Abbiamo finalmente potuto osservare la prima immagine di un buco nero. Ma cosa nasconde questa scoperta? Scopriamo i dettagli
Questo articolo riassume la scoperta dell’orizzonte degli eventi del buco nero al centro della galassia M87 annunciata lo scorso 10 aprile, dando particolare enfasi al ruolo poco considerato che l’Italia ha avuto nella realizzazione dei telescopi.
Che cosa è stato scoperto con la foto del “Buco Nero”
Lo scorso 10 Aprile una conferenza stampa del consorzio facente capo all’esperimento Event Horizon Telescope (EHT), ha mostrato al mondo intero la prima immagine delle aree immediatamente circostanti il buco nero che si annida nel centro della galassia Virgo A, conosciuta anche come l’oggetto del catalogo di Messier M87. Su tuttoteK abbiamo già dato spazio a questa scoperta, ma in questo articolo voglio descrivere con più dettaglio che cosa rappresenta e come è stata ottenuta, analizzando anche le tecnologie utilizzate.
Molti canali d’informazione hanno mostrato l’immagine di EHT, presentandola come la prima immagine di un buco nero. Si tratta però di una dicitura scorretta. Se è infatti vero che mai prima d’ora si era stati capaci di ottenere un’immagine delle zone così prossime a un buco nero, è altrettanto vero che, proprio per la sua definizione di buco nero, cioè di un posto in cui la gravità è talmente intensa da intrappolarvi la luce, è impossibile osservare direttamente un buco nero.
Sequenza delle immagini della zona prossima al buco nero al centro dell’oggetto M87 registrate in Aprile 2018 da EHT
Fatta questa doverosa precisazione, che cosa mostra l’immagine di EHT? Si tratta di un’immagine che mostra per la prima volta la zona dell’orizzonte degli eventi di un buco nero. L’orizzonte degli eventi è quella zona che rappresenta il limite ultimo oltre il quale la luce stessa viene intrappolata dal buco nero. Qui la forza di gravità è così intensa da far ammassare cumuli di materia in una struttura comunemente definita disco di accrescimento. Questa materia è molto calda, trattandosi di un gas da decine di milioni di gradi ed emette della luce che è stata rivelata dagli strumenti di EHT. L’accordo fra l’osservazione e il modello teorico che descrive l’oggetto secondo la teoria della relatività di Einstein è sconcertante.
Come è avvenuta la scoperta del “Buco Nero”
Qua le cose iniziano subito a complicarsi. La luce così captata non è quella “classica” cui si è comunemente abituati che riconosciamo con gli occhi, ma sono piuttosto onde radio, più precisamente “millimetriche” cioè onde che stanno in quella porzione dello spettro elettromagnetico che sta tra le onde radio e la radiazione infrarossa. Già lo spettro elettromagnetico: tecnicamente infatti la luce è radiazione elettromagnetica e come tale è caratterizzata da una frequenza, che è associata all’energia che trasporta. Comunemente, anche in astronomia, si è portati a pensare alla luce che colora le nostre vite e che distinguiamo con gli occhi, che corrisponde alle onde di frequenze del “visibile”.
Spettro elettromagnetico: la luce dal gas che circonda l’orizzonte degli eventi del buco nero al centro di M87 osservata da EHT è al confine tra le microonde e gli infrarossi
Lo spazio in realtà è permeato di sorgenti di radiazione elettromagnetica a tutte le frequenze dello spettro, dalle onde radio ai raggi gamma. Il buon astronomo si è allora ingegnato a cercare di captare tutte questi diversi tipi di onde per vere più informazioni possibili sul fenomeno che sta osservando. L’atmosfera blocca alcuni tipi di radiazione, quindi è necessario utilizzare dei satelliti per rivelarle, altri tipi come in questo caso, oltrepassano l’atmosfera fino alla superficie terrestre fino a intercettare i telescopi.
EHT ha utilizzati dei radio telescopi, che più che ai telescopi ottici sono simili a delle gigantesche antenne per la ricezione della TV via satellite gonfiate con estrogeni. Basti pensare che uno dei telescopi utilizzati per le osservazioni è LMT che ha uno specchio primario di 50m di diametro.
Un’immagine di LMT tratta dal suo sito
La tecnica interferometrica e la prima immagine del “Buco Nero”
Le stranezze nono sono però finite qua. EHT non si è avvalsa di un solo radio telescopio ma di diversi, sparsi per tutto il globo, e li ha utilizzati per osservare contemporaneamente la stessa regione celeste secondo le tecniche interferometriche. I segnali osservati simultaneamente dai diversi telescopi vengono infatti correlati fra loro per ricostruire quello emesso dalla sorgente. Questo permette di avere un dettaglio nella mappa del segnale emesso dall’oggetto sotto studio che si otterrebbe solo con un telescopio con uno specchio di diametro comparabile a quello del raggio terrestre. La condizione più importante per poter realizzare questo tipo di osservazione è preservare la coincidenza temporale dei segnali osservati in tempi diversi in luoghi diversi del globo. Per questo i segnali vengono”sincronizzati” con degli orologi atomici molto precisi.
A questo punto occorre poi estrarre il segnale d’interesse alle misure. Ho scritto un termine, correlazione, ma sarebbe più corretto dire: navigare un oceano in tempesta con un guscio di noce, per rendere l’idea della mole di dati e di lavoro che è occorso fare per giungere alla agognata e nota mappa.
Bonus – La tecnologia dietro alla scoperta del “Buco Nero”
In questa ultima sezione del mio contributo voglio infine portare alla luce un fatto molto poco conosciuto e dibattuto sulla vicenda. Per una volta, stranamente, il contributo della ricerca italiana alla scoperta sembra di secondo piano. Scorrendo la lista degli autori dell’articolo scientifico che presenta i risultati i nomi italiani sono pochi. In effetti, nonostante la notizia abbia fatto il giro dei TG, si sono sentiti pochi tromboni squillare dal mondo della politica e delle varie presidenze degli enti scientifici coinvolti, a differenza di altre recenti grosse scoperte scientifiche.
Ci tengo molto però a precisare che non è esattamente così. Per una volta il successo italiano nel consorzio non è puramente “scientifico” ma industriale. Una piccola azienda della provincia di Lecco ha infatti brevettato un sistema di realizzazione degli specchi di 3 dei telescopi che hanno contribuito alla scoperta, e li ha fisicamente realizzati.
Quando guardate la foto del buco nero, per un attimo, prima di pensare che con il vostro smartphone le foto sono più a fuoco, pensate al lavoro che l’Italia ha profuso in questi oggetti. Sfidando e superando momenti di difficile crisi, non sono tanto i dibattuti cervelli in fuga a dare lustro alla nostra nazione, ma il lavoro quotidiano di poche decine di uomini umili e straordinari.
Lascia un commento