Recensione David Lynch: The Art Life. Un documentario sulle origini del pittore/regista che, tra immagini di repertorio e interviste al medesimo protagonista, vive di ricordi
TITOLO ORIGINALE: David Lynch: The Art Life. GENERE: Biografico, Documentario. NAZIONE: USA. REGIA: Olivia Neergaard-Holm, Rick Barnes, Jon Nguyen. CAST: David Lynch. DURATA: 88 minuti. DISTRIBUTORE: Duck Diver Films. USCITA: 04/09/2016.
In questo articolo vi proponiamo la recensione di David Lynch: The Art Life. Si tratta di un documentario sulle origini dell’artista, pubblicato nel 2016 e riproposto, solo per oggi, in streaming dalla Fondazione Pistoia Musei, che prosegue il suo ciclo di appuntamenti online e gratuiti domenicaDOC dedicate ai film d’arte. Questa domenica l’iniziativa, realizzata in collaborazione con Wanted Cinema, ci porta alla scoperta del pittore e scultore, prima che regista, David Lynch. Il documentario è dedicato alla figura artistica e umana del regista dietro Eraserhead, Dune, Twin Peaks, Velluto Blu e Mullholland Drive. David Lynch: The Art Life è un’originale miscela di immagini, musica ed estratti dai primi film del regista, che prova a portare luce tra gli oscuri meandri del suo mondo visionario attraverso la sua voce matura.
Si tratta del ritratto di un artista da giovane, raccontato dall’artista da vecchio. David Lynch, sempre schivo e refrattario all’idea di esporsi, ha aperto le porte del suo studio da pittore tra le colline di Hollywood dopo diversi anni di richieste da parte dei tre registi del documentario. Il suo racconto parte da lontano, dalla suanascita ed infanzia in giro per l’europa, alla laura, alle prime mostre e all’inizio della carriera da regista.
Un documentario fedele | Recensione David Lynch: The Art Life
La prima cosa che salta all’occhio in questo documentario è il suo iperrealismo, al limite dell’asetticità. La telecamera segue il regista americano in maniera fluida, adattandosi al suo racconto. Non c’è intento parodico, né apologetico: molto semplicemente è un flusso continuo, ordinato cronologicamente e secco, di cronache associate alle relative immagini artistiche, frutto dell’incessante lavoro di Lynch.
Lynch, infatti, nasce come pittore, e solo in un secondo momento decide di applicare la propria arte al cinema. Un buona parte del merito di scoprire e in qualche modo alimentare l’immensio talento di questo artista, applicandolo anche al linguaggio cinematografico, viene dal pittore Bushnell Keeler (1924-2012), padre dell’amico di Lynch Toby, suo vicino di casa in Virginia quando aveva 14 anni. La presenza come mentore di Keeler è pervasiva, a partire da quando gli regalerà un testo illuminante di un altro pittore americano, The Art Spirit di Robert Henri, per giungere al momento in cui lo “forzerà” a tornare a studiare arte a Philadelphia, dove inizierà i primi esperimenti di tecnica mista di live action e animazione, coi quali approderà a Los Angeles grazie a una borsa di studio. La pellicola arriva a una conclusione con la lavorazione del primo lungometraggio, Eraserhead, a dire di Lynch «la mia esperienza più bella e felice nel cinema».
Una vita tormentata dal talento | David Lynch: The Art Life
La narrazione di Lynch si dispiega in modo frenetico, come immaginbile per un artista così vulcanico. Tra tele, pennelli, vernici, fili di ferro, plastiche, colle, infinite sigarette e tazze di caffè si mette in scena la vita di un artista dal sicuro talento, al quale come tale non sono mancati i momenti ossessivi. Tutto viene trasposto, senza ovviamente l’irrealistico intento di trovare delle risposte.
Lo abbiamo visto anche nei suoi film, ad esempio l’ultimo Inland Empire, presentato al Festival di Venezia. Una continua metamorfosi dei personaggi e digressioni spazio temporali, alle quali il regista, intervistato, dava risposte ancora più evasive. Questo è il punto: alla continua mutazione del talento, delle idee, non bisogna trovare risposta. Basta farsi disorientare, in modo positivo, dal continuo, incessante, flusso di idee. Stessa cosa vale per il documentario: impossibile trovare al suo interno spiegazioni, bisogna solamente lasciarsi trasportare e accettare la possibilità mera di dare uno sguardo alle opere dell’artista e al suo percorso creativo.
La biografia, lontana dal cinema
In definitiva, questo documentario in qualche modo si collega al cinema, ma è soprattutto una biografia. Certamente colleghiamo la tendenza di Lynch, anche palesata dall’ermetismo nelle interviste, di proteggersi dalla realtà limitandola nello spazio. A ciò si collega la sensazione di minaccia connessa con la possibile entrata in campo di qualcosa o di qualcuno che non rientra nell’ordine stabilito dalle consuetudini, propria dei suoi film. Così come la compartimentazione dei suoi personaggi, che riflette la sua ammessa camalenotica abitudine a parlare in modo diverso con gli amici e la famiglia. Nel susseguirsi di emozioni e rimembranze opportunamente testimoniate dal repertorio offerto dalla cineteca personale del regista e da piccoli fotogrammi delle sue opere, utilizzati per sottolineare e illuminare i significati della lunga intervista, il racconto di questa singolare carriera permette di rintracciare l’origine di alcuni degli stilemi nei lungometraggi del regista, vediamo però prima di tutto una vita costantemente scossa dall’arte.
Se cercate risposte, non potrete trovarle. Al termine di questa recensione di David Lynch: The Art Life possiamo affermare che l’unico modo di interpretare l’arte è quello di lasciarsi trasportare. Se volete continuare a farvi trasportare, vi segnaliamo che la Fondazione Pistoia Musei, continuerà a rendere disponibili gratis grandi documentari d’arte nelle sue domenicaDOC. Il prossimo appuntamento, il 17 maggio, sarà con la proiezione di Bansky Does New York.
Punti a favore
- Documentazione fedele
- Filmati e immagini delle opere di Lynch
Punti a sfavore
- Niente di rilevante
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