Vorrei farvi partecipi del fantastico viaggio che ho voluto intraprendere ad inizio anno: giocare la saga di Kingdom Hearts per la prima volta, dall’inizio alla “fine”
Quella della quale andrò a parlare tra queste righe di testo è una delle saghe più burrascose, frastagliate e (spesso) contraddittorie di sempre. È strano, quando si parla delle opere di Nomura si è legati spesso da ricordi che enfatizzano momenti e risvegliano emozioni passate, ma per me non è stato così.
Premetto che, per garantire a tutti di poter leggere queste righe, non ho inserito particolari spoiler all’interno dello speciale, ma alcuni riferimenti di base per rendere bene l’idea di ciò che volessi comunicare.
Per quanto cerchiamo di imporci quotidianamente vari paletti da rispettare, rientrando in un forzato schema giornaliero, le cose migliori accadono casualmente, molte volte andando contro la corrente che pretendiamo di seguire. Questo è proprio quello che è successo a me nel febbraio di quest’anno. Nonostante gli impegni che riempivano le mie tediose giornate, decisi di intraprendere quello che inizialmente sembrava esageratamente impegnativo, ma si rivelò il viaggio videoludico più emozionante di sempre. Nonostante i numerosi titoli più recenti ancora da recuperare, infatti, decisi di entrare in un mondo che da sempre aveva attirato la mia curiosità ma che, fino ad allora, non aveva incrociato il mio cuore: Kingdom Hearts.
In realtà non era la prima volta che vestivo i panni di Sora. Il mio primo approccio con la saga però fu tutt’altro che piacevole. Alla tenera età di 8 anni (almeno credo), attirato dai personaggi Disney inclusi nel pacchetto, scelsi proprio il primo capitolo in un negozietto di zona. Nonostante questa faccenda sia ormai sdoganata, c’è qualcuno che continua ancora a pensarlo, quindi è utile ribadire che Kingdom Hearts non è assolutamente un videogame rivolto ai più piccoli, motivo per cui lo abbandonai al primo Darkside presente nel gioco, un po’ impaurito e un po’ dubbioso che il tizio del negozio mi avesse bellamente trollato.
Sarà stato sicuramente grazie a quei pochi minuti di gameplay effettuati da piccolo (altrimenti non saprei dare motivo a tutto ciò), ma una volta avviato il primo capitolo, già dal menù iniziale con Dearly Beloved in sottofondo, fu come come se Sora, Riku e Kairi aspettassero solo me per iniziare il loro viaggio. Prima di ogni cosa, vi consiglio di avviare il video postato sotto, in modo da immergervi meglio.
Kingdom Hearts: la saga che ha aperto il mio cuore | Capitolo 1
Dualshock in una mano e Keyblade nell’altra, nel giro di due settimane ho divorato il primo capitolo. Vi dico la verità, io sono un videogiocatore che difficilmente riesce a iniziare avventure troppo vecchie data proprio la giocabilità non al passo con i tempi ma, nonostante ciò, il gameplay di Kingdom Hearts, sebbene a volte un po’ troppo macchinoso, non è stato affatto spiacevole.
La motivazione principale che mi ha trainato verso il finale è stata ovviamente la trama. Dall’inizio dell’avventura, partendo con il protagonista e i suoi due amici nella totale quiete delle Isole del Destino, fino al primo faccia a faccia con gli heartless e la corsa per preservare la luce, attenuando l’oscurità nei cuori grazie alla speciale arma, la trama riesce a maturare in modo sconvolgente fino ad arrivare, poi, al magnifico ending.
Si, quell’ending che visto oggi riesce a far mettere le mani tra capelli di chi lo guarda per la prima volta e non solo. Un misto di sensazioni intense, non solo grazie alle strabilianti animazioni 3D, ma anche per via delle musiche le quali rispecchiano in modo chiaro e preciso ciò che provano i protagonisti, trasmettendole al videogiocatore.
Gli stessi temi che sono centrali in tutti i capitoli della saga, ossia l’amicizia e l’amore, si intensificano nonostante a viverli siano dei veri e propri ragazzini. Sora ha la volontà di salvare i mondi dall’oscurità e allo stesso tempo Kairi e Riku, ma la sua forza diviene tale solo grazie all’amicizia con Pippo, Paperino e ai legami con altri cuori. Quest’ultimo è un concetto fantastico che va oltre al videogioco stesso.
Io sono parte del cuore dei miei amici e loro del mio. i miei amici sono il mio potere ed io il loro!
Kingdom Hearts: la saga che ha aperto il mio cuore | Capitolo 2
Una volta giocato Chains of Memories (odio i giochi di carte da quel giorno) e guardato tutti i filmati di 358/2 Days ero pronto ad affrontare il secondo capitolo. Sebbene i due episodi sopra citati siano considerati degli spin-off, Nomura (ideatore e direttore della saga) ama inserire pezzi di trama davvero vitali in ognuno dei capitoli. Nei due spin-off e, in generale, nel secondo capitolo, avremo più temi chiave, i quali riescono a stravolgere la trama della saga, portandola ad un livello superiore e più maturo.
L’accento posto su Riku, Roxas e non solo, riesce a far intendere quanto potenti siano i legami, quanto bisogna essere forti per proteggere ciò che si ama e quanto, nonostante tutti affermino il contrario, bisogni perseverare per inseguire i propri ideali.
Qui conosceremo i Nessuno che, come Roxas, sono essenzialmente cloni di chi è stato “ucciso” da un Keyblade e che (tecnicamente) pertanto saranno privati di ogni emozione oltre che del proprio cuore. Quest’immagine, unita poi a come i ricordi vengono trattati, mi ha fatto adorare Kingdom Hearts II.
Mentre da una parte avevo un Sora che, sempre grazie ai legami del suo cuore e ai propri amici, tentava di sconfiggere i membri dell’Organizzazione XIII (composta da 13 perfidi Nessuno), dall’altra ero ormai affezionato a questi teorici pupazzi vacanti come Roxas, Axel ed altri, i quali non solo hanno provato che i Nessuno riescono a percepire delle forti emozioni e possiedono ricordi delle loro precedenti vite, ma godono di una grande forza di volontà e soffrono dato che, come il nome fa presumere, non sanno se siano reali o meno, ma combattono per provarlo.
Anche qui vi è un dualismo e se da una parte vogliamo che il nostro protagonista possa farcela, dall’altra ci chiediamo se anche i vuoti alter-ego, nonostante tutti gli episodi che accadono, possano ritornare, ma come impareremo, chi vive nei ricordi non è mai destinato a scomparire per sempre.
Potremmo non rincontrarci più, ma non ci scorderemo mai.
Con più di qualche domanda e un’ennesima emozionante cinematica finale, Kingdom Hearts II era ormai giunto ai titoli di coda. Prima del terzo capitolo, però, la strada era ancora bella lunga.
Kingdom Hearts: la saga che ha aperto il mio cuore | Capitolo 2.5
Birth by Sleep è stato il capitolo che nel tempo (insieme a Chains of Memories) ho impiegato di più a terminare. Le motivazioni non sono randomiche, ma risiedono nel gameplay che ci farà rivivere eventi molto simili con 3 personaggi differenti: Terra, Aqua e Ventus.
A livello di trama, però, questo è idealmente uno dei migliori episodi. Il vero problema per me sono stati i dialoghi che per tutti e 3 gli archi narrativi hanno finito con l’essere blandi e poco approfonditi. Ho usato il termine “idealmente” perché reputo questo capitolo simile ad un libro dato che spesso e volentieri finiremo con il rielaborare nelle nostre menti le varie scene, prendendo solo il concept di base e migliorandole.
Una volta arrivato al finale segreto, il gioco prende il volo, riuscendo a fare da collante tra i capitoli precedenti e i futuri, dando numerose spiegazioni e sviluppando i personaggi in modo più preciso. Proprio quel finale ci prepara a Kingdom Hearts 0.2 – A fragmentary passage che, insieme a Dream Drop Distance, ci avvicina sempre di più alla conclusione del viaggio finora.
Visti anche i filmati che raccontano Re:Coded (un capitolo bello incasinato), sono subito passato a Dream Drop Distance che non solo aggiunge il concetto di sogno (ingarbugliato proprio come piace a Nomura) ma anche quello dei viaggi nel tempo, essenziale per il futuro della saga e per capire come molti eventi passati siano potuti accadere.
Kingdom Hearts: la saga che ha aperto il mio cuore | Capitolo 3
Proprio come un fan di vecchia data, prima di iniziare il terzo e ultimo capitolo della saga ho voluto guardare i vari trailer precedenti all’uscita del gioco e, sempre come un fan di vecchia data, ero non solo gasato, ma emozionato perché avrebbe essenzialmente rappresentato la fine del viaggio che ho voluto intraprendere a inizio anno.
Vedere molte delle scene che hanno accompagnato alla grande questo terribile 2020, riproposte in Unreal Engine 4, è stata una gioia per gli occhi. L’attesa si era ormai dilungata troppo e, quindi, a settembre ho ufficialmente iniziato Kingdom Hearts III.
Sarà stato il comparto tecnico, le cutscene, la piega (ancora) più adulta che prende il brand, la speranza nel rivedere volti legati al cuore di Sora (e ormai anche al mio) che prende forma. Fin troppe cose mi hanno fatto adorare KH3. Nonostante non sia un trophy hunter, consumare il lettore con il fine di completare tutti gli obiettivi presenti nel titolo è stato il pensiero che ha subito raggiunto la mia mente, una volta visto lo splendido ending sulle note di Don’t Think Twice.
Dopo ben 55 ore passate (non solo a concludere la trama ma a platinare il titolo) al fianco di Paperino, Pippo e tutti i compagni grazie ai quali Sora risplende, ho dovuto dire arrivederci, non addio, alla saga che ha aperto il mio cuore.
Un solo cielo, un solo destino
Il finale dolce e amaro del terzo capitolo ha rappresentato in modo perfetto la conclusione del mio viaggio nei vari mondi attraversati dall’eroe del Keyblade. Una conclusione ove l’amore è viscerale come non mai, l’amicizia e più intensa che in passato, le domande sono molteplici e nel cuore di Sora ci sono anche io, come i videogiocatori che hanno vissuto il viaggio al suo fianco.
Sì, ci ho messo un bel po’ per portare a termine quest’avventura. Ogni capitolo mi ha lasciato qualcosa di speciale e, pertanto, me lo son goduto fino in fondo, prendendomi delle pause per rimettere insieme i pezzi di un puzzle più grande, ancora incompleto.
Ed è proprio con le note Chikai in sottofondo che scrivo queste ultime righe. Kingdom Hearts ha fatto tanto per me, specialmente estrarre i miei sentimenti tramite le potenzialità della scrittura. Alla fine è vero:
Ci sono tanti mondi, ma tutti condividono lo stesso cielo. Un solo cielo, un solo destino.
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