Dopo il successo dell’anteprima internazionale alla Mostra internazionale del cinema di Venezia, contornato dalla meritata Coppa Volpi per il Migliore Attore a Willem Dafoe, arriva al cinema dal 3 gennaio Van Gogh – Sulla soglia dell’eternità, sesto lungometraggio del pittore newyorkese Julian Schnabel
TITOLO ORIGINALE: At Eternity’s Gate. GENERE: Biografico/Drammatico. NAZIONE: Stati Uniti, Francia. REGIA: Julian Schnabel. CAST: Willem Dafoe, Rupert Friend, Oscar Isaac, Mads Mikkelsen, Mathieu Amalric. DURATA: 110 min. DISTRIBUTORE: Lucky Red. USCITA CINEMA: 03/01/2019.
Vincent van Gogh (Willem Dafoe) vive le sue giornate dipingendo e partecipando ai circoli artistici di Parigi, ma la sua insofferenza per la quotidianità è sempre più pressante. Su spinta del collega e amico Paul Gauguin (Oscar Isaac) e sostenuto dai fondi del fratello Theo (Rupert Friend), Vincent lascia la grigia città si trasferisce nelle lucenti campagne di Arles, nel sud della Francia. Ma la permanenza è turbata da allucinazioni e dall’ostilità delle persone del paese, che condannano la sua arte e la sua stessa persona. Bandito dalla comunità e ricoverato in un ospedale psichiatrico, immerso nella solitudine, arriverà bruscamente alla fine dei suoi giorni.
Proprio come il suo protagonista, questa pellicola cerca una nuova luce per descrivere un artista reietto dal suo tempo, ma le cui opere hanno varcato la soglia dell’eternità. Riesce nell’intento? Proviamo a dare una risposta.
Van Gogh – Sulla soglia dell’eternità, il ritratto del pittore | Recensione
Bisogna partire da una constatazione: il film di Julian Schnabel è tutt’altro che biografico. Non vuole essere una cronaca, anzi, consapevolmente aderisce a una interpretazione personale di taluni fatti controversi (uno su tutti, le circostanze della morte di Van Gogh). Usa i documenti come fonte di ispirazione, non di ricostruzione. Lo scopo di Schnabel, a sua volta pittore acclamato negli anni ottanta, è quello di parlare dell’atto di creazione di un quadro e di cosa comporti la vita da artista. Perché Van Gogh, forse più di ogni altro artista, aveva la capacità di vedere cose che noi non possiamo vedere e la volontà di mostrarcele attraverso i suoi quadri.
Ma la vita di un artista è spesso immersa nella solitudine, e scorre tra gli occhi di chi, nella sua contingenza, non è in grado di capirla. Il sospetto, da cui deriva il biasimo, dei suoi contemporanei è ben sintetizzato già dall’inizio del film: la storia parte da una ragazza che chiede a Van Gogh “perché?”. Questa domanda gli verrà ripetuta diverse volte, anche se non c’è davvero un perché.
Semplicemente Van Gogh avverte la necessità spasmodica di dipingere. Il movimento del suo pennello non è altro che una naturale prosecuzione del suo stato d’animo: la frenesia, l’angoscia, la visione fulminante. Per farcelo capire, Schnabel sceglie spesso il camera a mano e un montaggio sincopato. Utilizza una musica invasiva e ridondante e la alterna a momenti di totale silenzio. Mostra scene surrealmente iridescenti.
Van Gogh – Sulla soglia dell’eternità, la ricerca di nuove espressioni | Recensione
L’approccio è affascinante e non indulge nel solito, tragico, vittimismo dell’artista incompreso. Schnabel, tuttavia, in ultima battuta non riesce a farci capire ciò di cui sta parlando. Il problema della pellicola è solo questo. La produzione non è all’altezza dell’ambizione. La sperimentazione diventa troppo spesso confusione e quasi mai riusciamo a vedere davvero quell’infinito, quella verità in forma di spazio e colori di cui parla Van Gogh. Nel raccontare la mente sublime dell’artista, il film si affida prevalentemente alle parole. Il film dice, ma non mostra.
Accantonata però questa potenzialità non espressa, la pellicola resta un buon prodotto. Molto apprezzabile è la sua eleganza nello scegliere i quadri da mostrare: i più famosi ci sono, ma restano sempre sullo sfondo, mentre i dipinti meno noti, che pure costellano il film, non sono l’unica cosa da vedere durante le quasi due ore di proiezione. Le inquadrature indulgono sulla ricerca dello scorcio perfetto, quasi a voler pagare un tributo alla natura senza la quale non esisterebbe l’ispirazione.
Van Gogh – Sulla soglia dell’eternità, un film intimo | Recensione
La parte migliore del film, in ogni caso, resta Willem Dafoe. L’attore statunitense accetta la sfida di vestire i panni di un soggetto tanto famoso quanto controverso, e lo fa con piglio deciso e assoluta chiarezza di idee. Così non solo regge il confronto con gli illustri predecessori (su tutti, Tim Roth in Vincent & Theo di Robert Altman), ma li sorpassa. Senza timidezza nei primi piani e nei lunghi, spasmodici silenzi, incarna un uomo unico nella storia in maniera convincente (non a caso la sua prestazione è stata premiata con la Coppa Volpi al Festival di Venezia). Probabilmente d’ora in poi, quando penseremo a Van Gogh, ci verrà in mente il volto scavato di Dafoe. ispirato più che sofferente, gentile più che arrabbiato, mistico e visionario più che folle
In ultima analisi, Van Gogh – Sulla soglia dell’eternità sembra un’opera più potenziale che attuale. I molti punti trapela un’insicurezza che affatica il progetto, che cerca (senza trovarlo) conforto dietro l’ostentazione dei controluce, dei fuori fuoco, di soggettive e inquadrature mosse e sghembe. Schnabel, con poca modestia, riferendosi al suo film ha affermato: “L’unico modo per descrivere un’opera d’arte è fare un’opera d’arte“. Ebbene, è difficile affermare che sia riuscito a produrre un’opera d’arte, ma Van Gogh – Sulla soglia dell’eternità rimane senz’altro un’esperienza da provare.
Punti a favore
- Willem Dafoe, ispirato
- I colori, splendidamente accecanti
- Alcuni monologhi, ipnotizzanti
Punti a sfavore
- Le inquadrature sperimentali, che non arrivano al risultato
- Il ritmo, a tratti troppo lento
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