Bentornati al nostro appuntamento settimanale con In the mood for East, rubrica interamente dedicata al cinema orientale. Oggi vi parliamo di Two sisters di Kim Ji-woon
Eccoci arrivati al tanto odiato lunedì: ricomincia una nuova settimana lavorativa, la sveglia presto, i mille impegni… ma noi siamo qua puntuali con la nostra rubrica In the mood for East, con la quale scoprire assieme quali sono i film e i cineasti orientali da non lasciarvi scappare!
Per gli appassionati di cinema orientale, è doveroso aprire una parentesi riguardante il genere horror. Il Giappone ci ha infatti regalato – a partire da Ringu (1998), di Hideo Nakata – alcuni dei film più inquietanti degli ultimi trent’anni. Il filone è ormai noto in tutto il mondo con il nome di J-horror. Tant’è che Hollywood ha spesso pescato a piene mani dalla cinematografia asiatica per i suoi remake, ottenendo in alcuni casi grande successo (il The Ring di Gore Verbinski è la dimostrazione più lampante), mentre in molti altri non dimostrandosi all’altezza degli originali.
Anche la Corea del Sud ha proposto negli ultimi anni degli ottimi prodotti, per quanto riguarda il genere horror. Uno dei più iconici è sicuramente Two sisters (conosciuto a livello internazionale come A tale of two sisters), film del 2003 diretto dall’istrionico Kim Ji-woon. Il regista e sceneggiatore coreano è riuscito a passare con grande naturalezza dalla black comedy (Quiet family) al noir (Bittersweet life), dall’horror alla detective story (I saw the devil), dall’azione (The last stand – L’ultima sfida) al western (Il buono, il matto, il cattivo). E già questo basterebbe per dimostrare la sua grande abilità dietro la macchina da presa.
Con Two sisters riesce a conferire un valore aggiunto ad un genere che per i più è prettamente “fisico” e sanguinolento, trasportandoci in un mondo tanto angosciante quanto poetico. Siamo infatti dalle parti di un genere che rispecchia maggiormente gli orrori e i traumi della mente umana, piuttosto che prediligere la violenza e il sangue fini a se stessi.
Trama e trailer | Two sisters
Two sisters è liberamente ispirato ad un racconto popolare coreano dal nome “La storia di Janghwa e Hongreyon”, già trasposto sullo schermo svariate volte. I nomi delle protagoniste, seppur modificati, hanno lo stesso significato di ‘fiore di rosa’ e ‘loto rosso’.
Due sorelle adolescenti, Soo-mi (Im Soo-jung) e Soo-yeon (Moon Geun-young), fanno ritorno col padre (Kim Kap-soo) nella loro casa di campagna, dopo essere state ricoverate per ricevere cure psichiatriche. Qui trovano la loro matrigna, Eun-joo (Yum Jung-ah), con la quale i rapporti non sono affatto idilliaci. Le due non riescono infatti a perdonare alla donna di aver preso il posto della madre, morta suicida qualche anno prima. Il padre, dalla sua, si dimostra poco attento e assente con loro.
Giorno dopo giorno, i rapporti tra le due ragazze e la matrigna si fanno sempre più conflittuali, mentre inquietanti presenze soprannaturali appaiono nella grande casa, popolando le menti già turbate delle protagoniste.
La mente come luogo di orrore | Two sisters
Prima di continuare con la lettura, è doveroso fare una premessa. Sappiate che questo è un film per cui meno si sa, più se ne godrà la visione. Cercheremo di evitare il più possibile gli spoiler, ma l’ideale sarebbe arrivarci senza sapere assolutamente nulla.
Detto ciò, quanto di quello che vediamo è frutto della mente della protagonista, e quanto eco di perfidie reali? Il rapporto conflittuale di Soo-mi con la matrigna si rivelerà essere un rapporto conflittuale con se stessa, una non accettazione di sè. È nella sua testa che la protagonista dovrà trovare il nemico da sconfiggere, sepolto tra il senso di colpa e il tentativo di rimozione di eventi traumatici troppo dolorosi da sopportare.
Dopotutto il dolore di una perdita (quella della madre) è la cosa più terrificante che possa accadere. Una tragedia così intima che porta all’orrore, una mente così sconvolta da non comprendere più cosa sia reale e cosa non lo sia. E l’infanzia diventa il luogo in cui si sviluppano i turbamenti e le paure più angoscianti.
Non solo horror | Two sisters
Two sisters contiene echi dal ghost movie giapponese, ma definirlo solamente un horror sarebbe come fargli un torto. Kim Ji-woon riesce a rinvigorire tutte le caratteristiche del genere grazie a una scrittura intelligente e a un inspessimento psicologico dei personaggi. I cosiddetti “salti dalla sedia” e gli stratagemmi tipici del cinema horror non sono mai fini a loro stessi, ma rispecchiano perfettamente i turbamenti emotivi della protagonista. Il tutto funziona anche grazie alle ottime interpretazioni degli attori, in particolare quelle delle figure femminili.
Dal punto di vista tecnico, possiamo notare tempi più distesi, una grande cura per le scenografie e per i dettagli, una messa in scena elegante e ricercata. La regia è solida e suggestiva, anche grazie ad un comparto sonoro preciso e puntuale (ottime le musiche di Lee Byung-woo), che accompagna le scene di maggiore carica emotiva. Tutta la storia è ambientata, ad eccezione di poche scene, fra le quattro mura della villa di campagna. Qua si nota la maestria di Kim Ji-woon e del direttore della fotografia (Lee Mo-gae), che gioca con colori contrastanti e con luci e ombre.
Il film sarà capace di confondervi sin dal principio, affollandosi di indizi da cogliere visione dopo visione. Quello che ne risulta è un puzzle che solo verso la fine sarete in grado di ricomporre nella sua totalità .
Più che dal terrore, la pellicola è permeata da un senso di inquietudine e malinconia che non vi lascerà mai, protraendosi ben oltre la fine della visione. Evitate con cura il pessimo remake hollywoodiano dal titolo The uninvited (2009), e preferitegli senza dubbio questa perla del cinema sudcoreano.
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