Divertirsi troppo alle volte porta a strani ragionamenti: vediamo perché le espansioni di The Witcher 3 non mi sono state utili, sebbene siano ottimi extra
Come i lettori più costanti di questa rubrica sapranno, a me piace molto poter finire i giochi. Arrivare al loro completamento, poter dire di aver fatto tutto quello che volevo fare e di non aver altro di cui preoccuparmi. Non significa necessariamente completare l’opera al 100%, ma semplicemente sapere di aver raggiunto un qualche tipo di finale e poter, senza rimorsi, appoggiare il gioco sulla mensola. Lasciarlo lì, a godersi il meritato riposo.
Peccato che poi escono i DLC. O, per meglio dire, le espansioni di The Witcher 3: The Wild Hunt. Ne vogliamo parlare? Sì, dai.
The Witcher 3: dalla Polonia con furore
The Witcher 3 inizia la caccia ai mostri il 19 maggio 2015. Sviluppato da CD Project Red, è il terzo capitolo della saga dello strigo Geralt di Rivia. I giochi si ispirano alla serie di romanzi di Andrzej Sapkowski pubblicata negli anni novanta in Polonia.
In The Witcher 3 Geralt andrà in cerca di Ciri, figlioccia perduta. Ci muoveremo in un mondo medievaleggiante in cui il grande Impero di Nilfgaard si sta preparando alla definitiva conquista dei regni del Nord, oramai allo sbaraglio. Tra caccie alle maghe, poveri villaggi in mezzo ai boschi e creature mostruose che proliferano nella morte e distruzione bellica, esploreremo un grande open-world gdr con la classica struttura in missioni principali e secondarie. Potremo evolvere il nostro personaggio ed equipaggiare una moltitudine di pezzi di armatura e spade di vario di tipo.
The Witcher 3: dai libri ai romanzi e dai romanzi ai libri
Il mio rapporto con questa saga iniziò già ai tempi di Xbox 360. Giocai con un discreto ritardo a The Witcher 2: Assassins of Kings. Lo trovai un gioco interessante e ben realizzato, ma tutto sommato non così incredibile come molti facevano intendere. A quel punto fui incuriosito dalla saga letteraria e mi buttati sulle due raccolte di racconti che fanno da base per i cinque romanzi principali. Devo ammettere che non riuscii a completarne la lettura per motivi che ora non saprei identificare benissimo. Direi che subentrò una leggera noia sostenuta dal fatto che non avevo un grandissimo interesse per The Witcher, in termini generali. Come ho detto, era solo curiosità.
Anni dopo venne annunciato The Witcher 3 che non solo sembrava (e si è dimostrato essere) un’opera di qualità e quantità elevatissima, ma che soprattutto pareva ricollegarsi pesantemente ai romanzi. Infatti, le prime due iterazioni videoludiche delle avventure dello strigo partivano dal presupposto che Geralt avesse perso la memoria. Un classico trucchetto narrativo per poter sì partire da una base già definita (i romanzi, appunto) ma avere la libertà di muoversi come più si preferisce. Alla fine di Assassins of Kings però, il cacciatore di mostri riottiene i ricordi.
Trovai quindi una nuova e più intensa motivazione per approcciarmi ai libri. Riuscì a penetrare la parte forse meno interessante dell’intero sforzo letterario dell’autore polacco e mi buttai sui romanzi. Purtroppo, la versione italiana era in pubblicazione per la prima volta in quegli anni e non avevo già a disposizione tutta la saga. Di più, l’ultimo romanzo era in uscita circa sei mesi dopo il terzo The Witcher. Cosa feci? Ovviamente attesi. Non volevo assolutamente rovinarmi la lettura.
The Witcher 3: il quando conta poco
Conclusa la lettura de La signora del lago, ultimo romanzo della saga escludendo La stagione delle tempeste che è un prequel leggermente indipendente, mi buttai con una discreta foga sul gioco. Lo iniziai il 30 ottobre 2015 e lo portai a termine il 19 dicembre. Un mese e mezzo abbondate di godimento ludico, narrativo e spirituale (sì, The Witcher dovrebbe essere eletto a filosofia di vita). Giocarlo dopo mesi non aveva alcuna importanza. La qualità dell’opera di certo non scadde e la mia attesa fu ripagata da una maggiore consapevolezza riguardo la narrazione.
Fu un’esperienza notevole. Non fu solo una questione di gioco, ovvero di sistema di combattimento, di evoluzione e di una buona storia. Il punto di The Witcher 3 è che ti da in mano un enorme mondo vivo. Un insieme di villaggi poveri e sporchi, di guardie cittadine sgarbate che inneggiano a Radoviv, di banditi accampati in un angolo remoto del bosco, di urla nella notte di ghoul che straziano qualche cadavere in decomposizione. È sentirsi parte di qualcosa di intenso e meravigliosamente realizzato. Qualcosa che vuoi gustarti fino all’ultima goccia.
The Witcher 3: Hearts of Stone e Blood and Wine
Poi arrivarono le espansioni. La prima si concentra su una storia d’amore e oscuri segreti, mentre la seconda ci porta tra i vampiri e il vino di Toussaint, regione da favola nel sud.
Avevo deciso fin dal principio di giocarle: il gioco base era troppo bello e quegli extra troppo invitanti per poterli ignorare. Venivano venduti ad un prezzo base onestissimo e proponevano una quantità di contenuti incredibile.
Per mia politica, però, volevo attendere di averle assieme e di poterle recuperare con uno sconto valido. Alla fine successe e, dopo qualche tempo, le giocai. Nello specifico tra la fine di marzo e l’inizio di aprile del 2017, più di un anno dopo la mia esperienza col gioco principale.
Come fu? Notai la qualità e giocai a delle bellissime espansioni. Ma non vissi tutta l’esperienza allo stesso modo. E fu colpa mia, sia chiaro.
Il quando conta molto
Mi resi conto che quel mio gusto (ossessione?) per il completamento di un gioco, seguito direttamente dal suo “abbandono”, mi segnava ormai pesantemente. Riprendere in mano un’opera per vivere degli extra, era diventato per me uno sforzo. Non riuscivo più a gestire l’esperienza positivamente. Mi pareva fittizio. Mi ero già immerso in quel mondo stupendo, ma avevo fatto quello che dovevo.
Non è solo una questione di “noia” o di mancanza di novità, è proprio la sensazione di aver già avuto tutto quello che mi era dovuto. CD Project Red non mi aveva lasciato un vuoto dentro, alla fine di The Witcher 3. È un gioco in cui non si sente la netta mancanza di ciò che è stato poi proposto con le espansioni. Questo mi è successo con Bloodborne e con l’espansione The Old Hunters: platinata l’ultima fatica di Miyazaki, sentivo che ci voleva ancora qualcosa, sia a livello di combattimenti, boss e oggetti da equipaggiare, sia a livello narrativo (o di lore, per meglio dire).
È incredibile come un gioco più completo abbia con me una data di scadenza più netta. Se mi sono divertito moltissimo, non desidero più divertirmi. Direi che non serve più dire che sono un po’ strano, eh?
Voi invece? Cosa ne pensate? Dopo mesi e mesi, riuscite a riprendere in mano un gioco per vivere degli extra? O ormai siete soddisfatti così come siete? Ditecelo nei commenti!
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