La Napoli di mio padre è un documentario di venti minuti che, attraverso immagini di repertorio e una narrazione asciutta, ci porta indietro nel tempo a quando le più grandi città erano una grande famiglia
TITOLO ORIGINALE: La Napoli di mio padre. GENERE: Documentario. NAZIONE: Italia. REGISTA: Alessia Bottone. NARRATORI: Giuseppe Bottone, Valentina Bellè. DURATA: 20 min. PRODOTTO DA: Alessia Bottone, Archivio Aamod, Istituto Luce Cinecittà , K-Studio. USCITA: 2020.
Fin da bambina la regista, Alessia Bottone, ammirava il padre affacciarsi alla finestra, domandandosi cosa fosse in grado di attirare la sua attenzione in modo così intenso. La risposta le fu data proprio da Giuseppe, che fina da tenera età aveva voluto perdersi viaggiando, e in quei momenti lo faceva con la mente. Guardando l’orizzonte nello stesso modo in cui si osserva un desiderio, Giuseppe trovava la libertà che a volte la vita tende a comprimere.
La premessa di La Napoli di mio padre è senza dubbio semplice, laddove la resa è molto potente. Attraverso immagini di repertorio, recuperiamo il ricordo di una ormai metropoli che non molto tempo fa era pienamente a dimensione d’uomo.Â
Viaggiare e restare | Recensione La Napoli di mio padre
Il film si muove insieme a un bambino, che crescendo scopre orizzonti sempre più lontani, a volte troppo lontani. Giuseppe, narratore, descrive la sua Napoli e la sua infanzia concentrata nel quartiere Vicaria, tra gli emigranti che affollavano la stazione, Nanninella, Don Mario e il suo amico Napoleone con il quale esplorava la città con due taralli nelle tasche e tanti sogni nella testa.
Poi le cose cambiano, i genitori si trasferiscono in un quartiere più benestante, il mondo di Giuseppe diventa più esteso fino a non rappresentarlo più. Giuseppe viaggia, evade, ma il ricordo del suo quartiere natale resta, per quanto si possa allontanare.Â
Migranti di ieri e di oggi | Recensione La Napoli di mio padre
Il racconto di Giuseppe si focalizza sul tema della fuga anche in un senso più pragmatico. Ricorda gli emigrati italiani in America. Il confronto è spietato con i migranti attuali, che dalle sponde dell’Africa cercano fortuna in Europa. La paura dell’ignoto accomuna gli emigranti italiani del secolo scorso con la valigia di cartone, ai migranti a bordo dei barconi dei giorni nostri.
Mentre il treno divora le rotaie chilometro dopo chilometro, Alessia riesce a capire a cosa pensava e cosa vedeva suo padre quando si affacciava alla finestra: i suoi ricordi. Il ritorno a Napoli si trasforma quindi in un’occasione per raccontare il viaggio di una vita e conoscere le proprie origini.
Il bisogno di radici
Chiudiamo questa recensione di La Napoli di mio padre con una considerazione: per quanto lontano possiamo andare, torniamo sempre là , dove tutto è iniziato.
L’idea del film nasce da due esigenze: da una parte la necessità di raccontare, in una storia, il rapporto tra padre e figlia; dall’altra la volontà di focalizzarsi sul tema della fuga, intesa dalla realtà ma anche come mezzo di sopravvivenza per i migranti e i richiedenti asilo.
Dal punto di vista stilistico, le immagini di archivio danno forma al viaggio nel passato, mentre quelle dei moderni salvataggi in mare accompagnano lo spettatore in una dimensione cruenta e inevitabile. Queste le parole della regista:
La ricerca delle immagini e il loro studio, che si muoveva di pari passo con la ricostruzione dei ricordi, hanno reso la realizzazione di questo film il viaggio stesso che volevo raccontare.
Punti a favore
- Il confronto tra oggi e ieri
- Le immagini di repertorio
- La narrazione asciutta
Punti a sfavore
- Nessuno da segnalare
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