Bentornati a un nuovo episodio de L’evoluzione dei videogiochi! In questo terzo episodio vi parlerò di un genere che mi sta molto a cuore, quello dei survival horror
Quello che molte persone cercano giocando ai videogiochi è semplicemente un po’ di svago e di divertimento. Quello che invece mi ha sempre attratto di più dei videogiochi è la loro capacità di farci provare tantissime emozioni diverse, e in particolare la paura è sempre stata quella che mi affascinava di più.
A differenza di quanto si creda, la paura è una delle emozioni più difficili da trasmettere. Far sobbalzare qualcuno con suoni forti e immagini mostruose è semplice, ma creare un’atmosfera in grado di turbare una persona è tutt’altra cosa. Il genere che per me riesce a trasmettere meglio questa sensazione è quello dei survival horror.
Una paura sempre più rara
Essere intrappolati in un luogo da incubo insieme a delle creature terrificanti mentre si cerca disperatamente di sopravvivere disponendo di risorse limitate, questa è l’essenza dei survival horror. I titoli di questo genere sono in grado di creare una sensazione di tensione e angoscia che non ho mai provato in nessun altro gioco. Purtroppo però trovare giochi in grado di offrire queste emozioni ultimamente sta diventando sempre più difficile.
Non a tutti piace spaventarsi e per questo motivo quello dei survival horror è sempre stato un genere di nicchia. Nonostante ciò, fra gli anni novanta e la prima metà degli anni duemila i survival horror erano all’apice del loro successo. In quel periodo sono state fondate le basi per moltissime serie di videogiochi storiche e ogni anno comparivano sul mercato tantissimi titoli di qualità appartenenti a questo genere.
Sfortunatamente col passare del tempo l’interesse per i survival horror è calato sempre di più e negli ultimi anni ne sono stati pubblicati davvero pochi. Certo, ci sono alcune compagnie come Capcom che continuano a sostenere questo genere e gli studi indie spesso sfornano delle piccole perle, ma ormai siamo lontani dai fasti della golden age dei survival horror.
Resident Evil – L’evoluzione dei videogiochi 3/4
Nonostante non sia il primo survival horror della storia, Resident Evil è stato il primo gioco ad adottare questa definizione. Il titolo è stato rilasciato da Capcom nel 1996 per PlayStation e ha piazzato le basi per tutti gli altri giochi di questo genere.
Resident Evil è riuscito a trasmettermi una sensazione di tensione costante mai vista prima grazie alla combinazione di vari fattori. Innanzitutto è stato il primo gioco horror a mostrare scene cruente e terrificanti utilizzando una grafica realistica. Gli scenari prerenderizzati, le texture dettagliate e il terrificante filmato introduttivo live action mi hanno aiutato a immergermi in un titolo che, a differenza di quelli venuti prima di lui, risultava estremamente realistico per quegli anni.
Resident Evil però è riuscito a fare breccia nel mio cuore non solo per la grafica, ma anche e soprattutto per il gameplay. Il gameplay si basa su elementi che in futuro saranno adottati da molti altri survival horror, come i controlli tank e la telecamera fissa. Esplorare una villa misteriosa piena di trappole e creature mostruose è già spaventoso, ma se ci aggiungiamo anche l’impossibilità di osservare i dintorni e muoversi rapidamente, diventa davvero terrificante.
Oltretutto il titolo riesce a creare ancora più tensione grazie alla gestione delle risorse, uno degli elementi cardine di ogni survival horror. Ottenere cure e munizioni è estremamente difficile, e questo mi ha obbligato a valutare costantemente quando combattere o quando scappare. Se oggi apprezzo così tanto il gameplay dei survival horror, lo devo soprattutto a Resident Evil.
Silent Hill – L’evoluzione dei videogiochi 3/4
Dopo il successo di Resident Evil, moltissime software house iniziarono ad interessarsi ai survival horror. Konami, cercando di sfruttare la fortuna del capolavoro di Capcom, decise di svilupparne una copia indirizzata al pubblico occidentale. Lo sviluppo del gioco venne affidato al Team Silent, un team di sviluppo formato da alcuni dipendenti della Konami scartati da altri reparti.
La comunicazione fra gli sviluppatori e la compagnia era minima, ma questo isolamento permise al team di lavorare libero dalle influenze di Konami, riuscendo così a pubblicare nel 1999 Silent Hill, il titolo che ha fatto sbocciare definitivamente il mio amore per questo genere. Silent Hill è riuscito a distinguersi dai suoi predecessori applicando gli elementi base del genere a una nuova tipologia di horror. Il titolo si è distaccato dal classico orrore da film di serie-B, puntando di più sul terrore psicologico e l’atmosfera.
Invece di spaventare utilizzando soltanto jumpscare e mostri orripilanti, Silent Hill mette i giocatori davanti a scenari disturbanti capaci di creare una forma di terrore più profonda e duratura. Questo tipo di paura è riuscita a fare presa su di me anche grazie a Harry Mason, il protagonista del gioco.
La maggior parte dei protagonisti dei survival horror sono militari o persone in qualche modo addestrate a combattere, ma Harry è un uomo qualunque e per questo sono riuscito ad immedesimarmi meglio in lui. Silent Hill è riuscito a toccarmi profondamente con il suo simbolismo, andando a influenzare addirittura i miei gusti in fatto di arte e letteratura. Questo gioco per me rappresenta l’eccellenza nel suo genere e non ho troppe difficoltà a etichettarlo come il mio survival horror preferito.
Eternal Darkness: Sanity’s Requiem – L’evoluzione dei videogiochi 3/4
Eternal Darkness: Sanity’s Requiem è un survival horror davvero unico. Il titolo è fortemente ispirato ai lavori di H.P. Lovecraft ed essendo un grande amante dello scrittore ne sono rimasto subito colpito. La storia ruota intorno a antichissime divinità extraplanari, un libro pieno di conoscenza proibita e una lunga dinastia di persone legate dal fato. Elementi simili ricorrono spesso nei romanzi di Lovecraft e questo mi ha fatto sentire come se stessi vivendo in prima persona uno dei suoi racconti.
Oltre all’ottima storia, il gioco offre anche delle scelte di gameplay davvero interessanti. Durante la mia avventura ho potuto impersonare tanti personaggi appartenenti a diversi periodi storici e questo ha aggiunto molta varietà al titolo. Da un momento all’altro era possibile passare dall’esplorazione di una villetta americana dell’800 a quella di un antico tempio Maya. Oltretutto, a seconda dell’epoca in cui mi trovavo, potevo disporre di equipaggiamenti diversi che hanno influenzato moltissimo il mio stile di combattimento.
Nonostante questi elementi così interessanti, quello che mi ha colpito di più e che contraddistingue Eternal Darkness dai precedenti survival horror è la barra della sanità mentale. Quando i nostri personaggi saranno esposti a eventi scioccanti questa barra si svuoterà, causando diverse allucinazioni. Queste visioni però non saranno soltanto interne al titolo, ma andranno spesso a rompere la quarta parete per spaventare direttamente il giocatore.
Quando il gioco mi fece credere di aver perso tutti i salvataggi, per poco non mi venne un infarto. Questa tecnica di rottura della quarta parete mi colpì davvero molto, dato che ancora oggi è difficile trovare giochi che riescono a utilizzarla così bene.
Resident Evil 4 – L’evoluzione dei videogiochi 3/4
Con il passare degli anni, il gameplay dei survival horror stava iniziando a perdere popolarità. Per quanto amassi il gameplay classico in stile Resident Evil, ormai iniziava a diventare davvero troppo limitato se paragonato a quello di altri titoli. Alcuni giochi avevano già provato ad allontanarsi dalla formula classica, ma il survival horror che è riuscito meglio nell’impresa è stato Resident Evil 4.
La più grande innovazione apportata dal gioco è di sicuro legata alla telecamera, dato che è stato il primo titolo ad utilizzare la visuale in terza persona “over the shoulder”. Grazie a questa visuale, finalmente ho potuto provare l’ebbrezza di mirare con precisione ai punti vitali degli infetti senza le limitazioni della telecamera fissa.
Un’altra importante differenza con i capitoli precedenti riguarda l’approccio ai combattimenti. Nei precedenti Resident Evil era importante decidere quando combattere e quando scappare a causa dalla scarsità di risorse e raramente si aveva a che fare con grossi gruppi di nemici. In Resident Evil 4 invece ci troveremo quasi sempre ad affrontare enormi orde di infetti e non dovremo preoccuparci assolutamente di restare senza proiettili.
Anche se questa svolta action del gioco ha allontanato la serie dalla sua atmosfera tipica, sono comunque riuscito ad apprezzarlo, soprattutto dato che ha rappresentato un punto di svolta per i survival horror e per l’intera industria videoludica.
Dead Space – L’evoluzione dei videogiochi 3/4
Dead Space è proprio uno dei motivi per cui apprezzo così tanto il quarto capitolo di Resident Evil. Il gameplay del titolo è estremamente simile a quello di Resident Evil 4 per quanto riguarda la telecamera e il movimento, ma si ispira di più ai survival horror classici per la gestione delle risorse. Il sistema di combattimento invece utilizza una meccanica molto originale chiamata “smembramento strategico”.
I nemici di Dead Space non possono essere uccisi colpendo punti vitali classici come la testa o il cuore, ma dovranno essere completamente smembrati. Ricordo ancora quando mi fermai per la prima volta ad osservare un’area dopo un combattimento, restando a bocca aperta per la quantità impressionante di sangue e resti di cadavere.
Uno degli aspetti che preferisco di Dead Space sono i Necromorfi, i letali e deformi mostri cadaverici che dovremo affrontare durante il gioco. Queste creature sono estremamente sfigurate e il loro design è fortemente ispirato al film The Thing. Per riuscire a rendere così disgustoso il loro aspetto, il team di sviluppo ha addirittura acquistato e sviscerato una capra morta, in modo da avere degli spunti reali su cui basare i propri modelli.
Però quello che per me rende il design di queste creature così bello e spaventoso, è il fatto che per quanto mostruose e aliene possano sembrare, è ancora possibile vedere una parvenza di umanità in loro. I Necromorfi però non fanno paura solo per il loro aspetto, ma anche per la loro pericolosità. Queste creature sono molto più agili e veloci rispetto ai classici nemici dei survival horror e dispongono di un gran numero di trucchi per cogliere alla sprovvista il giocatore, come ad esempio fingersi morti o sgusciare all’interno dei condotti dell’aria.
Per di più durante i combattimenti dovremo fare molta attenzione all’ordine in cui decideremo di rimuovere i loro arti. A seconda delle parti del corpo di cui dispongono, i Necromorfi adotteranno dei comportamenti diversi e potranno diventare davvero imprevedibili.
Alien: Isolation – L’evoluzione dei videogiochi 3/4
Nel corso degli anni molti survival horror hanno utilizzato dei potenti e inarrestabili nemici per cercare di spaventare i giocatori, ma mai nessuno è riuscito ad essere terrificante come l’Alien. Personalmente non sono mai stato un grande amante di questo tipo di nemici estremamente potenti, ma in questo caso l’alieno è riuscito a convincermi. L’Alien è un’inarrestabile macchina assassina che non può essere sconfitta con nessuna delle armi di cui disponiamo, ma non è questa la parte più spaventosa della creatura, quello che fa davvero paura è la sua intelligenza.
L’IA della creatura è stata programmata in modo da far sembrare che l’Alien imparasse ad anticipare le mie mosse dopo ogni incontro. Grazie a questo stratagemma, non mi sono mai sentito al sicuro durante tutto il gioco e sono sempre stato costretto a cercare nuovi metodi per sfuggire alla creatura.
Nonostante il gioco si concentri principalmente sull’evitare il confronto con i nemici, andando avanti è possibile trovare numerose armi e altri strumenti utili per sconfiggere i nemici minori e rallentare l’Alien. Ottenendo così tante risorse, col tempo ho iniziato ad acquisire sicurezza e abbandonare un po’ la furtività in favore di un approccio più diretto.
Questo potrebbe sembrare un difetto, ma quando ho raggiunto l’apice della forza il gioco ha fatto una mossa molto intelligente, cioè rimuovere improvvisamente di tutti gli equipaggiamenti più potenti. In questo modo il gioco mi ha privato da un momento all’altro di tutta la sicurezza che mi ero guadagnato durante la partita, lasciandomi spaesato e facendomi provare una paura addirittura superiore rispetto a quella provata nei primi incontri con l’Alien.
Ci vediamo alla prossima!
Anche questo terzo episodio de L’evoluzione dei videogiochi è giunto al termine. In attesa del quarto e ultimo episodio, vi consiglio di dare un’occhiata ai precedenti speciali sugli FPS e gli RPG. In questo articolo ho parlato di alcuni dei survival horror a cui sono più legato, ma mi sarebbe piaciuto parlare anche di tanti altri titoli. Voi avreste pensato a qualche altro gioco da inserire nell’articolo? In tal caso fatecelo sapere nei commenti!
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