Una volta raggiunto il limite fisico dei dispositivi a silicio, come potremmo migliorare le prestazioni delle nostre CPU e memorie? Una possibile soluzione viene dalla luce e dall’optoelettronica: un nuovo approccio alla progettazione di chip che mescola elettroni e fotoni
Ormai il progresso delle CPU, memorie e dispositivi elettronici non si basa più solamente sull’affinamento del processo produttivo, ma si affida soprattutto a nuove architetture e strutture per aumentare le prestazioni. Tuttavia ci sono diverse strade che tentano di distaccarsi dal puro silicio ed esplorano altre strade come quella dell’optoelettronica che fonde segnali luminosi ed elettrici. Usare la luce per svolgere calcoli e computazioni consentirebbe di aumentare la velocità e diminuire drasticamente i consumi – pensiamo alla rivoluzione che è avvenuta col passaggio dal doppino in rame alla fibra ottica. Essenzialmente l’energia che consuma una CPU o una memoria è determinata dalla dissipazione termica dovuta al moto degli elettroni nei materiali conduttori e semiconduttori e questo limita anche la velocità di commutazione dei transistor con un conseguente bound alle prestazioni generale del dispositivo. Ma con i fotoni di luce che viaggiano all’interno di una guida d’onda il problema è del tutto trascurabile. Ecco perché l’optoelettronica è un interessante settore di ricerca su cui puntare per un futuro meno energivoro.
Optoelettronica: il problema dell’integrazione
Perché se questi dispositivi sono così eccezionali non se ne vede nemmeno l’ombra in commercio? La risposta è banale: non esiste un metodo efficacie per rimpicciolire e produrre su larga scala un dispositivo optoelettronico simile a quello con cui produciamo i wafer di silicio. Il successo dell’elettronica è dovuto essenzialmente alla possibilità di realizzare circuiti su scala microscopica con metodi semplici ed efficienti. Questa è la realtà : finché i PC fossero rimasti grandi come intere stanze nessuno ne avrebbe potuto acquistare uno.
L’univa cosa che limita il successo dell’optoelettronica è quindi la possibilità di integrare su piccola scala i dispositivi. Tuttavia gli scienziati del gruppo di ricerca Harish Bhaskaran’s Advanced Nanoscale Engineering dell’Università di Oxford sono oggi riusciti a sviluppare il primo dispositivo integrato su scala nanometrica che può essere programmato sia tramite elettroni che tramite fotoni. La ricerca è stata portata avanti in collaborazione con le università di Münster ed Exeter. Si è dunque riusciti a sviluppare un dispositivo optoelettronico che coniuga computazione elettronica e fotonica, con possibilità di sviluppare CPU e memorie estremamente più efficienti, performanti, ma ance un buona parte compatibili con l’odierno ecosistema di dispositivi di consumo.
Calcoli alla velocità della luce
Dopo svariati anni di ricerca finalmente la speranza di integrare dispositivi fotonici ed elettronici diventa tangibile. Codificando le informazioni con impulsi di luce, al posto delle cariche elettriche, si potranno raggiungere velocità fino ad oggi impensabili ovvero vicine al limite fisico universale ovvero la velocità della luce. Già da parecchio era stato dimostrato come fosse possibile realizzare un calcolatore fotonico, l’unici problema era renderlo compatibile con i moderni dispositivi elettronici basati su circuiti in scala nanometrica. L’incompatibilità tra questi due mondi dipende da un principio fondamentale della meccanica quantistica: il dualismo onda-particella. Gli oggetti quantistici – compresi elettroni e fotoni – può comportarsi come un’onda (in trasmissione) o come una particella (in fase di interazione). Per realizzare una computazione si vanno a spostare pacchetti di elettroni o fotoni di qua e di là . Tuttavia la lunghezza d’onda degli elettroni è minore rispetto a quella dei fotoni. Risultato: un circuito elettronico può funzionare efficientemente in piccola scala, un circuito fotonico invece deve essere grande – quanto grande dipende dal tipo di luce che si utilizza.
Per risolvere a questo complesso grattacapo, gli scienziati hanno trovato una soluzione per confinare la luce in dimensioni nanoscopiche, come descritto nel loro documento scientifico “Plasmonic nanogap enhanced phase change devices with dual electrical-optical functionality” pubblicat0 su Science Advances. Hanno creato un design che ha permesso loro di comprimere la luce in un volume di dimensioni nanometriche attraverso un Surface Plasmon Polariton (SPP). Si tratta di onde elettromagnetiche che viaggiano all’interno di interfacce metallo-dielettrico con una lunghezza d’onda minore di quella della luce incidente (ovvero i fotoni) e composte sia da cariche in moto che da radiazione elettromagnetica.
La drastica riduzione delle dimensioni in combinazione con la densità di energia significativamente aumentata è ciò che ha permesso loro di colmare l’apparente incompatibilità di fotoni ed elettroni per la creazione di dispositivi di calcolo e memorie. Più specificamente, è stato dimostrato che inviando segnali elettrici o ottici, lo stato di un materiale foto-sensibile ed elettro-sensibile poteva passare in due diverse configurazioni. Inoltre è stato possibile leggere lo stato di questo materiale tramite la luce o l’elettronica, rendendo così questo dispositivo la prima cella di memoria su scala nanoscopica elettro-ottica con caratteristiche non volatili, come quelle dei moderni SSD, ma basata su optoelettronica. Nikolaos Farmakidis, studente laureando e co-primo autore, commenta:
Questo è un percorso molto promettente nel campo del calcolo e soprattutto nei settori in cui è necessaria un’elevata efficienza di elaborazione.
La coautrice Nathan Youngblood continua:
Ciò include naturalmente applicazioni di intelligenza artificiale le cui esigenze di elaborazione ad alte prestazioni e bassa potenza superano di gran lunga le nostre capacità attuali in molte situazioni. Si ritiene che l’interfaccia tra il calcolo fotonico basato sulla luce con la sua controparte elettrica sia la chiave per il prossimo capitolo sulle tecnologie CMOS.
La chiave di volta è che l’uso di SSP permette di coniugare lunghezze d’onda su scala nanometrica – e quindi dispositivi di dimensioni ridotte – con l’efficienza della computazione fotonica. La sfida adesso è sviluppare materiali e processi produttivi in grado di produrre in modo efficiente questi dispositivi su larga scala per dare un futuro all’optoelettronica. Dalla sezione scienze è tutto! Continuate a seguirci per tante altre curiosità e news!
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