Rendere Risiko un fantasy videoludico. Sarà strano ma è quello che fa Brigandine The Legend of Runersia, scopritelo nella nostra recensione
“Fanno dei giri immensi e poi ritornano”. La vendittiana citazione ben si sposa alla storia di Brigandine: The Legend of Runersia, il titolo strategico che andremo a porre sotto la lente critica in questa nostra recensione. Forti di un’apprezzata versione già approdata su Nintendo Switch lo scorso 25 giugno, il developer Matrix Software e il publisher Happinet provano il colpo anche su PlayStation 4.
Curiosamente, tuttavia, nonostante la bilancia della prestanza hardware, tra le due console, sia indubbiamente a favore della fissa targata Sony, il gioco ci è parso tecnicamente più impacciato rispetto alla controparte Switch. Nel corso della recensione ci dilungheremo su quest’ultimo punto per cercare di schiarire le idee a quanti hanno magari già tra le fila della propria videoludoteca personale il titolo di Happinet e stanno chiedendosi se valga la pena l’acquisto anche della variante PS4.
Un dono al vecchio continente
Si è detto dei giri immensi. Quello di Brigandine: The Legend of Runersia lo è sicuramente. Non solo perché il titolo si era già affacciato tempo fa alla finestra di Switch, come detto, ma anche e soprattutto perché il titolo fa parte di una blasonata IP che rimonta direttamente ai gloriosi giorni di PlayStation, il primo grigio monolite di Sony.
Proprio sulla console del colosso dell’elettronica, nel 1998, aveva debuttato Brigandine: The Legend of Forsena. Se il nome non vi dice nulla c’è una ragione. Hearty Robin e Atlus, infatti, rispettivamente sviluppatore e publisher dello strategico, avevano pensato di rilasciare il titolo solo per il mercato giapponese e quello americano. Fu così che noi europei restammo all’asciutto, ignari di un’altra delle perle che la prima illustre iterazione di PlayStation preferì offrire al resto del mondo.
Il titolo era in sostanza una geniale rivisitazione videoludica del board game per eccellenza, Risiko. L’impianto ludico del gioco da tavola, da sempre tristemente responsabile della rottura di storici legami affettivi e amicali, è entrato da bellico contemporaneo nella visione creativa di Hearty Robin e ne è uscito fuori come novello fantasy. Essenzialmente il giocatore doveva farsi strada alla conquista delle sterminate lande di Forsena, assumendo il controllo di una delle 6 nazioni disponibili e sottraendo basi alle nazioni rivali a suon di invasioni a turni, combattute sulle spalle di malcapitati centauri, grifoni, golem, unicorni e quant’altro sia riconducibile allo stipato repertorio del fantastico.
Ecco dunque che, sostanzialmente, quello di Happinet è in primis un dono alla community dei videogiocatori europei. Sì, perché Brigandine: The Legend of Runersia, l’oggetto della nostra recensione, ci permette di riscoprire un classico PlayStation di pregio indiscusso, omaggiato, ai tempi, dal consenso congiunto di pubblico e critica. Certo, sono trascorsi nel frattempo ventidue anni, l’impianto tecnico è un altro, come anche quello narrativo. Di fondo, però, non cambia quello che conta veramente: il concept a metà tra Risiko e Fire Emblem, il fluire un po’ compassato dei frangenti turnistici, il sistema di gioco intimidatorio (per complessità) solo all’apparenza e l’essenza, ad onor del vero, decisamente accessibile.
Quando il tecnico sconfina nel narrativo – Recensione Brigandine The Legend of Runersia
La terra di Runersia era tempo addietro uno dei tanti locus ameni affini al concetto di paradiso terrestre. Le lande erano benedette dal favore del Dio del Mana che elargiva la preziosa risorsa in parti uguali tra la gente del posto. Grazie a quest’ultima tutto il creato prosperava in salute e abbondanza.
Accadde, nondimeno, quello che naturalmente accade in ogni narrazione che ha un simile attacco: gli uomini furono presi dalla cupidigia e dall’irresistibile e mai saziabile appetito di Mana. Si divisero in nazioni, sei per la precisione: Republic of Gyimole, Norzaleo Kingdom, United Islands of Mirelva, Shinobi Tribe, Holy Gustava Empire e l’austera Mana Saleesia Theocracy. I capi di alcune tra queste avevano ricevuto come lascito dal Dio del Mana parti della Brigandine, un tesoro mitico in forma di leggendaria armatura. Ognuna delle nazioni puntò a strappare alle altre terra, Mana e Brigandine.
Quella appena tratteggiata, è la Legenda di Runersia da cui, peraltro, Brigandine: The Legend of Runersia, di cui vi parliamo in questa recensione, prende il nome. Il titolo vi porta a vivere in prima persona le vicende pseudo-letterarie del mito spingendovi, in sostanza a forgiare voi stessi il mito suddetto. Avrete infatti la possibilità di calarvi nella dimensione narrativa di Brigandine nei panni di uno tra i sei regnanti delle nazioni menzionate. Si parte quindi da una lore di indubbia attrattiva, scritta con dovizia di particolari, magniloquente e credibile seppur mitologica, perché delineata efficacemente a tutto tondo. Stiamo parlando di una componente narrativa partorita dalla mente di Kenji Terada, lo sceneggiatore, romanziere e regista di anime che si è occupato dei primi tre episodi di una certa saga videoludica che porta il nome di Final Fantasy.
Seppure in questo caso la narrazione sia il solito contorno-collante logico e contestuale a inframmezzare ore e ore di porzioni di gameplay, la stessa è ben congegnata come anche ben congegnati sono i regnanti e i loro sudditi più stretti. Ognuno di questi è secondario nell’ottica di gioco, ma rifinito con la stessa cura delle controparti principali.
Proprio per questa dovizia nella scrittura, a tratti, si sfocia forse nell’eccessivamente prolisso e nel non necessario. Quello che pesa veramente, tuttavia, è che il comparto tecnico ci ha impedito di godere appieno dell’intreccio di Terada. Di questo tuttavia, si parlerà nel penultimo paragrafo della recensione. Va specificato, per chi non è un patito dell’idioma anglosassone, va specificato che l’unica lingua disponibile oltre alle varietà di cinese e il giapponese è l’inglese.
Dal gioco da tavolo a videogioco – Recensione Brigandine The Legend of Runersia
Vedremo presto nel corso di questa recensione su Brigandine: The Legend of Runersia che l’impianto di gameplay del titolo si cela dietro l’apparente complessità di facciata ed è, alla prova dei fatti, al contrario molto godibile e immediato. Come detto, le vostre operazioni consisteranno principalmente nel cercare di ricondurre al controllo del vostro esercito tutte le basi disponibili sulla mappa di gioco. Né più né meno di quello che fareste normalmente in Risiko insomma. Nel gioco da tavola, tuttavia, tutta la varietà offensiva disponibile è incarnata dai plasticosi carrarmati mignon che ricevete ad ogni turno in base al numero e l’entità delle regioni controllate.
In Brigandine invece guiderete Cavalieri del Mana e mostri. Ognuno ha determinati moveset, statistiche e skill oltre alla possibilità di utilizzare la magia. Ci sono anche livelli, gradi di evoluzione, affinità con i diversi tipi di terreno di gioco e equipaggiamenti. Ogni aspetto delle vostre unità progredirà man mano che le impiegate in battaglia. Insomma, come nel caso del primo Brigandine, all’asciutto e minimale impianto ludico di Risiko è stata data profondità e spessore. A volte però, c’è da dirlo, (soprattutto quando la difficoltà di gioco è settata su “Easy“) tutte le sfumature si perdono divenendo un po’ orpelli fini a sé stessi senza riuscire a fare veramente la differenza.
E il guizzo? – Recensione Brigandine The Legend of Runersia
Del Risiko, però, c’è pur sempre l’impianto di base e non è certo poco. Sia le battaglie in senso stretto (denominate “Invasions“) sia le fasi di gestione sono basate sul sistema turnistico. Ogni vostro turno corrisponde ad una stagione di gioco. La stagione si compone di due passaggi: uno di pianificazione e uno in cui si attacca. Nella prima potrete evocare e posizionare su ogni base sotto la vostra egida mostri e Cavalieri del Mana. Ogni base ha diverse tipologie di mostri evocabili e questi saranno ottenibili solo spendendo il Mana che otterrete all’inizio di ogni turno in base al numero di basi controllate. Una volta che avrete evocato e spostato le vostre unità sulla mappa si passa all’attacco. Sposterete le vostre truppe da una base ad un altra nemica adiacente per iniziare l’invasione.
La battle phase segue l’impostazione dei tanti Final Fantasy Tactics, Fire Emblem, Tactics Ogre e Disgaea con cui avrete forse già familiarità. Dall’overworld della mappa ci si sposta difilati al campo di battaglia sezionato con la classica griglia di movimento. Ogni Cavaliere del Mana controlla un manipolo di creature. Eliminando il cavaliere di turno ci si libererà anche della rispettiva truppa di creature. L’approccio strategico di base consiste pertanto nel bersagliare i cavalieri da subito. Si hanno 12 turni complessivi per ogni battaglia e si aggiudica la vittoria (e la base, di conseguenza) l’esercito che di volta in volta riesce ad eliminare più avversari. Come da sempre nei canoni del genere ogni unità ha specifici range di movimento il che rende utili anche quelle all’apparenza più inoffensive.
Non lasciatevi atterrire dai tutorial inziali. Questi vi bombarderanno sciorinando su schermo un’infinità di suggerimenti, dettagli e indicazioni spesso eccessivi e ai limiti del nozionismo. In sé il sistema di gioco, alla faccia dei pedanti tutorial, è fluido e molto meno macchinoso di quello che sembrerebbe parlandone. Complice anche l’opzione utilissima di velocizzare le animazioni degli scontri come un qualsiasi video su YouTube.
Insomma, il tutto risulta piuttosto godibile e appagante. Alla lunga, tuttavia, come si diceva in questa recensione su Brigandine: The Legend of Runersia, delle tantissime features mescolate nel gameplay ne manca qualcuna a fare realmente la differenza. Manca insomma il guizzo e il brio a smantellare quel po’ della compassatezza di fondo. In altri termini, l’esito delle Invasioni sarà a volte prevedibile e ridotto all’ordinaria amministrazione. Cosa che alla lunga può portare il tutto ad essere un po’ ripetitivo.
A scuola da Final Fantasy – Recensione Brigandine The Legend of Runersia
Brigandine: The Legend of Runersia, di cui state leggendo la recensione, sembra essere andato a scuola dai primi Final Fantasy. Non solo da essi ha ereditato parte della magniloquenza e della mitologia narrativa ma anche l’aspetto visivo. La componente 2D del titolo è riassumibile in una parola: sbalorditiva. I designer sembrano aver studiato su libri di testo disegnati da Yoshitaka Amano, Tetsuya Nomura e perché no, anche Yoji Shinkawa.
Le illustazioni dei vari regnanti e comprimari sono praticamente assurde. Ogni singolo artwork è in sé un piccolo gioiello visivo per realizzazione tecnica e dovizia di particolari. Tutto sprizza classe, pregio e meraviglia. Formidabili e oltre ogni aspettativa anche i design delle creature. Anche la più banale e inflazionata come un non-morto o un golem risultano sorprendenti e piacevolmente inconsueti. Parte della stessa impensabile qualità è stata profusa anche nei modelli 3D che sono tutto sommato convincenti ma faticano un po’ a reggere botta con le controparti bidimensionali. Brutta stecca, invece, per le ambientazioni di battaglia. Si tratta del piattume di semplici e indistinte distese prese di forza dai tempi della PSP.
Decisamente riuscita la componente audio che è perfettamente in linea con gli standard aulici e solenni della produzione. Si segnalano ottimi arrangiamenti e brani orchestrati in modo eccelso. Pregevole musica classica vi accompagnerà per buona parte delle vostre sessioni di gameplay lasciando di tanto il tanto a brani più ritmati. Tutto opera del compositore d’eccezione Tenpei Sato che conta all’attivo produzioni del calibro di La Pucelle: Tactics, numerosi capitoli di Disgaea e la riedizione del 2000 del primo Brigandine. Ottimo anche il doppiaggio giapponese.
Si è accennato poi, nel paragrafo sulla narrativa, dell’inconcepibile bug che ha compromesso, in parte, la nostra esperienza di gioco. Abbiamo fatto la nostra prova su PS4 fat. Puntualmente i dialoghi a schermo venivano fuori dopo lunghi e innaturali caricamenti. In queste schermate lo sfondo diveniva completamente nero come il proverbiale internettiano Black screen of death. I personaggi in 2D apparivano inspiegabilmente zoommati fino a coprire parzialmente lo schermo con solo una parte del loro corpo. Porzioni degli scambi di battute faticavano a venire caricati il che ci ha costretto a skippare il tutto ripetutamente compromettendo irrimediabilmente la godibilità narrativa generale. Abbiamo testato per nostro conto (per la controprova) il titolo su Switch e tutto è filato ottimamente. Insomma un enorme peccato.
La chicca
Eccoci giunti infine alla conclusione di questa disamina sulla produzione di Matrix Software e Happinet. Il titolo, come già mostrato all’uscita su Switch, è convincente nel suo insieme. Si tratta di una produzione forse di nicchia ma tutto sommato accessibile ai più. Indubbiamente il titolo è indicato agli amanti della strategia a turni combattuta sui consueti campi a griglia a cui ci hanno assuefatto i vari Final Fantasy Tactics, Fire Emblem e Disgaea. Brigandine prende tanto da quei titoli e ancora di più dal primo storico capitolo per PlayStation. Da questo ha ereditato, per intero, tutto l’impianto di gioco.
Rispetto alle altre saghe strategiche suddette, tuttavia, qui la chicca è l’aver adattato ancora una volta Risiko agli standard di un videogioco, un fantasy per di più. L’esperimento è riuscito. Alla lunga, tuttavia, l’idea di essere presi in un’enorme partita del popolare gioco per la durata di decine e decine di ore potrebbe portare ad un po’ ripetitività. Ciò anche per la mancanza di features di particolare spicco. Sul voto finale che leggete in basso pesa atrocemente il madornale bug che ci ha impedito di godere a pieno della narrativa. Al netto di questo, resta un gameplay valido e soddisfacente, una componente audio di livello ed una realizzazione 2D a dir poco fenomenale che infonde il proverbiale soffio vitale in uno storico classico PlayStation di cui eravamo ignari.
Vi ringraziamo per aver dedicato tempo alla lettura di questa recensione su Brigandine: The Legend of Runersia. Restate sintonizzati su tuttoteK per tutte le notizie e le curiosità dal mondo del gaming e non solo.
Punti a favore
- L'occasione perfetta per scoprire una storica IP non uscita in Europa
- Sistema di gioco valido
- Buona profondità
- Componente 2D fenomenale
- Ottimi doppiaggio e audio
Punti a sfavore
- Disponibile solo inglese, cinese e giapponese
- Alcuni dettagli del gameplay sono fini a sé stessi e non spiccano
- Alla lunga il tutto può essere ripetitivo
- Scenari di battaglia piattissimi
- Un bug assurdo compromette la componente narrativa
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