La miniserie con Emma Stone e Jonah Hill è un bizzarro esperimento che, partendo dal fantascientifico, spazia tra numerosi altri generi: Maniac risulta così essere una delle serie più originali degli ultimi tempi
TITOLO ORIGINALE: Maniac. GENERE: Fantascienza. NAZIONE: USA. REGIA: Cary Fukunaga. CAST: Jonah Hill, Emma Stone, Justin Theroux, Billy Magnussen, Sonoya Mizuno, Sally Field, Gabriel Byrne. DURATA: 37-43 minuti per episodio. DISTRIBUTORE: Netflix. USCITA: 21 settembre 2018.
Owen Milgrim (Jonah Hill) e Annie Landsberg (Emma Stone) vivono in mondo ucronico, in un periodo non meglio specificato. Owen è vittima di allucinazioni e, anche se sarebbe ricco di famiglia, al lavoro non ha fortuna per via della sua condizione psichica e del suo carattere remissivo. Annie invece è una cinica ragazza di periferia con disturbi depressivi, che sbarca il lunario con qualche lavoro saltuario ed è dipendente da una pasticca allucinogena a forma di A. Entrambi, alla ricerca di una soluzione permanente alle loro miserabili condizioni, si sottopongono al trial clinico di una nuova cura ideata dalla Neberdine Pharmaceutical.
Cary Fukunaga, dopo il successo di critica e pubblico di True Detective, presenta ancora una volta sul piccolo schermo un prodotto tutt’altro che banale. Maniac è una serie audace, che spicca nel monotono panorama odierno per la sua visibilità avveniristica e per la delicatezza con cui si affronta un argomento spinoso quale l’instabilità mentale.
Maniac è vagamente basata su un’omonima commedia norvegese incentrata sulle allucinazioni di un uomo rinchiuso in un reparto psichiatrico. La versione di Netflix è però più variopinta, e molto lontana dall’essere un one man show.
Maniac: una sfida per i sensi | Recensione
L’impatto visivo della serie è, in effetti, una carta vincente. Impossibile stabilire l’anno in cui ci si trova: i vestiti vintage, i colori psichedelici e le interfacce informatiche essenziali cozzano con la futuristica ingegneria che caratterizza il paesaggio urbano. La stessa società è al contempo basata su concetti familiari, ma portati all’estremo e, in definitiva, alienanti.
Ad esempio, un valido metodo di pagamento è quello di spalleggiare un Ad-buddy, ossia una persona che ti sottopone continuamente annunci pubblicitari ma paga al posto tuo. Esistono, inoltre, un servizio che permette di affittare amici falsi, tecnologie di realtà virtuale che permettono di provare esperienze immersive facilmente accessibili, nonché un sistema di nettezza urbana affidato a robot.
La sensazione di instabilità creata dalle ambientazioni è ulteriormente acuita dagli eventi narrati. I personaggi si muovono quasi sempre in atmosfere oniriche, in cui non si ha mai la certezza di cosa sia vero e di cosa non lo sia. Da questo punto di vista, Maniac potrebbe essere accostato allo stile di Terry Gilliam. È significativo, e per certi versi ironico, che Emma Stone e Jonah Hill si ritrovino più di una volta a fare i conti con il romanzo di Don Chisciotte simbolo della precaria condizione mentale. Libro che è stato anche la fonte d’ispirazione dell’ultimo film dell’ex Monty Python.
Maniac: un’avveniristica esperienza televisiva | Recensione
La serie Netflix si fa dunque notare per il suo costante viaggiare in bilico tra il sogno e la realtà. Ma un’altra nota di merito è la capacità con cui si getta in slalom tra diversi generi cinematografici. Si passa dall’hard boiled tarantiniano al comico animato di Sesame Street, dai giochi politici dello spionaggio alle avventure elfiche del fantasy.
Questi episodici spostamenti danno a Maniac una marcia in più quanto al coinvolgere lo spettatore. A risentirne è però la trama nel suo complesso, troppo contorta. Va inoltre detto il racconto di fondo è piuttosto banale, e la storia spesso sembra essere delineata solo in modo approssimativa, quale espediente per rubare minuti. La stessa morale dei dieci episodi è convenzionale: le persone cercano di risolvere i propri problemi con una pillola, ma in ultimo realizzano che sono i rapporti umani e l’amore ciò che può davvero permettere di superare le difficoltà.
Maniac: l’eterno ritorno di Emma Stone e Jonah Hill | Recensione
In poche parole, non sembra che Maniac si concentri molto sulla trama. Il rischio flop era quindi tutt’altro che lontano. Eppure la serie funziona, e buona parte del merito va ai suoi due protagonisti, che si cercano, si allontanano e si ritrovano in continuazione e in ogni punto del caleidoscopico multiverso di Maniac.
Emma Stone e Jonah Hill si ritrovano undici anni dopo il leggero SuxBad, con più maturità e (almeno per uno dei due) con molti chili in meno. Interpretano due persone che attraversano una crisi profonda e apparentemente irreversibile, ma anche molti altri personaggi nelle varie storie oniriche parallele. Sono entrambi eccellenti, stimolano empatia nei confronti dei loro personaggi e danno realismo alle scene in cui sono coinvolti. Ma con stili diametralmente opposti.
Emma Stone è camaleontica, riesce a integrarsi in ogni svolta narrativa e a dare al suo personaggio tutte le sfaccettature necessarie. L’esagerazione eroica delle sue azioni nelle fantasie fanno a pugni con la rabbia e la stanchezza che Annie prova nel mondo reale. Jonah Hill crea invece un personaggio assente, annichilito dalle emozioni trattenute e traumi interiorizzati, che diventa la caricatura di una persona nella dimensione immaginaria.
In definitiva, Maniac è un esperimento visivo e narrativo, forse non riuscito al cento per cento ma comunque godibile. È una serie affascinante e divertente, che si lascia guardare anche grazie alla lunghezza relativamente modesta degli episodi. Per il momento è una serie più unica che rara, ma che di certo fa riflettere sulle potenzialità espressive di prodotti di grande impatto popolare, come quelli distribuiti da Netflix o simili.
Punti a favore
- L'impatto visivo, eccellente
- Emma Stone e Jonah Hill, illuminanti
- La durata degli episodi, mai stancante
Punti a sfavore
- La trama, un mero contorno alle singole scene
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