Bentornati al nostro appuntamento settimanale con In the mood for East, rubrica interamente dedicata al cinema orientale. Oggi vi parliamo di A Bloody Aria di Won Shin-yeon
Questa settimana su In the mood for East, la nostra rubrica di approfondimento sulla cinematografia orientale, torniamo al cinema degli anni Duemila. Tra le tantissime meritevoli proposte della Corea del Sud c’è l’imbarazzo della scelta, come abbiamo più volte affermato durante i nostri appuntamenti. E ne troverete davvero per tutti i gusti, anche per chi si vuole divertire con un po’ di sangue e violenza.
Se questo è il vostro caso, allora A Bloody Aria farà proprio per voi. Il film è diretto nel 2006 dal regista ed ex stuntman Won Shin-yeon, dopo l’interessante ma imperfetto horror The Wig. Un po’ survival horror, un po’ slasher, un po’ thriller, un po’ commedia nera, il secondo lungometraggio del regista sudcoreano spiazza per la sua lucida follia e per un cast in splendida forma.
Trama e trailer | A Bloody Aria
La giovane In-jeong (Cha Ye-ryun) è di rientro da un’audizione per un musical assieme a Park Yeong-sun (Lee Byung-joon), suo professore di canto nonché celebrità dell’ambiente musicale. La serenità del viaggio viene interrotta da un battibecco con un poliziotto (Han Suk-kyu), in seguito ad una multa per passaggio col rosso. Accantonata la faccenda, i due fanno sosta in una zona appartata di campagna, dove l’uomo cerca maldestramente di abusare della ragazza, provocandone la fuga.
In-jeong pensa di essere al sicuro nel momento in cui incontra Bong-yeon (Lee Moon-sik), che si offre di darle un passaggio verso la stazione degli autobus. I due raggiungono però il professore, caduto nelle mani di una banda di deviati bifolchi, di cui lo strano ometto è in realtà il capo. In-jeong e Yeong-sun diventano mira dei sadici giochi del gruppo, ma qualche evento inaspettato scombinerà le cose per tutti, invertendo la rotta tra vittime e carnefici.
Come il gatto col topo | A Bloody Aria
Il punto di partenza di A Bloody Aria è tutto sommato banale, o quantomeno abbastanza comune all’interno del genere horror. Una famiglia o gruppo di persone mentalmente disturbate prende di mira i malcapitati di turno, trasformando la loro tranquilla giornata in un vero e proprio incubo. In effetti, come non pensare immediatamente alla celebre saga degli svariati Non aprite quella porta e compagnia cantante?
Il rimando è evidente, ma Won Shin-yeon decide di non soffermarsi sull’impianto orrorifico classico fornito dallo spunto narrativo. Al contrario, condisce la sua sorprendente opera con un umorismo nerissimo e un ritmo per niente scontato. Non bisogna aspettare troppo perché i due protagonisti incontrino i villain di turno, ma il regista non sembra avere fretta di scoprire le sue carte. Won Shin-yeon gioca con lo spettatore come i carnefici giocano con le loro vittime, o come un gatto giocherebbe con un topo. Ed è verso la fine che arriva la zampata finale, con l’aumentare del ritmo e un’esplosione di violenza dai connotati grotteschi. Quello che prima era un sottile gioco perlopiù psicologico diventa nell’ultima mezz’ora un tripudio di sangue e immotivata ferocia, tra umiliazioni, soprusi e vendette.
Nel farlo, Won Shin-yeon si allontana dal barocchismo di certo cinema connazionale, prediligendo un’ambientazione naturale, con i suoi ampi spazi aperti e luminosi, ma non per questo rassicuranti. Altro punto di forza del film va ricercato nella colonna sonora camaleontica, capeggiata da El toreador, tratto dal secondo atto della Carmen di Bizet. Una colonna sonora che sottolinea gli eventi ora gravemente, ora con ironia, ora con una nota malinconica, dimostrandosi perfetta sintesi delle diverse anime del film.
Cosa accomuna l’essere umano? | A Bloody Aria
Alla fine di tutto, sappiamo davvero poco a proposito delle motivazioni che spingono i personaggi verso la violenza. Intuiamo qualcosa verso la fine, ma ciò che accade non è sufficiente a completare il quadro. Follia? Trauma? Il semplice gusto di farlo? L’una, l’altra, probabilmente tutte e tre. Ciò che sappiamo per certo è che dal principio sentiamo di non poterci fidare di loro. Ognuno è sporco, marcio, nell’aspetto ma anche nell’animo. Il fatto che esista un gruppo di “cattivi” non significa però che gli altri personaggi (ad eccezione della ragazza) sfuggano al degrado interiore, chi per un motivo, chi per un altro.
Ogni personaggio è ben costruito, ognuno con le proprie piccole e bizzarre caratteristiche. Merito non solo di una scrittura attenta, ma anche di un gruppo di attori perfettamente in parte, nessuno escluso. Dall’inquietante Lee Moon-sik all’ambiguo Han Suk-kyu, dalla dolce Cha Ye-ryun al viscido Lee Byung-joon, terminando con Oh Dal-su e Kim Shi-hoo, entrambi già visti in Lady Vendetta.
La verità è che tutti si rivelano uguali: gli evoluti e agiati abitanti della città e gli arretrati e barbari abitanti della campagna. Nessuno sfugge all’istinto animalesco e brutale insito nell’essere umano, tutti alla fine cedono alle proprie debolezze. È importante notare come la netta disuguaglianza tra classi sociali sia spesso protagonista del cinema sudcoreano. Basti pensare, tra gli esempi più recenti, a Bong Joon-ho, le cui opere da sempre portano in prima linea questa tematica (Snowpiercer e Parasite su tutti).
Conclusioni
Con A Bloody Aria, Won Shin-yeon riesce a insinuarsi subdolamente nella percezione dello spettatore. Chi guarda è destabilizzato da una violenza che potrebbe sembrare gratuita, ma è in realtà funzionale alla storia. L’essere umano viene scandagliato e denudato di tutte le sue convenzioni sociali, finendo per mostrarsi nella sua cruda brutalità. Un film estremo e selvaggio, o per citare il titolo, un'”aria sanguinolenta” a tutti gli effetti.
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