I trofei sono il pane quotidiano di un videogiocatore, indipendentemente dal fatto che li cerchi o meno. Oggi scopriamo come io mi rapporto con loro, tra sfide e limiti
Trofei. Obiettivi. Achievements. Conta poco come vogliamo chiamarli. Conta solo che li vogliamo ottenere uno per uno, fino all’ultimo. Per vantarci e gongolare con gli amici (virtuali o meno) o anche solo per poterli rimirare nella tranquillità di una serata noiosa, simboli delle ore spese con gusto e saggezza su varie opere videoludiche. Videogame che non se ne andranno dalla nostra memoria anche grazie a loro, i trofei.
O forse no. Mica so quello che piace a tutti. Oggi sono qui per scrivervi ciò che io penso su questo argomento, suggeritomi dal nostro Cristhian Greco (applausi e grida di giubilo dagli spalti).
Prima, però, un paio di considerazioni generiche: leviamoci di torno le inezie tecniche.
Trofei: la genesi
Gli obiettivi salgono sul podio nel 2005, sulla seconda console di Microsoft: Xbox 360. Arriveranno sulla terza home console di Sony solo nel 2008, con il nome di trofei. Se volessimo considerare il generico concetto di “achievements”, potremmo andare molto più indietro, financo agli anni ottanta. Non siamo qua, tuttavia, per fare un’analisi storica dell’argomento. A noi interessa la forma moderna che abbiamo tra le mani qui e ora.
E a conti fatti, cosa sono questi trofei? Una legiferazione di ciò che, bene o male, è sempre esistito in questo medium: uno scopo finale. Un traguardo da raggiungere, un obbiettivo a cui puntare, un trofeo da accaparrarsi. Abbiamo già parlato di quale sia per me lo scopo definitivo, in un videogame, ma nel mezzo ce ne possono essere molti altri, minori ma comunque gustosi.
Trofei: piccole critiche e verità
Voglio, però, risolvere una seconda questione, così da poter vivere serenamente il nostro discorso. Parliamo brevemente di tutte quelle critiche e/o verità sui trofei che sono talmente banali e inutili da risultare solo fastidiose quando vengono messe al centro della discussione.
I trofei non interessano a tutti nello stesso modo. Dobbiamo farcene una ragione: il che non è nulla di complicato, in teoria. Purtroppo alcune persone sono infastidite dai trofei. Nel corso degli anni e di innumerevoli discussioni sull’argomento, ho individuato due principali tipologie di giocatori che fanno parte di questa categoria. Mi piace chiamarli “La volpe” e “L’orgoglioso”.
La volpe
La prima tipologia è facile da esaminare: è come nella storiella de “La volpe e l’uva”. Sono persone che vorrebbero avere un sacco di trofei (per i motivi più disparati) ma non possono. Che sia per questioni di tempo, di soldi, di capacità o voglia, la verità è che queste persone non riescono ad avere un numero di trofei o obiettivi sufficienti a soddisfarli. Di conseguenza li rigettano, li considerano una caratteristica inutile e criticano chi “va a caccia”.
L’orgoglioso
La seconda tipologia è leggermente più elaborata. L’orgoglioso è la tipica persona che guarda al passato come un luogo mitico pervaso da gloria e magnificenza. La caratteristica frase dell’orgoglioso è “Un tempo i giochi li completavi al cento per cento perché ti piacevano e potevi ottenere delle ricompense nel gioco; oggi tutti completano i giochi solo per dei numeretti!”.
L’orgoglioso rivede nella pratica moderna della “caccia ai trofei” una svalutazione morale di ciò che lui ha sempre fatto e di cui si poteva fregiare con orgoglio.
Io e i trofei: una storia in quattro passi
Ora, è il momento di parlare un po’ di me e della mia personale esperienza con i trofei. Parlare di tutti i singoli platini sarebbe, ovviamente, follia: ho diviso la mia “storia” in passi salienti. Tratteremo quei platini che possono mostrare il modo in cui io mi sono approcciato “alla caccia” nel corso degli anni.
Passo uno: Assassin’s Creed 2
Il mio primo platino fu quello del secondo capitolo della saga Ubisoft. Assassin’s Creed 2 fu un titolo che attesi tantissimo e che mi donò alcune tra le migliori ore di gioco della generazione PS360. Una volta completata la storia principale non mi ritenevo però soddisfatto: avevo voglia di giocare ancora, di correre per le città, di arrampicarmi e di combattere. Di conseguenza spulciai la lista trofei: fino a quel momento non me ne ero mai realmente interessato, ma a quel punto era diventata una specie di “lista delle cose da fare”. Una scusa per spendere ancora qualche ora per fare ciò che mi diverte, mantenendo però uno scopo.
Passo due: Batman Arkham Asylum
Arrivai a un punto di svolta dopo alcuni mesi. Assassin’s Creed 2 aveva dato il via alla caccia ai trofei e nel periodo successivo ottenni quelli di inFamous, Little Big Planet e Heavy Rain. Mi rendo conto ora che c’è una caratteristica specifica che unisce questi quattro titoli: l’ottenimento del platino era stato più una questione di tempo e dedizione, piuttosto che di vera e propria abilità.
Un altro titolo che mi era piaciuto moltissimo e a cui mi ero dedicato anche in relazione agli extra fu Batman Arkham Asylum. Quando, però, venne il momento di tentare le sfide secondarie più avanzate mi persi d’animo: erano difficili e non avevo voglia di frustrarmi per ottenere qualche trofeo extra.
Poi scoprì che un amico le aveva completate: lì scattò la sfida. Se lui ci era riuscito, io non potevo essere da meno. Fu una situazione letteralmente unica, non si ripeté più che fossi spinto dall’esterno a ottenere un platino. Eppure è parte integrante di me e dell’idea stessa dei trofei: provare di essere il più bravo. Primeggiare è uno dei motivi per cui vado a caccia di trofei, sebbene lo faccia solo per me stesso e non per vantarmene con altri.
Passo tre: Vanquish
Una buon storia ha sempre bisogno di un momento in cui l’eroe cade in crisi e si ritrova a soccombere. Non si può farne a meno. Ecco quindi il capitolo in cui io giunsi al mio limite e non potei proprio superarlo.
Fino a quel punto, la caccia ai trofei era per me qualcosa di molto semplice: se un gioco mi piaceva, lo completavo. Bastava un po’ di tempo e di impegno.
Poi arrivai a Vanquish. Giocai più e più volte la storia, a tutti i livelli di difficoltà, completando le sfide imposte dai trofei, trovando i collezionabili sparsi ovunque, facendo tutto. Be’, non proprio tutto chiaramente. Impattai con violenza contro le missioni secondarie, esterne alla modalità storia. Non ci riuscì. Il livello di difficoltà era talmente elevato che morivo dentro ogni secondo di più. Era impossibile per me completarle.
Vanquish è ancora lì. Con un solo trofeo mancante a fissarmi, come un diavoletto maligno che ghigna nel buio irridendoti per il tuo fallimento. È il ricordo che sono umano e la mia volontà e il mio impegno alle volte non sono sufficienti.
Passo quattro: The Last of Us e Kingdom Hearts 2
Con i primi tre passi ho sufficientemente coperto la mia esperienza con i trofei. C’è però un ultimo punto, che mi piacerebbe analizzare. Se dovessi dare un nome al capitolo di questa storia sarebbe: “Il dovere”.
Ci sono stati casi, nel corso degli anni, di giochi che ho completato per puro divertimento o per il gusto di primeggiare, ma più di rado l’ho fatto anche perché sentivo che un gioco si meritava di essere completato al cento per cento. Poiché era un’opera talmente bella e ben realizzata che sentivo il dovere di porgere rispetto a lei e ai suoi creatori dando tutto me stesso e facendo tutto quello che c’era da fare.
Casi come The Last of Us in cui ho giocato due intere campagne online (da quindici ore ciascuna) sebbene io non trovi un gran gusto in questo tipo di modalità. O anche Kingdom Hearts 2 (ovviamente nella versione remaster su PS3) dove ho sconfitto Lingering Will (Volontà residua) e il dannato fungo nero numero 1, sebbene abbia elencato tutti i santi con appellativi derivanti dal mondo animale sfruttando tutta la mia fantasia per evitare di prendere a testate il muro all’ennesimo game over.
Opere che con la loro magnificenza mi hanno permesso di superare il mio limite.
Storia di un cacciatore di trofei
Questo è il racconto della mia esperienza. Nella vita di tutti i giorni, primeggia ancora il primo passo: i trofei sono più una scusa per giocare ancora un po’, poiché io ho sempre bisogno di un motivo per giocare. Ho bisogno di completare qualcosa per dare un senso alle ore spese. Solo di rado lo faccio per senso di sfida, per dovere o per la necessità di superare i miei limiti.
Ora però tocca a voi. Come vivete i trofei? Siete sereni o vi trasformate in volpi orgogliose? Ditecelo nei commenti!
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