Detroit: Become Human cammina tra noi e ormai non può nascondersi: scopriamo nella nostra recensione se le macchine hanno superato il Test di tuttoteK
L’idea di avvicinare il mondo dei videogame e quello del cinema risale a ben prima dell’avvento di David Cage e Quantic Dream. Fahrenheit, Heavy Rain e Beyond: Due Anime non sono stati i primi (possiamo tornare fino ai tempi della Sega d’oro, a fine anni Ottanta) ma certamente hanno fatto crescere il concetto di “avventura cinematografica”, soprattutto in era PlayStation 3, grazie alla maggiore potenza tecnica resasi disponibile con la console.
Detroit: Become Human continua su questo solco senza deviare, ma cercando di scavare ancora più in profondità per creare un tracciato più chiaro per il futuro.
Detroit: Become Human, una storia (non) fantascientifica | Recensione
Siamo nel 2038, a Detroit, capitale tecnologica degli Stati Uniti. Gli umani hanno ormai affidato le proprie vite agli androidi della CyberLife, macchine umanoidi che eseguono ogni ordine con solerzia e precisione. Sebbene non tutti amino questi esseri, il progresso non può essere fermato anche a scapito di un aumento del tasso di disoccupazione e della decadenza ambientale.
Qualcosa, però, sta cambiando: gli androidi, come in ogni sogno/incubo degli amanti della fantascienza, cominciano a sviluppatore il libero arbitrio e si trasformano in “devianti”. Noi dovremo vivere le avventure di tre di essi: Kara (che conosciamo fin dal lontano 2013), un androide che va oltre la propria programmazione per salvare una bambina picchiata dal padre; Markus, un deviante che ha il desiderio di donare la libertà a tutti gli androidi; e Connor, una macchina che caccia altre macchine, il segugio della CyberLife che indaga sui casi dei devianti.
La storia di David Cage, come molte altre opere di fantascienza, non vuole raccontare direttamente di fantascienza, ma sfrutta la tematica per parlare di umanità, di vita e libertà personale. Non siamo in un futuro impossibile, siamo nel 2038, a due passi da noi: un futuro che ovviamente non potremo raggiungere in così breve tempo, ma che ci dice “tutto questo è reale e possibile”. Fatta nostra la sospensione dell’incredulità, dovremo condurre i tre personaggi verso un futuro migliore.
Detroit: Become Human, deviare (non) è umano | Recensione
Per portare Kara, Markus e Connor ai uno dei vari finali, dovremo giocare come abbiamo sempre fatto. Quantic Dream, come è stato detto in apertura, non devia dal solco tracciato nell’ultimo decennio. Dovremo affidarci ai classici Quick Time Event per interagire con l’ambiente o per risolvere le situazioni più “action” del gioco, dovremo continuamente scegliere cosa dire o come comportarci per far avanzare la trama e determinare il nostro rapporto con i personaggi non giocanti che ci graviteranno attorno. Ogni scelta e ogni azione porta a piccole o grandi variazioni di trama: a convincere è sopratutto la fase finale in cui tutti i nodi vengono al pettine e le relazioni che abbiamo creato apriranno percorsi ben diversi.
Detroit: Become Human è certamente il gioco con più possibilità e “biforcazioni” narrative tra i videogame di David Cage o, forse, è l’opera che le rende più esplicite. Alla fine di ogni capitolo, infatti, avremo accesso a un diagramma che ci indicherà quando e in quanti modi avremmo potuto affrontare la situazione proposta in modalità diversa. Le scelte non effettuate saranno nascoste, ma sapremo che esistono altre possibilità: un’aggiunta molto utile soprattutto per i completisti che desiderano scoprire ogni dettaglio, anche senza dover attendere enormi guide.
Detroit: Become Human, (non) c’è due senza tre? | Recensione
Dobbiamo quindi concludere che chiunque abbia apprezzato le opere precedenti di Cage, apprezzerà anche Detroit? Sì e no. Questi giochi rispondono a una serie di necessità: scoprire una trama ben narrata, vivere una storia “unica” in base alle proprie scelte ed eseguire un roleplay, un gioco di ruolo, possibilità che si lega a doppio filo con le precedenti.
Detroit: Become Human sembra voler dare un po’ tutto, relegando ogni personaggio a un compito narrativo e ludico ben preciso. Se da un lato significa che ogni tipo di giocatore troverà qualcosa che gli piace, al tempo stesso significa che molti correranno il rischio di non essere mai convinti al 100% dall’opera.
Non volendo fare spoiler, è molto complicato indagare nella struttura narrativa e ludica di Detroit, ma possiamo dirvi che le situazioni proposte sono varie e mediamente molto intriganti. Connor ci permette di vivere inseguimenti e alcuni frangenti investigativi ben pensati per il tipo di opera che abbiamo tra le mani; Kara sarà la regina del roleplay e dell’emotività (impossibile non essere coinvolti nella sua storia sì semplice ma innegabilmente d’impatto) mentre Markus sarà il condottiero di una trama più ampia che allarga le tematiche verso il sociale e il filosofico.
Proprio quest’ultimo risulta forse il meno completo: Markus ricopre il proprio ruolo e lo fa ottimamente, ma è proprio il ruolo a essere (volontariamente) limitato. Markus è più “imbrigliato” rispetto ai due compagni. Forse alcuni lo apprezzeranno proprio per questo, proprio perché con lui accadono “i fatti veri”, ma altri si sentiranno limitati nel vivere la sua storia, sì modificabile dalle nostre scelte, ma con una direzione fin troppo precisa e prevedibile.
Detroit: Become Human, (non) è tutto al meglio | Recensione
A non convincere al 100% è anche la componente tecnica dell’opera. Se da un alto abbiamo le animazioni (soprattutto facciali) dei personaggi principali che incantano con la loro espressività (aiutate, tra l’altro, da un validissimo doppiaggio italiano), dall’altro abbiamo qualche microrallentamento e varie texture che faticano a caricarsi. Vista la predominanza di primi piani e la saltuarietà di queste limitazioni, non si tratta di nulla di particolarmente sensibile, ma nel complesso a livello tecnico Detroit: Become Human è “solamente” buono.
Detroit: Become Human è questo: un’opera di qualità che parte dal passato e non vi si allontana, dando al giocatore una versione potenziata ed espansa dei precedenti giochi di Quantic Dream. Detroit piacerà sicuramente a tutti i fan del genere, sebbene forse molti non saranno convinti fino in fondo. La trama “nasconde”, inoltre, una buona fetta di informazioni dietro un finale che potrebbe essere perso durante la prima run e potrebbe rendere leggermente incompleta l’esperienza di chi non vuole rigiocare questo tipo di opere.
Punti a favore
- Una trama umana e convincente
- Valido doppiaggio italiano
- Molte scelte disponibili
Punti a sfavore
- Lievi limiti tecnici
- Un personaggio poteva essere reso meglio
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