Call of the Sea è il primo titolo di Out of the Blue Games in arrivo su piattaforme Xbox e PC: ecco cosa ne pensiamo in questa recensione
Fra i molti autori che si sono dedicati alla narrativa fantastica nel corso dello scorso secolo, Lovecraft è sicuramente uno di quelli che più di tutti ha trovato terreno fertile presso il cosiddetto mondo nerd. Giochi da tavolo, giochi di ruolo cartacei, giochi digitali, fumetti, film: è una storia che non c’è bisogno di ripetere. Eppure, crediamo che in pochi siano riusciti a ricreare le modalità narrative del Maestro di Providence al di fuori di contesti non letterari.
Nel suo saggio “La letteratura fantastica“, il critico e filosofo Cvetan Todorov classificava il fantastico come l’esitazione provata da un essere vivente di fronte ad eventi che non possono essere spiegati tramite le leggi naturali. Quando l’esitazione cessa di esistere e il mistero viene svelato, si passa allora al genere dello strano o a quello del meraviglioso.
Anche Lovecraft vive di esitazioni, siano dei suoi personaggi o dei suoi lettori, ed è questo l’aspetto che lo caratterizza di più. Gran parte delle produzioni ispirate ai suoi racconti, invece, sembra soffermarsi sul suo lato orrorifico, fatto di mostruose creature e antiche civiltà dimenticate. Come vedremo in questa recensione, gli autori di Call of the Sea hanno dimostrato che l’esitazione lovecraftiana può essere riletta anche per lanciare un messaggio di speranza.
Un altro titolo per il Game Pass
L’opera prima di Out of the Blue Games è arrivata l’8 dicembre sul Game Pass. Il servizio di Microsoft, come abbiamo già spiegato altrove, permette la produzione e la distribuzione di titoli più piccoli e lontani dai gusti del mercato. Per quanto sia ancora difficile prevedere quanto questo nuovo modello economico influirà sulle opere più costose, attualmente non abbiamo molti motivi per lamentarci. Grazie al servizio, Microsoft è riuscita a riempire buchi della sua lineup, sfornando ben sette titoli esclusivi nel corso di un anno, quasi tutti di buona – se non ottima – qualità.
Anche in questo caso siamo davanti ad un’opera molto valida, che non si preoccupa troppo di compiacere il pubblico più generalista. Noi speriamo che presto si possa raggiungere una dignità davvero letteraria del media, lontana dai verbi che usiamo comunemente, spesso appartenenti al campo semantico della violenza e della competizione.
Insomma, in questa recensione vorremmo parlarvi di Call of The Sea come racconto fantastico, prima che come videogioco.
Mai fidarsi di un documento – Recensione Call of the Sea
Apriremo la nostra recensione di Call of the Sea con uno degli insegnamenti più importanti della filologia: mai fidarsi di un documento! Non si sa mai chi potrebbe averlo scritto, né se le parole contenute al suo interno raccontino eventi o dati reali. Sin dai tempi del Manoscritto ritrovato a Saragozza, seminale opera di Jan Potocki, l’utilizzo di questo espediente narrativo serve ad insinuare nel lettore il germe del dubbio. Quello che ho letto è successo davvero? Devo credere al narratore che racconta le sue vicende in prima persona?
Norah Everhart, la protagonista di questa avventura, deve aver creduto alle lettere di suo marito Harry, partito per le isole polinesiane nel tentativo di trovare una cura per la malattia della moglie. Da molto tempo Harry sembra essere scomparso, per cui Norah decide di seguire le sue tracce, nonostante le difficoltà legate alla sua condizione di salute. La sua pelle è ricoperta da strane macchie e la forza sembra abbandonarla ogni giorno di più; in più, alcuni strani sogni la tormentano e sembrano richiamarla verso un luogo lontano e impossibile da definire.
Call of the Sea si apre proprio con un sogno, prima di riaprire gli occhi e ritrovarci all’interno di una cabina. Sin dall’inizio il titolo ci offre una narrazione che è fatta, appunto, di documenti. Potremo sfogliare il diario di Norah in qualsiasi momento, leggendone i pensieri e ricostruendo quanto avvenuto prima dell’inizio del racconto vero e proprio. Non solo: potremo anche ascoltare i suoi pensieri qualora decidessimo di analizzare uno dei tanti dettagli dell’ambientazione.
L’essenza di Lovecraft, quindi, è già presente nella narrazione tramite documenti e nel racconto in prima persona. Una volta che Norah sarà sbarcata sull’isola dove avverranno le vicende principali, ovviamente, entreremo in contatto anche con eventi ed entità che non appartengono a questo mondo, e chi conosce l’autore statunitense già saprà di cosa stiamo parlando. Call of the Sea, però, non vuole raccontare il Lovecraft materialistico e visivo che è stato assimilato dalla cultura di massa.
L’enfasi sul sogno e su ciò che non è possibile vedere è il perno dell’opera. In un particolare momento saremo naufraghi su una spiaggia sconvolta da un temporale. Sugli scogli in lontananza sarà possibile scorgere una sagoma indistinta, offuscata dalla pioggia. La protagonista non la riconoscerà. È forse un uomo? O è qualcos’altro? Noi abbiamo ancora il dubbio. Non esiste alcuna risposta. L’esitazione del reale si è manifestata nella sua totalità.
Il romanzo e la realtà – Recensione Call of the Sea
Out of the Blue Games non ha realizzato un’opera angosciante, come sarebbe lecito aspettarsi da un’ambientazione simile. Norah, esplorando l’isola misteriosa, inizierà a migliorare nelle sue condizioni di salute. Il giocatore, assieme a lei, scopre una vitalità assopita, come se la sua (la nostra) malattia stesse iniziando lentamente a svanire. È il richiamo dell’avventura, sicuramente. La mente umana, del resto, è portata a dimenticare ogni problema quando viene sottoposta a nuovi stimoli.
Eppure, Norah è anche attratta dal richiamo del mare, che è poi il richiamo della Natura, ma anche del sogno e dell’irreale. Messe da parte le angustie della vita quotidiana e di una realtà poco soddisfacente, l’unico rifugio è costituito da ciò che non si può comprendere e che non ragiona secondo la logica delle idee scientifiche. Quella di Norah è una fuga dal mondo della scienza, che le permetterà di scoprire una nuova possibilità esistenziale.
Call of the Sea non parla tanto di sacrifici umani e creature provenienti dallo spazio profondo (questi elementi sono presenti solo sullo sfondo), ma è un’indagine sull’individuo e sul suo rapporto con la realtà. La narrazione è gestita con grande eleganza e non ha tempi morti, nonostante l’andamento lento del titolo. Per gli amanti delle scelte a tutti i costi sono disponibili anche due finali differenti, che permettono al giocatore di dare il proprio tocco personale alla storia. Entrambi ci sono sembrati giustificati e assolutamente plausibili. Senza la necessità di eccedere in momenti di pathos troppo pacchiani, Out of the Blue racconta una vicenda delicata e più profonda di quanto potrebbe sembrare.
Non chiamatelo Walking Simulator – Recensione Call of the Sea
Call of the Sea non è un simulatore di camminata. Siamo molto lontani dalle dinamiche anti-ludiche di titoli come What Remains of Edith Finch o Dear Esther. Siamo più dalle parti di Myst e delle vecchie avventure grafiche in prima persona. Infatti, l’opera di Out of the Blue è scandita dalla risoluzione di vari enigmi che dovremo affrontare per procedere lungo i sei capitoli dell’avventura. L’elemento ludico è quindi molto presente ed è realizzato anche con una certa cura che non abbiamo disprezzato.
Non sarà presente alcun inventario e l’interazione della protagonista col mondo di gioco avverrà solo tramite elementi dell’ambientazione: leve da tirare, pulsanti da premere, pilastri da spostare e molto altro. Ogni volta che troveremo un indizio utile alla risoluzione del puzzle, Norah segnerà qualcosa sul suo taccuino, il quale diventerà la base da cui iniziare a ragionare sul da farsi.
Se i primi enigmi sono abbastanza semplici, a partire dalla metà del titolo dovremo spremere un bel po’ le meningi per capire cosa fare. Il team di sviluppo, però, ha davvero messo a disposizione del giocatore tutte le prove di cui avrà bisogno, realizzando alcune sequenze molto complesse, ma altrettanto affascinanti, che ci hanno molto colpito e ci hanno anche riportato indietro nel tempo, quando prodotti di questo tipo erano decisamente più comuni.
I puzzle sono tutti diversi fra loro e il gioco non ci ha mai annoiato. Siamo lontani dalla monotonia di altre opere simili, che richiedono talvolta di svolgere sempre la stessa azione in contesti o varianti differenti. Gli autori si sono sforzati di infondere un po’ di varietà nel loro prodotto, e si passerà dal dover abbassare un ponte fino alla ricostruzione di una lingua morta tramite alcuni simboli rupestri. In sei ore ci siamo divertiti come non mai a connettere ogni volta tutto quanto, provando grandissima soddisfazione una volta arrivati alla soluzione.
Tanti pappagalli – Recensione Call of the Sea
La maggior parte dell’avventura è ambientata su di un’isola tropicale, ricca di vegetazione e sentieri montuosi e pappagalli. La direzione artistica di Call of the Sea predilige texture semplici e modelli poligonali stilizzati, soffermandosi maggiormente sui colori e sugli effetti di luce. Il risultato è molto simile a quello che già abbiamo apprezzato in Sea of Thieves, seppur con un dettaglio più basso e con una varietà forse più ampia di ambientazioni. Norah spesso avrà delle visioni che la porteranno in luoghi remoti ed indefiniti, come deserti ed oscure profondità oceaniche. Il risultato è di sicuro effetto e abbiamo apprezzato molto la ricostruzione delle antiche rovine polinesiane. Il tocco esotico di molti racconti lovecraftiani è stato perfettamente ricreato.
Dove Call of the Sea fallisce è, purtroppo, sul versante prettamente tecnico. Non tanto per l’aspetto stilizzato e fumettoso usato dagli svilupatori, quanto per alcuni errori grafici fastidiosi. In alcune sezioni, passando da un luogo ad un altro, abbiamo assistito a vistosi ritardi nel caricamento di interi modelli – ad esempio un intero gruppo di tende. Non è un problema troppo grave, ma sicuramente è in grado di rovinare la splendida atmosfera dell’opera. Anche il frame rate, su Xbox One, è ballerino. Di solito è stabile sui sessanta fotogrammi al secondo, ma non mancano dei cali anche vistosi.
Non influiscono sull’esperienza generale, visto che non parliamo di un action o di uno sparatutto, però è comunque un peccato che ci siano. Il doppiaggio è solo in inglese (sono presenti i sottotitoli in italiano) e si limita alle sole voci di Norah ed Harry: entrambi gli attori sono stati molto bravi. Anche la colonna sonora ci è sembrata molto valida, offrendo brani dai tratti delicati e rilassanti, adeguati al contesto.
Lovecraft mon amour
Arrivati al termine di questa recensione, possiamo dire che Call of the Sea è un ottimo titolo sotto quasi tutti gli aspetti. Siamo di fronte ad una rilettura molto intelligente delle opere di Lovecraft e di fronte ad una bella avventura grafica vecchio stile. Le velleità da Walking Simulator sono presenti, ma sono arricchite da enigmi complessi e divertenti che non si preoccupano troppo di far spremere le meningi al giocatore.
Più di tutto, però, ci ha colpiti la grande qualità letteraria dell’opera. Out of the Blue ha ricreato con grande maestria l’esitazione del reale teorizzata da Todorov, e che tanto spazio occupa nell’opera di Lovecraft. Gli sviluppatori hanno compreso molto bene cosa rende così speciale il Maestro di Providence: non l’horror cosmico – non solo; ma il dubbio del lettore nei confronti di quello che gli viene raccontato. Ecco perché l’avventura di Norah può permettersi di essere rilassata per tutta la sua durata.
Avete provato Call of the Sea? Fatecelo sapere nei commenti e rimanete sulle pagine di tuttoteK per le notizie più importanti sul mondo dei videogiochi.
Punti a favore
- Finalmente un titolo davvero Lovecraftiano
- Trama e scrittura di spessore
- I puzzle sono tutti molto divertenti
- Ottima direzione artistica
Punti a sfavore
- Ci sono alcuni problemi grafici
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