In molti sognavano di possederla e la aspettavano per ore dietro la curva di una pista da rally. Qualcuno riuscì ad accaparrarsi un raro esemplare stradale e in pochi fortunati guidarono le versioni da gara. In ogni caso la Lancia Stratos è riuscita a lasciare il segno tanto nel cuore degli appassionati quanto in quello della gente comune. Ecco come è nato un mito dell’automobilismo mondiale
La Lancia Stratos, nata dal genio della Carrozzeria Bertone, deriva dalla dream car Stratos Zero esposta dal Carrozziere torinese al Salone di Torino del 1970. Da quest’ultima riprende la forma a cuneo molto aggressiva, tipicamente anni ’70 e la facilità di accesso agli organi meccanici, indispensabile per l’utilizzo sportivo.
Il successo che la “Zero” riscosse fu entusiasmante ed ancora oggi sono in molti coloro che la ammirano per la modernità delle forme e soluzioni adottate, per le bizzarre aperture del cofano e della “mono-portiera” anteriore e per l’altezza da terra così ridotta che Nuccio Bertone, guidandola personalmente fino allo stabilimento Lancia, passò direttamente sotto la sbarra di accesso, senza aspettare che la alzassero.
Una Lancia Stratos nella storica livrea Alitalia
Lancia Stratos: un inizio difficile
Comunque, anche se le premesse erano ottime, la nascita della Stratos che tutti conosciamo non fu per niente semplice. Perfino il nome creò a Lancia dei grattacapi… Infatti il nome Stratos era già stato registrato da un’altra azienda e dovette essere mutato in Strato’s.
Per cominciare, le belle forme della Zero dovettero essere ripensate secondo le esigenze della produzione industriale, il passo accorciato per ottenere più maneggevolezza nelle competizioni rallistiche per cui la vettura era stata pensata, l’assetto rialzato per affrontare lo sterrato. Ma la sfida più grande fu trovare un motore per farla correre veloce. Il prototipo montava infatti un motore di derivazione Fulvia, data la carenza di motori idonei in casa Lancia, che certo non forniva la potenza sufficiente per un’auto da corsa di questo calibro. Lancia cercò quindi un accordo per avere il motore V6 della Ferrari Dino, ma Enzo Ferrari in un primo tempo non si dimostrò molto disponibile.
Poco tempo dopo però, vicinissimi ad avere una fornitura di motori Maserati, alla Lancia arrivò una telefonata del Drake, che disse letteralmente: “Ve li do io i motori, lasciate stare quelli là!” L’auto ora aveva tutto ciò di cui aveva bisogno, e dopo qualche problema di assetto, abilmente risolto dai progettisti, era pronta a dominare la scena del rally mondiale nelle mani di piloti del calibro di Sandro Munari. Dopo il Rally Firestone di Spagna, la strada era ormai aperta ad un successo destinato a durare negli anni ed il mito aveva avuto inizio. Il resto è storia.
Poco importa quindi se qualcuno criticò le forme troppo “compresse” rispetto al prototipo, o il comportamento poco soddisfacente delle versioni stradali, o ancora il calore insopportabile all’interno dell’abitacolo. I fatti parlano chiaro e la Stratos è tornata tutta nuova al Salone di Ginevra nel 2018, quasi cinquant’anni dopo la sua prima apparizione, a dimostrazione che le creazioni ispirate allo storico Marchio automobilistico torinese godono ancora di un grandissimo appeal presso il grande pubblico. Del resto, basta chiedere a un qualsiasi “ragazzino” degli anni ’70-’80 quale sia l’auto dei suoi sogni e il più delle volte la risposta sarà: “La Stratos!”.
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