Il clima anomalo e insolitamente caldo sta colpendo anche i punti “deboli” del pianeta. Antartide e Artico non sono stati risparmiati dalla strana ondata di calore, quali sono le informazioni in nostro possesso?
Un attacco da parte del caldo, durato una settimana, ha fatto segnare temperature record in Antartide e ha causato uno scioglimento diffuso sui ghiacciai del continente meridionale. Come conseguenza questo ha determinato la perdita di circa un quinto dell’accumulo di neve regionale in un solo evento.
Antartide e Artico: la situazione al polo sud
All’inizio di questo mese, il continente ghiacciato ha stabilito due record per la temperatura più calda mai documentata sulla Terra in Antartide. La più alta è stata simile a quella dell’aria primaverile, arrivando a 20,75 °C, seguita una di 18,3 °C (registrata il 6 febbraio) misurata anche a Los Angeles lo stesso giorno. L’annuncio è arrivato appena tre giorni dopo che le osservazioni satellitari avevano catturato la rottura del ghiacciaio di Pine Island in piccoli pezzi (scherzosamente soprannominati “maialini”).
Un glaciologo del Nichols College, Mauri Pelto, ha dichiarato:
Non ho mai visto laghi supraglaciali svilupparsi così rapidamente in Antartide. Questo tipo di eventi di scioglimento possono essere visti in Alaska e Groenlandia, ma di solito non al polo sud. Ho notato una fusione superficiale simile anche nel Ghiacciaio Boydell.
Antartide e Artico: immagini dallo spazio
Le immagini scattate dall’Operational Land Imager (OLI) presente nel Landsat 8 il 4 febbraio e di nuovo nove giorni dopo, mostrano 1,5 chilometri quadrati di manto nevoso della Eagle Island saturi di acqua di fusione. I modelli climatici suggeriscono che l’area ha visto un picco di fusione di 30 millimetri il 6 febbraio. In totale la Eagle Island ha perso 106 millimetri di ghiaccio durante il caldo anomalo.
Due foto della Eagle Island scattate dal satellite, a distanza di alcuni giorni
La rapida fusione è stata causata da alte temperature significativamente al di sopra del punto di congelamento, un’anomalia che è diventata più comune negli ultimi anni, secondo la NASA. Una mappa del calore, creata usando il modello Goddard Earth Observing System (GEOS), ha registrato anche temperature record superiori ai 10 °C a 2 metri dal suolo. Le alte temperature osservate all’inizio di questo mese sono state causate da una combinazione di eventi meteorologici, tra cui picchi di pressione più elevata centrati su Capo Horn che hanno permesso lo sviluppo di un clima più caldo, mentre i venti secchi e tiepidi del Föhn probabilmente hanno portato nel continente aria più calda.
L’immagine mostra le differenze di temperatura rilevate
L’ondata di caldo di questo mese segna il terzo evento di scioglimento dell’estate antartica 2019-20, a seguito dei caldi periodi di novembre 2019 e gennaio di quest’anno. Il dott. Pelto dichiara:
Non pensate all’episodio di febbraio come qualcosa di significativo, poiché questi eventi probabilmente avverranno con più frequenza in futuro.
Antartide e Artico: coinvolto anche il permafrost
Il permafrost svolge un ruolo importante nel clima terrestre ed è anche uno dei componenti del pianeta più sensibili al riscaldamento globale. Le mappe, prodotte dalla Climate Change Initiative dell’ESA, stanno fornendo nuove informazioni sullo scongelamento del permafrost nell’Artico. Secondo l’ultimo Intergovernmental Panel on Climate Change Special Report, le temperature del permafrost sono aumentate registrando livelli elevati dagli anni ’80 ad oggi. Di conseguenza, cresce la preoccupazione che quantità significative di gas serra possano essere rilasciate nei prossimi decenni. A sua volta questo scongelamento innaturale potrebbe amplificare i cambiamenti climatici stessi.
Il permafrost è riferibile a quei terreni che rimangono completamente congelati per almeno due anni consecutivi. I più comuni di trovano nelle regioni ad alta latitudine come l’Alaska e la Siberia, o ad alta quota come le Ande e l’Himalaya. In “superficie”, i suoli permafrost dell’Artico, contengono grandi quantità di carbonio organico e materiali residui di piante morte che non possono decomporsi, mentre gli strati di permafrost più in profondità contengono suolo costituito da minerali. Quando il permafrost si scioglie, rilascia metano e anidride carbonica, aggiungendo questi gas serra all’atmosfera.
Permafrost: oggetto di diversi studi
Il permafrost è un fenomeno del sottosuolo, quindi cercare di comprenderlo facendo affidamento solo a misurazioni in situ renderebbe il tutto una vera sfida. I sensori satellitari non sono in grado di misurare direttamente il permafrost, ma un progetto dedicato nell’ambito dell’Iniziative Climate Change Initiative (CCI) dell’ESA, ha utilizzato misurazioni satellitari complementari di elementi del paesaggio, come la temperatura della superficie terrestre e la copertura del suolo per stimare l’estensione del permafrost. Questi dati combinati alle osservazioni in situ permettono di ottenere una visione a 360°, migliorando la comprensione delle dinamiche del permafrost e la sua capacità di influenzare i cambiamenti climatici.
Antartide e Artico: aggiornamenti e pareri degli scienziati
Annett Bartsch, responsabile scientifico del progetto CCI Permafrost, commenta:
Le mappe mostrano una chiara variabilità nella portata del permafrost. Questo può essere visto in Nord America e nell’Eurasia settentrionale. Sebbene le mappe forniscano informazioni utili sulla variabilità interannuale per un periodo di 14 anni, non è possibile però trarre conclusioni certe sulle tendenze climatiche.
Il dott. Bartsch consiglia ai ricercatori:
Ci aspettiamo che il progetto che interesserà la rielaborazione finale di tutte le mappe del permafrost, raccolte in un arco di 30 anni, sarà pronto per la metà del 2020.
L’uso dei dati di osservazione della Terra può fornire una copertura del permafrost spazialmente coerente, anche nelle aree più remote e inaccessibili come l’Artico. Le mappe sono fornite dal team Permafrost CCI e coprono il periodo 2003-2017 con una risoluzione spaziale di 1 km.
Josef Aschbacher, direttore dei programmi di osservazione della Terra dell’ESA, aggiunge:
Si ritiene che il ruolo del permafrost sia sottovalutato nel contesto dei cambiamenti climatici. Pertanto, l’ESA e la NASA hanno lanciato un’iniziativa congiunta, per invitare gli scienziati in Europa e negli Stati Uniti a studiare l’impatto del permafrost e di altre regioni artiche sulle emissioni globali di metano. L’iniziativa è stata lanciata a dicembre 2019 e un primo seminario scientifico è previsto per giugno di quest’anno.
La situazione globale è in continuo mutamento e cercheremo di restare sintonizzati sulla questione. Se ti interessa questa tematica potrai leggere un altro nostro articolo inerente allo stesso argomento.
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