Stelle di neutroni e buchi neri sono tra i fenomeni più estremi e misteriosi del cosmo: corpi ultradensi che esercitano una forza di gravità enorme tale da influenzare la materia attorno per miliardi di chilometri. La materia che interagisce con questi mostri tende ad emettere energia che li rende visibili e luminosi
Quando la forza di gravità prende il sopravvento alla morte di una stella di grandi dimensioni si vengono a creare delle entità cosmiche estreme che rappresentano gli oggetti più interessanti da studiare per i moderni astrofisici che tentano di svelare i misteri ancora irrisolti sull’origine e sullo sviluppo del nostro universo. Buchi neri e stelle di neutroni non sono facili da individuare e studiare se non interagiscono con della materia circostante: i primi perché ovviamente non emettono alcun tipo di radiazione elettromagnetica – la radiazione di Hawking ancora non ha prove sperimentali e comunque sarebbe troppo debole da individuare a distanza con gli strumenti moderni; le seconde riescono ad emettere piccole quantità di radiazione elettromagnetica, tuttavia anche questo caso si tratta di segnali troppo deboli per essere captati.
L’unico modo per osservare e studiare buchi neri e stelle di neutroni è quello di osservare le loro interazioni con la materia circostante. Essa vede innalzare il suo livello di energia mentre precipita a causa delle condizioni gravitazionali ed elettromagnetiche estreme generate da questi corpi celesti e quindi emette grandi quantità di radiazioni visibili anche dalla Terra.
Illustrazione di un buco nero che assorbe materia dalla stella compagna
Buchi neri e stelle dei neutroni: la morte di una stella massiccia
Quando una stella massiccia – circa 10 masse solari – muore, ovvero termina gli elementi leggeri i cui processi di fusione nucleare sono esoenergetici, la forza di gravità prende il sopravvento perché non più bilanciata dalla pressione di radiazione. La pressione è così forte che un oggetto esteso per milioni di chilometri viene compattato nel raggio di qualche decina di chilometri; gli atomi in queste condizioni degenerano e gli elettroni si “fondono” con i protoni creando una materia diversa da quella ordinaria ad altissima densità e formata solamente da neutroni (dalla carica neutra), non ancora ben definita. La stelle di neutroni emette pochissima luce, ma se nei dintorni è presente della materia essa interagisce con la stella di neutroni ed acquisisce energia. Questo può dare origine a diversi fenomeni, ad esempio le pulsar che accelerano la materia grazie al loro potente campo magnetico o i burster a raggi X dovuti alla materia che precipita sulla superficie della stella.
Rappresentazione di una pulsar
Se la stella morente ha una massa ancor maggiore, come ben sappiamo, nasce un buco nero. Un oggetto la cui densità e conseguente forza gravitazionale è tale da non lasciar allontanare nulla dal suo orizzonte degli eventi. Davvero si sa ancora poco sui questi mostri, anche se le equazioni ammettono la loro esistenza. I buchi neri sono completamente invisibili se non per due effetti collaterali: la forza di gravità esercitata su altri corpi celesti – e sullo spaziotempo stesso con il fenomeno delle lenti gravitazionali – oppure tramite l’interazione diretta con la materia che li circonda. La materia mentre precipita verso il pozzo gravitazionale viene accelerata ed acquista energia, emettendo grandi quantità di energia che rende visibile indirettamente il buco nero, come abbiamo visto nella recente immagine diffusa proprio pochi mesi fa. Ecco perché studiare e comprendere le modalità di interazione della materia con essi è fondamentale: è l’unico modo che abbiamo per raccogliere grandi quantità di informazioni.
Prima “fotografia” di un buco nero
Ad esempio la recente immagine prodotta da Event Horizon Telescope (EHT) – una serie su scala planetaria di otto radiotelescopi terrestri forgiati attraverso la collaborazione internazionale – è basata sull’interazione del buco nero con materia circostante. In conferenze stampa coordinate in tutto il mondo, i ricercatori EHT hanno rivelato che ci sono riusciti, svelando la prima prova visiva diretta del buco nero supermassiccio nel centro di Messier 87 e della sua ombra. L’ombra di un buco nero visto qui è il più vicino in cui possiamo arrivare a un’immagine del buco nero stesso, un oggetto completamente oscuro da cui la luce non può sfuggire. Il confine del buco nero – l’orizzonte degli eventi da cui prende il nome l’EHT – è circa 2,5 volte più piccolo dell’ombra che proietta e misura poco meno di 40 miliardi di km. Anche se questo può sembrare grande, questo anello ha solo circa 40 microarcsecondi, equivalente alla misurazione della lunghezza di una carta di credito sulla superficie della Luna. Sebbene i telescopi che compongono l’EHT non siano fisicamente collegati, sono in grado di sincronizzare i loro dati registrati con orologi atomici – maser di idrogeno – che scandiscono esattamente le loro osservazioni.
Queste osservazioni sono state raccolte a una lunghezza d’onda di 1,3 mm durante una campagna globale del 2017. Ogni telescopio dell’EHT produceva enormi quantità di dati – circa 350 terabyte al giorno – che venivano archiviati su hard disk pieni di elio ad alte prestazioni. Questi dati sono stati trasmessi a supercomputer altamente specializzati – noti come correlatori – al Max Planck Institute for Radio Astronomy e al MIT Haystack Observatory da combinare. Sono stati poi accuratamente convertiti in un’immagine usando nuovi strumenti computazionali sviluppati dalla collaborazione.
Una nuova teoria per osservare stelle di neutroni e buchi neri
Per decenni, gli scienziati hanno speculato sull’origine della radiazione elettromagnetica emessa dalle regioni celesti che ospitano i buchi neri e le stelle di neutroni, gli oggetti più misteriosi dell’universo. Gli astrofisici credono che questa radiazione ad alta energia – che fa brillare stelle di neutroni e buchi neri – sia generata da elettroni che si muovono quasi alla velocità della luce, ma il processo che accelera queste particelle è rimasto un mistero.
Fenomeno di riconnessione magnetica
Oggi finalmente dai ricercatori della Columbia University arriva una nuova teoria per spiegare l’accelerazione delle particelle intorno a questi corpi celesti. In uno studio pubblicato nel numero di dicembre di The Astrophysical Journal, gli astrofisici Luca Comisso e Lorenzo Sironi hanno utilizzato potenti supercomputer per far girare enormi simulazione e calcolare i meccanismi che accelerano queste particelle. Hanno concluso che la loro eccitazione è il risultato dell’interazione tra moto caotico e riconnessione di campi magnetici ad elevata potenza. Luca Comisso, ricercatore post-dottorato alla Columbia e primo autore lo studio, ha dichiarato:
La turbolenza e la riconnessione magnetica – un processo in cui le linee del campo magnetico si strappano e si riconnettono rapidamente – cooperano insieme per accelerare le particelle, aumentandole a velocità che si avvicinano alla velocità della luce.
La regione che ospita buchi neri e stelle di neutroni è permeata da un gas estremamente caldo di particelle cariche e le linee del campo magnetico trascinate dai moti caotici del gas, guidano una riconnessione magnetica. È grazie al campo elettrico indotto dalla riconnessione e dalla turbolenza che le particelle vengono accelerate alle energie più estreme, molto più elevate rispetto ai più potenti acceleratori sulla Terra, come il Large Hadron Collider al CERN.
Moti turbolenti e riconnessione magnetica
Nei gas turbolenti non è possibile prevedere con precisione il movimento delle particelle che viene definito caotico. Affrontare il problema della turbolenza con un modello matematico efficacie è considerato una delle sfide più ardue per la scienza e fa parte dei sette problemi matematici del Millennium Prize. Per affrontare in problema il team di scienziati e quindi dovuto ricorrere a complesse simulazione che girano solamente su dei supercomputer – tra le più grandi mai utilizzate in questo ambito di ricerca – per riuscire a trovare una soluzione alle equazioni che descrivono i moti turbolenti di un gas di particelle cariche. Sironi, Assistant Professor di astronomia alla Columbia e principale autore dello studio ha detto:
Abbiamo usato la tecnica più precisa – il metodo particle-in-cell – per calcolare le traiettorie di centinaia di miliardi di particelle cariche che auto-generano dei campi elettromagnetici . Ed è questo campo elettromagnetico che dice loro come muoversi.
Sironi spiega che il punto cruciale dello studio era identificare il ruolo della riconnessione magnetica all’interno dell’ambiente turbolento. Le simulazioni hanno mostrato che la riconnessione è il meccanismo chiave che seleziona le particelle che saranno successivamente accelerate dai campi magnetici turbolenti fino alle energie più elevate. Le simulazioni hanno anche rivelato che le particelle hanno guadagnato la maggior parte della loro energia rimbalzando casualmente a una velocità estremamente elevata nelle fluttuazioni della turbolenza. Quando il campo magnetico è forte, questo meccanismo di accelerazione è molto rapido.
Moto turbolento provocato da un aereo
Ma i campi forti costringono anche le particelle a viaggiare in un percorso curvo e, così facendo, emettono radiazioni elettromagnetiche. Sironi afferma:
Questa è una radiazione emessa intorno ai buchi neri e alle stelle di neutroni che li fanno brillare, un fenomeno che possiamo osservare sulla Terra.
Comprendere in modo preciso che cosa avviene nelle regioni attorni ai buchi neri e alle stelle di neutroni potrebbe fornire nuovi interessanti dati utili per studiare questi oggetti e svelare alcuni misteri irrisolti dell’universo. Ora l’idea è quella di confrontare i risultati delle simulazioni con le osservazioni dello spettro elettromagnetico osservato nella Nebulosa del Granchio per trovare una conferma sperimentale alla teoria. Comisso conclude:
Abbiamo compreso un’importante connessione tra turbolenza e riconnessione magnetica che accelera le particelle, ma c’è ancora tanto lavoro da fare. I progressi in questo campo di ricerca sono raramente il contributo di una manciata di scienziati, ma sono il risultato di un grande sforzo di collaborazione.
Insomma la luce emessa da buchi neri e stelle di neutroni è un po’ più chiara e questo forse un domani aiuterà anche a svelare alcune nuove proprietà del più estremo e misterioso lato del cosmo. Dalla sezione scienze è tutto! Continuate a seguirci per tante altre curiosità!
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