La fotografia analogica può ancora insegnare qualcosa al fotografo digitale moderno, aiutandolo ad affinare la propria tecnica di scatto spegnendo un po’ di tecnologia
I miei primi ricordi del mondo della fotografia analogica (quella digitale ancora non era nata) risalgono a quando da bambino vedevo il babbo in barca con la sua intramontabile Olympus OM2; ricordo anche i suoi continui borbottii legati alla dimensioni della borsa, resa “importante” dal più classico dei teleobiettivi Tamron che giaceva pressoché inutilizzato.
Da analogico a Digitale, ma non del tutto
In adolescenza, dopo aver usato per anni la compatta impermeabile Canon che aveva sostanzialmente sostituito la OM2, ho iniziato a scattare con fotocamere digitali.
Circa 2 anni dopo l’acquisto del mio primo corpo a ottiche intercambiabili sono venuto a conoscenza della possibilità di scattare foto nell’infrarosso, anche se mettiamo i puntini sulle i (di infrarosso) in quanto si tratta della parte dello spettro visibile con lunghezza d’onda maggiore, piuttosto che dell’infrarosso vero e proprio. Lo scorso anno ho scoperto che è possibile modificare i sensori delle fotocamere digitali per esporli all’infrarosso. Avendo io, anche per formazione, una fascinazione per l’infrarosso, mi sono tuffato a capofitto in questo mondo, scontrandomi però con non poche difficoltà.
La fotografia infrarossa digitale è tutt’altro che banale, poiché necessita la modifica del sensore, e spesso si rischia il problema dell’hotspot (grosse aree sovraesposte sul sensore fino a sembrare macchie). Fortunatamente un giorno mi sono imbattuto in un bellissimo articolo di una rivista di fotografia che recensiva una nuova pellicola pancromatica, cioè sensibile a “tutte” le lunghezze d’onda, quindi appunto anche nell’infrarosso.
La Pellicola Pancromatica
Il caso vuole che contemporaneamente avessi per le mani un corpo analogico Minolta acquistato di occasione assieme ad un’ottica, e che non riuscivo a rivendere.
Ho deciso quindi di acquistare una pellicola pancromatica e iniziare a scattare, forte del fatto di poter utilizzare le stesse ottiche del corpo digitale. Il bello della pellicola pancromatica è che si comporta come una normale pellicola in bianco e nero. Montando un filtro apposito sull’ottica la si espone alla sola radiazione infrarossa. Costo complessivo dell’investimento 25€ per filtro e pellicola da 36 pose contro i circa 200 per un corpo digitale modificato per infrarosso. I primi scatti li ho realizzati al battesimo del mio secondogenito, dove ho portato la macchina a pellicola per cercare di realizzare con il bianco e nero qualcosa di diverso delle solite foto ricordo, delegate al gentile cognato. Ricordo di avere messo l’occhio nel mirino diverse volte senza premere il pulsante di scatto, frenato dal timore di sprecare lo scatto con una composizione non ottimale. Altri scatti li ho persi per non essere riuscito a mettere a fuoco in tempo.
Mi resta però soprattutto lo stupore nell’osservare le stampe di un paio di scatti ben riusciti (compresa la discussione con la moglie che voleva spedire un ritratto di mia figlia a un casting pubblicitario), che mi spinse a insistere e a cercare dei soggetti (sostanzialmente luoghi ricchi di fogliame) per gli scatti in infrarosso. In totale in quell’anno ho realizzato un centinaio di scatti con pellicole bianco e nero, e 2-3 di questi sono nella mia personale galleria di migliori scatti. Contando quanto scatto in digitale è un fatto sorprendente, sopratutto data la mia scarsa padronanza del mezzo, almeno inizialmente.
La fotografia analogica: esercizio e non solo
Considero la fotografia analogica un po’ come un esercizio mentale: secondo me il modo ideale per approcciarla è con grande calma e riflessione, prendendosi tutto il tempo necessario per realizzare gli scatti. È proprio questo tempo dedicato alla prefigurazione dello scatto che nasconde i più grandi insegnamenti. E allenandosi i tempi di riflessione si accorciano, aumentando la probabilità di portare a casa lo scatto desiderato.
Questa è la prima lezione a mio modesto parere: pensare maggiormente a che cosa stiamo scattando, curando maggiormente la composizione. Si tratta di un concetto arcinoto e ribadito ovunque, ma quando lo si prova sulla pelle è diverso e molto più facile da comprendere. L’atteggiamento “faccio uno scatto in più tanto poi lo cancello se non mi convince” cela dietro di sé il bulimico rischio di trascurare la composizione per scattare più volte, sperando che magicamente uno degli scatti della sequenza sia corretto.
Usare un oggetto così desueto mi ha fatto tornare in mente la OM2 di papà: riprendendo in mano questo ferro vecchio di 40 anni, inutilizzato da almeno 15, sono rimasto stupito e contrariato dalla mia reflex digitale, comoda, confortevole, plasticosa e con lo stesso peso in volume quasi triplo. Ho così capito che c’era qualcosa non quadrava per quanto riguardava il mio stile e le mie esigenze.
I cambiamenti in me come fotografo
E infatti dopo un periodo di riflessione ho deciso di vendere il corredo reflex e passare ad una mirrorless, con un corredo che complessivamente pesa 100g in più del precedente solo corpo digitale. Non ne faccio una questione di purismo, ma di opportunità: un corredo così snello me lo porto sempre dietro e le possibilità di scatto aumentano molto rispetto a prima. Ho conservato una sola lente di tutto il corredo reflex, uno zoom 35-70/4, che è saldato sul mio corpo analogico. In attesa della bella stagione in cui riprenderò l’infrarosso, l’ho utilizzata soprattutto all’aperto, quando desideravo uscire un po’ dagli schemi, perché magari c’era qualcun altro che scattava le foto o perché cercavo un risultato diverso esponendo una pellicola scaduta.
E se le due strade fotografiche ora proseguono su due binari paralleli, non posso negare le contaminazioni fra le due: l’uso di un corpo più spartano e limitato mi obbliga a concentrarmi sulla composizione, abitudine che inizia a dare i suoi frutti anche in digitale. Un corredo così scarno mi ha anche permesso di capire come ridurre all’osso il corredo digitale in base alle mie esigenze: meno lenti, meno cambi e più scatti!
Quando sono indeciso su qualche cambio di corredo mi rifaccio sempre all’esperienza di papà che con il 28mm e il 50mm faceva tutto egregiamente. E 20 giorni di vacanza stavano in 36 pose, anzi l’ultimo giorno aveva sempre la macchina in mano per finire il rullino… Una bella lezione per un fotografo digitale abituato a migliaia di scatti per scheda di memoria!
Claudia
28 Marzo 2018 alle 0:02È vero! Concordo con tua moglie: ricordo scatti dei tuoi figli che sembrano rubati ad un’agenzia Pubblicitaria!!! Complimenti per la dettagliata carrellata dei tuoi esperimenti fotografici e per la citazione sul mitico rullino del papà dove ci si faceva stare tutta la vacanza! Chissà che non mi appassioni anch’io almeno un po’…io che di scatti ne faccio pochi pure col digitale…che vergogna
Sebastiano Spinelli
28 Marzo 2018 alle 7:18Ciao Claudia e grazie del commento. Per me si è trattato di un percorso “naturale” dal momento che ho iniziato a prendere un po’ sul serio la fotografia. Mi ero reso conto di essere ad un livello tecnico troppo basso per riuscire a realizzare decentemente gli scatti che mi prefiggevo. Credo che sia quella la molla che può far mettere in gioco..scattare poco non è male, è molto più importante essere soddisfatti dei risultati!