Dal filone creato da Amnesia e continuato con Outlast, Camel 101 ha tentato di creare il suo survival horror dando alla luce Those Who Remain, scopriamo con questa nostra recensione se vale la pena acquistarlo
Quando nel 2010 venne alla luce quel Amnesia: The Dark Descent di Frictional Games, chiunque abbia vissuto personalmente il momento aveva già capito che il mondo dei videogiochi sarebbe cambiato. In meglio o in peggio è un discorso personale, fatto sta che la serie di Frictional Games ha dato origine al fenomeno di massa dei survival horror in prima persona che hanno due principali obiettivi.
Il primo è quello di incutere paura non necessariamente attraverso i semplici “Jumpscare” (anche se sì, ci sono), ma costruendo un’atmosfera e un mondo di gioco angoscianti e terrificanti nella loro essenza. Il secondo, molto semplicemente, è quello di raccontare una storia interessante, con una vena psicologica scoperta e da toccare nei momenti giusti.
Da questo filone prova a discendere Those who Remain, titolo ambizioso di un piccolo neonato studio, Camel 101, uscito il 28 maggio scorso su PC, PlayStation 4 e Xbox One. Ne avevamo già parlato in un’anteprima basata sui primissimi minuti di gioco, e avevamo già espresso parte delle nostre perplessità.
In questo caso, invece, vogliamo addentrarci più approfonditamente all’interno di Those Who Remain, per vedere se quelle dell’anteprima erano davvero semplici impressioni o la pura e semplice verità sul titolo. Partiamo da un concetto fondamentale: il troppo stroppia. E lo stesso vale per l’ambizione.
Stay in the Light
Dormont, Colorado. Il nostro protagonista Edward, dopo un iniziale momento di autocommiserazione e ricordo della moglie “scomparsa”, si dirige verso un motel poco distante dalla città per chiudere la sua relazione con Diane, l’amante insomma. Il motel sembra essere completamente deserto, nessuno ad accogliervi, il silenzio più totale.
Tramite uno strano biglietto trovato nella stanza sul retro del bancone d’accettazione (e già questo vi fa capire come sia gestita la narrativa), Diane ci fa sapere qual è il numero della sua stanza e che la chiave è posta sotto lo zerbino. Raggiungiamo la stanza, entriamo, la doccia è aperta, ma la stanza è vuota. Il telefono squilla. “Stay in the Light”. Rimani nella luce.
Uscendo dal motel per tornare alla nostra macchina, ci accorgiamo che qualcuno ha ben deciso di rubarcela. Dovremo quindi tornare indietro a piedi verso Dormont. Ci accorgiamo, però, che nelle zone in ombra sono presente delle oscure figure dotate di asce e forconi, pronte ad assalirci ed ucciderci se ci avviciniamo troppo. “Stay in the Light” più che un ordine era quindi un consiglio. Those who Remain è esattamente questo: viaggiare da una fonte di luce all’altra per tornare a casa, evitando di essere uccisi da queste strane figure e un nemico ricorrente, che tenterà di catturarvi se vi noterà nelle varie aree.
Bilancia Instabile – Recensione Those Who Remain
Non vi vogliamo svelare altro sulla storia per evitarvi spoiler, sappiate solo che dovrete indagare sulla morte di una ragazzina di 13 anni, avvenuta qualche tempo prima proprio a Dormont. Il nostro Edward si ritroverà a dover effettuare delle scelte morali piuttosto pesanti nel corso dell’avventura. Perdonare o condannare i vari attori della vicenda porterà avanti una sceneggiatura molto interessante, ma troppo annacquata da dettagli inutili e inseriti solo per rendere la longevità del titolo soddisfacente.
È indubbio, comunque, quanto sia interessante scoprire i vari risvolti psicologici dei diversi personaggi che hanno portato al tragico epilogo e, spesso, scegliere se “perdonare o condannare” non sarà sempre così semplice.
Those who Remain è un puzzle game mascherato da survival horror. Un ibrido, insomma, che tenta di prendere elementi da entrambi i generi, fallendo quasi nella totalità. Se nelle prime ore di gioco l’atmosfera oppressiva delle ombre che ci osservano costantemente ha un certo effetto, specialmente nei novizi dei survival horror, alla lunga queste figure diventano semplicemente un contorno.
Una sorta di muro invisibile da aggirare in qualche modo. Anche la presenza del nemico ricorrente, esteticamente sciatto, mostra i limiti del titolo. A differenza di titoli come Amnesia o Outlast, non avrete alcuna capacità se non il correre. Non potrete accovacciarvi, nascondervi, ripararvi. Nulla. Se quindi verrete individuati, molto probabilmente verrete catturati considerando il breve tempo con cui questa figura vi sarà addosso.
Cerca la chiave, trova la chiave, usa la chiave – Recensione Those Who Remain
Dicevamo, ad inizio recensione, che il vostro principale obiettivo sarà rimanere nella luce. Per far ciò, nelle varie aree in cui vi ritroverete, dovrete risolvere una serie di puzzle ambientali. Il problema principale è la mancanza di indicazioni un po’ più dettagliate per risolvere le varie zone.
Questo vi porterà spesso a girovagare nelle varie aree, senza sapere cosa fare, ad aprire centinaia e centinaia di cassetti inutili messi lì esclusivamente per fare ambiente. Per poi alla fine trovare quello giusto, in cui si nasconde l’unica chiave presente nella zona, che vi porterà ad aprire l’unica porta chiusa della zona e così via.
È presente anche una dimensione alternativa, accessibile tramite portali (troppo) luminosi, con gravità alterata e che vi permetterà di compiere azioni che avranno conseguenze anche sulla realtà. Potremo, ad esempio, utilizzare un diserbante sulle piante che nella dimensione alternativa bloccano la portiera di una macchina per sbloccare la stessa nella realtà. Rimane l’estrema linearità e la mancanza di inventiva per risolvere i puzzle. Il tutto ritorna sempre al: trova “oggetto A”, utilizzalo su “posto A”, prosegui in “zona B” e così via.
Il gioco dei cassetti inutili – Recensione Those Who Remain
Tecnicamente parlando, Those Who Remain risulta al netto essere appena sufficiente. Non che ci aspettassimo tantissimo da uno studio così piccolo come quello di Camel 101, ma a parte un discreto gioco di illuminazione (unico punto forte), il titolo manca di game design e dettaglio. I modelli poligonali dei personaggi sono definibili “old gen” e gli ambienti sono piuttosto scialbi.
Abbiamo anche notato una serie di rallentamenti in alcune mappe un po’ più ampie, piuttosto fastidiosi specialmente se in movimento. Those Who Remain pecca anche di game design: le varie mappe sono completamente scollegate fra loro, senza alcuna continuità, ma spesso risultano essere davvero troppo simili tra loro. E piene di quei dannati cassetti inutili.
Altra nota dolente: il doppiaggio. Specialmente quello di Edward è piatto, anti-emotivo. Una mancanza di mordente che risulta essere la summa di tutto il gioco. Mancano delle vere e proprie reazioni umane. Ad esempio, in una mappa (evitiamo spoiler) sentiremo un bambino piangere costantemente.
Considerando che Edward non ha visto alcuna persona viva per diverso tempo, ci aspettavamo una sua reazione. Anche uno sporadico “un bambino che piange?”. Assolutamente nulla. Una volta trovata la fonte del rumore, Edward rimarrà ancor più impassibile. Un po’ come noi una volta finito Those Who Remain.
Ambizione e buone idee, speriamo nel futuro
Those Who Remain non è una vera e propria catastrofe. L’ambizione e le buone idee ci sono, forse anche troppe. Il voler creare un ibrido fra puzzle game e survival horror rende il titolo poco interessante per gli appassionati di entrambi i generi. I guizzi di sceneggiatura vengono annacquati da una troppa prolissità delle storie secondarie e tecnicamente ci assestiamo su un livello mediocre. Speriamo che Camel 101 prenda quanto di buono è stato creato e riesca a svilupparlo ulteriormente per un prossimo titolo. Con meno cassetti, per stavolta, per favore.
Punti a favore
- Sceneggiatura interessante...
- Risvolti psicologici ben gestiti
- Tante buone idee
Punti a sfavore
- ...ma troppo annacquata
- Puzzle game troppo schematico
- Survival horror troppo basilare
- Tecnicamente mediocre
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