Una kilonova è una enorme esplosione provocata dall’unione di stelle di neutroni, buchi neri o altri oggetti molto densi ed è uno dei fenomeni più estremi dell’universo. Rileggendo i dati di una kilonova del 2016 si sono aperte nuove prospettive
La scienza progredisce di giorno in giorno e non è detto che vecchi dati ormai archiviati non possono ritornare utili per essere riletti in maniera diversa per fare nuove interessanti scoperte. È il caso di GW170817, una grande esplosione di raggi gamma che nel 2016 catturò l’attenzione degli scienziati, e che ora è pronta per essere reinterpretata alla luce delle nuove scoperte sulle onde gravitazionali, associandola proprio al fenomeno della kilonova.
Kilonova: l’abbraccio di due giganti
Forse avrete familiarità con il termine supernova, che indica l’esplosione di una stella di grandi dimensioni al termine del suo ciclo vitale. Si tratta di un fenomeno estremo e distruttivo: una supernova può brillare più della galassia che la ospita in certi casi. Ma ci sono eventi ancor più spaventosi.
Un kilonova è un’esplosione astronomica che si origina dall’incontro di due oggetti celesti molto densi, tipicamente stelle di neutroni o buchi neri. Tipicamente è meno luminosa di una supernova, ma può produrre notevolmente più energia in altre forme. Molti elementi pesanti e radioattivi – a causa dell’elevata quantità di neutroni – vengono liberati durante l’esplosione di una kilonova e l’emissione elettromagnetica si concentra solitamente sulle frequenze intorno all’infrarosso. Questi eventi sono anche molto rari e non è facile rilevarli e studiarli, anche se stanno prendendo sempre maggiore importanza per quanto riguarda lo studio delle onde gravitazionali che una kilonova produce in quantità sensibili. Inoltre lo studio di questi eventi estremi può aiutarci a chiarire l’origine di elementi complessi e pesanti che non possono essere prodotti con semplici reazioni termonucleari.
Onde gravitazionali e oro: un tesoro che viene dalle stelle… di neutroni!
Uno studio pubblicato sulla rivista Monthly Notices of the Royal Astronomical Society e realizzato da un team guidato dall’italiana Eleonora Troja, ricercatrice del Dipartimento di Astronomia dell’Università del Maryland, con Roberto Ricci dell’INAF di Bologna, Andrea Tiengo e Giovanni Novara della Scuola Universitaria Superiore IUSS di Pavia e associati all’INAF tra i co-autori, si è occupato di svelare i misteri dietro la possibile kilonova del 2016.
L’ipotesi degli astronomi è che gran parte dell’oro e del platino che noi uomini ci sforziamo di raccimolare, provenga in realtà da una kilonova provocata da due stelle di neutroni. Nel 2017 grazie agli interferometri per onde gravitazionali LIGO e Virgo era stata identificata e studiata una kilonova del genere e si era potuto capire più nel dettaglio come un evento del genere potesse apparire se osservato dalla Terra, grazie al confronto tra onde gravitazionali e radiazioni elettromagnetiche rilevate. Si aveva avuto conferma che effettivamente lo scontro di stelle di neutroni produceva grandi quantità di elementi pesanti.
Metalli pesanti generati durante una kilonova
Lo studio del 2017 è stato fondamentale per poter rielaborare i dati dell’esplosione GW170817 registrati nel 2016. Anche in questo caso sono state trovate tracce che farebbero pensare ad una kilonova, come spiega Eleonora Troja:
L’evento del 2016 è stato molto entusiasmante. Era vicino e visibile da tutti i principali telescopi, compreso il telescopio spaziale Hubble della NASA e dell’ESA. Ma non corrispondeva alle nostre previsioni: ci aspettavamo di vedere l’emissione infrarossa diventare sempre più brillante nell’arco di diverse settimane. Dieci giorni dopo l’evento, non era rimasto quasi nessun segnale. Eravamo tutti molto delusi. Poi, a un anno di distanza, si è verificato l’evento rilevato con LIGO e Virgo. Abbiamo guardato i nostri vecchi dati con occhi nuovi e ci siamo resi conto di aver visto una kilonova nel 2016. I due eventi coincidevano quasi perfettamente. I dati a infrarossi per entrambi gli eventi hanno luminosità simili ed esattamente la stessa scala temporale.
Anche se l’evento del 2016 non è molto ricco di dati è estremamente importante perché si è riusciti a raccogliere informazioni fin dalle prime fasi dell’esplosione, una coincidenza molto rara. Il Neil Gehrels Swift Observatory della NASA ha iniziato infatti a monitorare l’evento GW170817 a pochi minuti dalla sua rilevazione, mentre l’osservazione di LIGO/Virgo è iniziata 12 ore l’inizio della collisione. In tutti e due i casi dovrebbe trattarsi proprio della collisione di due stelle di neutroni. Geoffrey Ryan, Postdoctoral Fellow dello Joint Space-Science Institute (JSI) anche lui in forze al Dipartimento di Astronomia dell’Università del Maryland e co-autore dell’articolo spiega quale mostro sia nato dalla kilonova:
Il residuo potrebbe essere una stella di neutroni ipermassiva altamente magnetizzata, nota come magnetar, che è sopravvissuta alla collisione e poi è collassata in un buco nero. Questo è interessante perché la teoria suggerisce che una magnetar dovrebbe rallentare o addirittura arrestare la produzione di metalli pesanti, che è l’origine della luce infrarossa di una kilonova. La nostra analisi suggerisce che i metalli pesanti sono in qualche modo in grado di sfuggire all’influenza dell’oggetto residuo.
La kilonova del 2017 osservata da Hubble e dagli interferometri LIGO/Virgo (fonte: Wikipedia)
Il cuore italiano del gruppo di ricerca con la Scuola Universitaria Superiore IUSS di Pavia e INAF si è occupato di analizzare i dati provenienti dai raggi X e registrati dai satelliti europei. I raggi X sono prodotti in grande quantità in eventi estremi e rappresentano un’importante traccia dell’evento steso. Andrea Tiengo spiega:
Le osservazioni con XMM-Newton, insieme a quelle ottenute nella banda radio, sono state fondamentali per caratterizzare l’emissione generata dal getto del lampo gamma, che contamina pesantemente l’emissione della kilonova nella banda ottica e infrarossa. Solo così è stato possibile studiare un segnale davvero pulito.
Ora la ricerca continuerà in questo senso per portare alla luce nuovi eventi registrati in passato associabili ad una kilonova. Si ricercano soprattutto dati sui raggi infrarossi perché come abbiamo detto in precedenza rappresentano il picco di emissione dell’evento. Eleonora Troja conclude:
Sono molto interessata a come le proprietà della kilonova cambino in base ai diversi progenitori e ai residui finali. Osservando un numero maggiore di questi eventi, possiamo imparare che ci sono molti tipi diversi di kilonove tutti nella stessa famiglia, come sappiamo già essere per le supernove. È davvero entusiasmante poter costruire le nostre conoscenze in tempo reale.
Lo studio di questi eventi così estremi è una delle frontiere dell’astrofisica perché non solo permette di capire la genesi di elementi pesanti e complessi, ma anche potrebbe svelare importanti novità sul problema della gravità che affligge i fisici di tutto il mondo. Dalla sezione scienze è tutto! Continuate a seguirci per tante altre news ed approfondimenti!
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