Hype, caro vecchio amato hype. Ci accompagni per mesi fino all’uscita di quel nuovo e bellissimo gioco, ma a cosa abbiamo dovuto rinunciare?
Immaginate questa situazione.
Siete davanti al computer, state bazzicando un po’ nel magico mondo dell’internet: aprite tuttotek.it e scoprite che è appena stato reso pubblico un nuovo e lungo video di gameplay di quel gioco che vi ha veramente incuriosito. Cosa fate? Cliccate immediatamente e ve lo guardate tutto. Trenta minuti, o anche più, di gioco. Ve lo studiate, lo assorbite, lo bramate. Già immaginate quando potrete fare le stesse cose, controller alla mano. Siete carichi di hype e una scimmia gigante urlatrice saltella sulle vostre spalle.
Siete proprio certi che sia una buona idea? Io, dal 2012 (sì, è quella storia che vi avevo anticipato), non più.
A spingermi a ricredermi su uno dei capisaldi della mia vita videoludica è stata una delle sorprese di quegli anni: Dishonored.
Dishonored, il re degli assassini
Dishonored si infiltra sulle nostre macchine da gioco nell’ottobre 2012 ad opera di Arkane Studios. Stiamo parlando di un titolo steampunk fantasy di genere stealth. Interpreteremo Corvo Attano, guardia reale ingiustamente accusata di regicidio. Il nostro obbiettivo, una volta fuggiti dalle prigioni grazie all’aiuto di alcuni ribelli, sarà quello di vendicarci di chi ci ha incastrato e liberare Emily, figlia della regina e vera erede al trono.
Corvo otterrà, però, dei poteri oscuri: in sogno, uno strano figuro conosciuto e venerato come Esterno ci offrirà delle capacità superiori. Si parte con un teletrasporto a breve raggio, passando per una visione magica che ci permette di rilevare guardie e oggetti utili intorno a noi, per arrivare all’evocazione di ratti e capacità di possessione. Con queste abilità dovremo infiltrarci in varie zone, con l’obbiettivo di eliminare i nostri nemici. L’approccio, per quanto sia sempre consigliata la furtività, è a discrezione del giocatore.
Dishonored, vittima dell’hype
Dishonored era uno dei titoli che più attendevo all’epoca. Vuoi per l’estetica pregna di stile e carattere. Vuoi per l’ambientazione: queste isole buie e sporche, sull’orlo del tracollo, in mezzo ad una tecnologia steampunk. O magari per il genere in sé, uno stealth game che prometteva discreta libertà d’azione.
Lasciando perdere il prodotto finale e quanto mi sia piaciuto, si può affermare con certezza che ero vittima dell’hype. Non potevo fare a meno di andare in cerca di ogni brandello di informazione, di anteprima, di qualche secondo di filmato extra.
Arrivò, infine, il trailer di gameplay definitivo: un’intera missione giocata nella sua completezza senza particolari tagli o montature. Subito lo guardai, godendomi ogni dettaglio, ogni sfumatura: adoravo analizzare il filmato deducendo anche tutte quelle caratteristiche di gioco che ancora non era state spiegate apertamente. Si trattava della missione ambientata nel Golden Cat, forse una delle location più riuscite del gioco: non a caso fu scelta per presentare ampiamente l’opera.
Ancora oggi ricordo quell’area perfettamente: credo che potrei infiltrarmici in questo esatto momento, senza difficoltà particolari. Di certo fu così la prima volta, quando ebbi il gioco in mano. Tale situazione mi fece quindi sorgere una domanda: ne è valsa la pena? Pensai a quella dolce e al tempo stesso bruciante sensazione che mi aveva accompagnato per mesi, che avevo cullato e ravvivato giorno dopo giorno con articoli e filmati, con sogni ad occhi aperti e speranze effimere: l’hype valeva veramente quanto il gusto della sorpresa?
Una scelta per il futuro
La mia risposta fu no. Semplicemente non mi andava più di cedere all’hype per mesi, arrivando poi all’opera tanto attesa sapendo già molto. Sia chiaro, non è solo una questione di spoiler: il punto non è essere già a conoscenza di dettagli importanti della trama, vedendosi quindi rovinata l’esperienza narrativa. Io rifuggo gli spoiler come se fosse una filosofia di vita, sì, ma in questo caso il punto è proprio il desiderio di farsi sorprendere appieno.
È un comportamento che mantengo anche con serie televisive e film: i trailer sono ormai carichi di informazioni e hanno il preciso scopo di non sorprenderti, di non farti correre alcun rischio. Il pubblico, parlando ovviamente di grandi numeri e non di persone in particolare, non desidera rischiare di trovarsi davanti a qualcosa che non sia esattamente nelle proprie corde: di più, non vuole più scoprire cose nuove. Certo, parlando soprattutto dei giochi, i costi per queste opere di intrattenimento sono elevati e tutti noi vogliamo evitare sprechi di soldi: questo comportamento è stato però estremizzato, a mio parere. Infatti, il pubblico non desidera nemmeno farsi sorprendere in positivo: ho come l’impressione che sia considerato sbagliato farsi trovare impreparati. Non si vuole assolutamente trovarsi di fronte a qualcosa di più bello di quel che ci si sarebbe aspettati.
Come scappare dall’hype correndo meno rischi possibili
Certo, anche adottando una filosofia di vita come la mia possono insorgere dei problemi. Non è tutto una grande e bella sorpresa. Inoltre non si può sempre resistere all’hype. Si deve più che altro gestirlo nel modo giusto, centellinandolo verso quelle opere che se lo meritano veramente. Si deve spiare il nuovo gioco, senza svelarsi troppo.
C’è comunque bisogno di informarsi, di sapere cosa si ha di fronte. Alle volte si può tentare la sorte, seguendo la semplice ispirazione o fidandosi di team rodati che propongono qualcosa di nuovo, ma di base si deve avere almeno una piccola idea di cosa si andrà a giocare e della qualità dell’opera. Trailer e presentazioni montate, anche senza contare la perdita della sorpresa, saranno però sempre un poco ingannevoli: non si può basarsi su di essi per capire realmente cosa avremo tra le mani. Come fare allora?
Con le recensioni. Tramite le parole di chi abbiamo imparato a leggere. Sapendo interpretare gli articoli di chi lo fa per professione: non è infatti sufficiente che la recensione sia di qualità e oggettiva, bisogna imparare a confrontare i propri gusti con l’oggettività altrui.
È infatti necessario conoscere sé stessi e questo mondo videoludico in costante crescita. Comprendere i propri gusti e sapersi indirizzare con un semplice colpo d’occhio a quelle opere che più potremo apprezzare. È necessario impegno e costanza, informandosi su un po’ di tutto e non partendo prevenuti nei confronti di certe opere.
Sommando tutto questo arriveremo al punto in cui potremo dominare questa nostra passione e non rischieremo più di farci trovare impreparati; non rischieremo più di sorprenderci.
Hype e sorpresa, come gestirli
Già. Cercando la soluzione per farsi sorprendere, si conclude che bisogna imparare a non farsi sorprendere. Forse quindi il gusto della sorpresa non dovrebbe essere il nostro obbiettivo costante. D’altronde l’hype incontrollato non può tornare alla ribalta. Il controllo di questa nostra passione e una costante apertura verso generi non esplorati sono probabilmente l’unica via possibile.
Le sorprese, io credo, arriveranno da sole. Dopotutto, non ci si può stare all’erta, in attesa di una sorpresa: è proprio un ossimoro.
E voi, cosa ne pensate? L’hype vi pervade continuamente? Preferite di gran lunga scoprire il più possibile di ogni gioco anche a costo di rovinarvi la sorpresa? Ma riuscite ancora a sorprendervi? Ditecelo nei commenti!
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