Bentornati al nostro appuntamento settimanale con In the mood for East, rubrica interamente dedicata al cinema orientale. Oggi vi parliamo di Violent cop di Takeshi Kitano
Se avete seguito sin dal principio In the mood for East, la nostra rubrica incentrata sul cinema asiatico, avrete probabilmente notato dei grandi assenti. Sono quegli autori a cui si pensa immediatamente appena si parla di cinema orientale, e sono in verità più di uno. Per esempio, come mai in tutti questi appuntamenti non si è ancora parlato di Akira Kurosawa, o di Takashi Miike, o ancora di Hayao Miyazaki? Ecco, in realtà non c’è un motivo, e probabilmente arriveremo a parlare di tutti loro. Il fatto di aver privilegiato autori meno “fondamentali” nella storia del cinema è un puro caso. Tutta questa promessa serve solo per dire che oggi parleremo di uno dei mostri sacri “dimenticati” qui su In the mood for East. Signore e signori, oggi parleremo di Takeshi Kitano.
Beat Takeshi – questo il suo pseudonimo – è oggi conosciuto come l’autore di una delle filmografie più spiazzanti del panorama nipponico. Dapprima cabarettista e personaggio comico (sì, è proprio suo il celeberrimo Takeshi’s Castle, programma televisivo grottesco e irriverente, riadattato in Italia dalla Gialappa’s Band), poi attore drammatico, infine cineasta. Quasi per scherzo, Kitano è a tutti gli effetti diventato uno dei registi orientali di maggior riferimento al mondo.
Caso volle che nel 1989 Kitano dovesse interpretare il ruolo da protagonista in un film diretto da Kinji Fukasaku. Il film fu inizialmente pensato come uno yakuza movie con una spiccata vena comica, ma Fukasaku dovette rinunciare alla regia per motivi di salute. È allora che Kitano si propone di sostituirlo, stravolgendo completamente la sceneggiatura e il senso dell’opera. Quel film è Violent cop (il titolo originale suona come “Attenzione, quest’uomo è pericoloso!”), esordio folgorante di un comico improvvisatosi regista.
Trama e trailer | Violent cop
Azuma (lo stesso Takeshi Kitano) è un poliziotto tutto d’un pezzo, che non esita a usare la violenza per raggiungere i suoi scopi. Questo gli crea non pochi problemi sul lavoro, e perciò non sono tanti i colleghi con cui va d’accordo. Tra questi c’è Iwaki (Sei Hiraizumi), il quale però è coinvolto nello spaccio di droga all’interno del corpo di polizia. A muovere le sue redini c’è Nito (Kishibe Ittoku), potente boss a capo di un’organizzazione criminale, il cui braccio destro è lo spietato Kyohiro (Hakuryu).
L’omicidio di Iwaki, spacciato per suicidio, e il rapimento di Akari (Maiko Kawakami), la mentalmente instabile sorella di Azuma, darà il via a una serie di avvenimenti fatali. Azuma non sarà infatti più in grado di tenere a freno la sua follia omicida, e la sua cieca violenza esploderà irrimediabilmente, provocando una vera e propria carneficina.
L’esercizio dell’amata ultraviolenza | Violent cop
Come avrete compreso da queste poche righe di trama, Azuma incarna la figura di un poliziotto al di fuori di ogni etica morale e professionale, dedito alla violenza più estrema, una sorta di giustiziere privato più che un rappresentante della legge. Nel suo sguardo monoespressivo e imperturbabile si nasconde un peso esistenziale che solo elementi come il mare, l’arte e lo sport possono alleviare. Tutto il resto è dover avere a che fare ogni giorno con il mondo marcio e squallido di una metropoli in degrado. I problemi familiari e il gioco d’azzardo fanno il resto. Nonostante i suoi metodi siano, per così dire, poco ortodossi, l’uomo mantiene comunque un proprio senso di integrità, quasi l’unico baluardo all’interno della corruzione dilagante. Le due massime istituzioni, la polizia e la yakuza, diventano qua due lati della stessa medaglia, organismi corrotti in una società lasciata allo sbando.
Fa strano pensare all’evoluzione del “personaggio Kitano”. Nasce come comico, e nelle sue opere si trasforma invece in una figura dai connotati fortemente drammatici (anche se condito spesso da un tocco grottesco). In Violent cop – che ricordiamo dovesse essere una sorta di commedia – Kitano estirpa tutta l’ironia dal soggetto originale, creando un film spiazzante per la sua estrema crudeltà. Qua e là, ma specialmente nel finale, esplode tutta la brutalità del caso.
Kitano stesso appare un po’ come il suo personaggio. Gratuitamente violento, senza mezzi termini, uno che non ci gira troppo attorno alle cose. Così come Azuma non si esime dall’utilizzare la violenza per far rispettare la sua idea di giustizia, Kitano ci sbatte in faccia quella che è e sarà sempre la sua idea di cinema.
“Qui sono tutti impazziti” | Violent cop
Kitano comincia qui il suo percorso di stravolgimento delle regole del genere poliziesco. Il fatto che Azuma non incarni il classico “poliziotto buono” è cosa già nota, a partire da una figura celebre come l’ispettore Callaghan. Più di tutto sono le sue scelte stilistiche a far discostare Violent cop dai classici yakuza movie. Lo sguardo di Kitano (regista, in questo caso) privilegia spesso i segmenti meno narrativi (come le lunghe camminate), nella migliore tradizione del cinema orientale, e propone un uso della violenza improvviso, totalmente inedito e spiazzante.
La forza di un autore come Kitano è il saper tingere di poesia i momenti più cupi, più crudi e feroci, come solo i grandi artisti sanno fare. La scena del pestaggio al ralenti, con l’accompagnamento del piano di Erik Satie in sottofondo, è emblematica in questo senso. Da una parte, lo sguardo innocente del bambino anticipa gli eventi e ci introduce all’efferatezza della scena. Dall’altra, siamo quasi portati a non percepire questa ferocia, perché il sonoro ha la capacità di estraniarci dagli eventi.
L’opera di Kitano sconvolge e destabilizza lo spettatore. La sua intera filmografia si pone come una rilettura del classico, uscendo completamente dagli schemi con un tocco autoriale personalissimo. All’epoca probabilmente Kitano non era totalmente consapevole del mezzo cinematografico, non come lo è ora, almeno. Tuttavia la sua personalità, la sua sensibilità, gli permettevano di imprimere fortemente il suo stile persino al suo esordio dietro la macchina da presa.
Conclusioni
Perché, all’interno della filmografia di Kitano, abbiamo scelto di parlare proprio di Violent cop? Se conoscete l’artista nipponico, probabilmente saprete anche che sono altri i suoi capolavori. E questo lo sappiamo anche noi. Violent cop è un buon film, ancora “grezzo”, che però non raggiunge le vette poetiche di opere come Sonatine (1993), Hana bi – Fiori di fuoco (1997) o Dolls (2002). Appare però fondamentale per comprendere quella che sarà la sua poetica da quel momento in avanti. In Violent cop c’è il germe inconfondibile del Beat Takeshi che conosciamo oggi, quello che ci ha fatti innamorare dei suoi film.
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