlett Johansson) risponde inscenando un siparietto in cui scimmiotta il padre: il momento fa ridere, ma di un riso amaro perché si percepisce una tensione all’interno di una famigli che sembra drammaticamente predestinata.
Una babele di personalità | Recensione Jojo Rabbit
Scarett Johansson è solo la punta dell’iceberg di un cast eccellente, ma soprattutto follemente funzionante. Ed invero il suo è forse il nome più famoso ma tutto il resto non è da meno. A cominciare dal bambino Roman Griffin Davis, sulla cui esibizione non si possono esprimere riserve: riporta alla perfezione i dubbi e le altalenanti convizioni di un bambino. Taika Waititi porta una sua versione di Adolf Hitler, delirante come mai si era visto, capace di rubare la scena anche senza apparire molto sullo schermo: sublime. Thomasin McKenzie, spaventata e spaventosa a piacimento. Rebel Wilson, nei panni di una comprimaria valchiria nazista.
Soprattutto c’è Sam Rockwell, attore che forse non ha avuto successo come altri ma che non sbaglia un’interpretazione. Lo abbiamo visto da poco in Richard Jewell, in cui interpreta un avvocato difensore della Giustizia. Qui lo vediamo interpretare un capitano frustrato, costretto a fare da insegnate a giovani reclute a causa delle ferite riportate in guerra. Le sue convinzioni sono tutt’altro che adamantine, il suo atteggiamento è vagamente omosessuale, non esita ad aiutare la ragazza ebrea minacciata dalle forze dell’ordine della Gestapo e, infine, trova una redenzione da vero eroe.
Tutte queste ottime presenze sono condite da una strepitosa colonna musicale, dai titoli di testa dove viene passata la versione teutonica di I Wanna Hold Your Hand dei Beatles accompagna le immagini di repertorio dei documentari sulla Gioventù Nazista e alla frenesia delle fan per gli scarafaggi di Liverpool si sostituisce quella per Hitler e il Terzo Reich, ai titolo di coda in cui possiamo ascoltare una versione, sempre in tedesco, di Heroes di David Bowie, registrata nel suo celeberrimo periodo berlinese, canzone che racconta la storia di due amanti separati dal Muro di Berlino.
Un film per non dimenticare
Impegno e ironia, come abbiamo visto in questa recensione, si conciliano perfettamente in Jojo Rabbit. Che, di conseguenza, non può che considerarsi riuscito. Soprattutto azzeccata è stata la scelta di narrare il tutto dal punto di vista di un bambino, che tocca con mano gli orrori della guerra attraverso la scoperta del diverso. Attori in stato di grazia, insieme a una colonna sonora memorabile, fanno sì che questo film possa inserirsi giustamente tra i migliori dell’anno, come testimoniano le due candidature agli Oscar.
Punti a favore
- Il punto di vista della narrazione
- Sam Rockwell e Scarlett Johansson
Punti a sfavore
- Nulla degno di nota
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