In occasione del 61esimo anniversario della missione Sputnik 5, raccontiamo le storie di Laika, Belka e Strelka, i tre cani protagonisti della “corsa alla luna”
L’utilizzo di animali a scopo di ricerca è da sempre motivo di dibattiti etici. Oggi, grazie al progresso tecnologico, è possibile testare la sicurezza della maggior parte dei prodotti senza ricorrere a questa triste pratica. Nel corso del secolo scorso, tuttavia, quest’ultima era largamente diffusa, soprattutto in ambito spaziale. In esso, infatti, ogni piccolo errore di calcolo poteva risultare fatale per gli astronauti a bordo.
Nel corso della missione sovietica Sputnik, diversi animali sono stati inviati in orbita. Alcuni, come Laika, hanno perso la vita. Altri, come Belka e Strelka, sono successivamente atterrati in perfette condizioni di salute. In occasione del 61esimo anniversario della missione Sputnik 5, raccontiamo la storia di questi tre eroi che, inconsapevolmente, hanno salvato la vita di decine di uomini.
Laika: la condanna a morte di Sputnik 2
Il 3 Novembre 1957, la capsula spaziale sovietica Sputnik 2 lasciò la stazione di Bajkonour con a bordo Kudrjavka, un meticcio di taglia piccola denominato dai media “Laika”. Il suo nacque come viaggio di sola andata: il satellite, dopo aver orbitato, sarebbe dovuto rientrare nell’atmosfera terrestre a circa metà anno successivo, disintegrandosi prima di imbattersi sulla superficie. La capsula era piena di sensori, per monitorare istante per istante le condizioni di salute della cagnetta. Il quadro, già abbastanza crudele di per sé, aveva dei retroscena di gran lunga peggiori.
Durante il duro addestramento, Laika aveva già sofferto abbastanza. Per abituarsi alle condizioni di volo, fu costretta a trascorrere numerose ore in spazi angusti e centrifughe in azione. Tutto era stato organizzato per abituare il suo piccolo cuore a sopportare una grande dose di sollecitazioni meccaniche e di paura. La versione effettiva dei fatti, venuta alla luce solo qualche decennio dopo, è decisamente triste. Laika morì dopo qualche ora dal decollo, a causa del surriscaldamento del satellite che le provocò terribili sofferenze.
Ma non è finita qui. Secondo i piani, la capsula sarebbe dovuta rimanere in orbita fino ad esaurimento del carburante. Tale episodio, però, si registrò solo qualche giorno dopo la partenza, rendendo l’esperimento e quindi il sacrificio della cagnetta piuttosto inutile dal punto di vista scientifico.
Belka e Strelka: sopravvivere all’egoismo sovietico
La mattina del 19 agosto 1960 partì, dalla rampa Gagarin, il satellite artificiale sputnik 5, con capsula di tipo Vostok. In questo lancio, gli astronauti furono davvero numerosi: si contavano infatti due cani, un coniglio, due ratti, 40 topi e 15 contenitori con moscerini da frutta e una varietà di piante e funghi. Grazie alla vasta gamma di esseri viventi trasportati, il peso del veicolo ammontava a quasi cinque tonnellate.
Il piano della missione prevedeva il raggiungimento dell’orbita, la percorrenza di sedici ellittiche e il successivo rientro in atmosfera. Il tutto, venne svolto in un’unica giornata. A differenza di Sputnik 2, questo lancio si sviluppò come previsto e infatti, il 20 agosto 1960, la capsula atterrò completamente integra. Dopo aver effettuato dei controlli, si notò che tutto l’equipaggio godeva di perfetta salute.
Sputnik 5 fu quindi la prima spedizione con equipaggio terrestre ad avere successo. A causa del forte impatto sociale e politico di questo evento, Belka e Strelka entrarono subito nei cuori delle famiglie sovietiche, come simbolo di forza e di fedeltà. Dopo la loro morte, avvenuta naturalmente qualche anno dopo, i due cani subirono l’imbalsamazione e le loro salme sono ancora conservate presso il Museo dei Cosmonauti a Mosca.
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I due racconti presentano prologhi simili ma finali completamente diversi. Dalla storia di Laika, Belka e Strelka dovremmo tutti imparare una lezione: prima di prendere delle decisioni, di qualsiasi tipo esse siano, ci sono delle domande che necessariamente devono essere poste. Si potrebbe iniziare, ad esempio, da un semplice: “Ne vale davvero la pena?”
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