Abbiamo giocato per voi la riedizione su Nintendo Switch dell’originale No More Heroes per Wii: ecco la recensione del debutto di Travis
Per ogni redattore, la prima recensione non si scorda mai, ma nel caso di No More Heroes chi vi scrive sta usando l’espressione per la seconda volta. La prima è stata altrove, con l’indie Riverbond, quando è stato possibile parlare di un gioco tanto bello da giocarlo anche dopo averlo recensito. Con il titolo di cui parliamo oggi, invece, per questo scriba è giunto il primo titolo mainstream. Eppure, la verve del game designer Goichi Suda faccia di questa un’avventura relativamente di nicchia. Per meglio inquadrare il tipo di gioco di cui parliamo, dovremmo prima parlare di Suda.
Noto con lo pseudonimo di Suda51 (dove le due cifre si leggono rispettivamente “go” e “ichi”), questo visionario game designer ha fatto il suo debutto sceneggiando Super Fire Pro Wrestling Special. Contrariamente agli altri capitoli della serie, Special vanta un finale famigerato per la decostruzione della fama e della gloria. La ricerca ossessiva di questi ultimi, infatti, portò il protagonista a rendersi conto della vita deprimente che stava conducendo, mentre un fermo immagine in pixel art dell’esterno della sua dimora lasciava spazio a uno sparo su fondo nero.
Delirio di onnipotenza
Sovvertire le aspettative è il principale marchio di fabbrica di Goichi Suda. A mettere il game designer definitivamente sulle mappe ha provveduto lo psichedelico killer7 su Nintendo GameCube e PlayStation 2. In un certo senso, No More Heroes ricalca molti dei temi ricorrenti che costituiscono per l’operato del game designer un filo conduttore. Potremmo parlare delle maschere da luchador, ma ci ritroveremmo a disquisire della punta dell’iceberg. Lo stile di Goichi Suda non si limita alle scelte, ma va a riflettersi anche nella sua visione critica del videogioco inteso come medium.
Nel gioco convivono due anime contrastanti. La prima è un omaggio continuo a tutto ciò che “fa figo” nella sfera videoludica: sangue, violenza, temi adulti, e in generale un senso di ribellione, visibile anche nella scelta originaria di pubblicare il gioco sulla console “per vecchietti” nota come Wii. In secondo luogo, però, abbiamo un totale schiaffo all’aspettativa superficiale di chi si approccia al gioco. Il nostro Travis sta a sua volta vivendo una fantasia di potere, uccidendo per denaro che poi andrà a dividere tra action figure e porno di bassa lega in un videonoleggio.
“Questo perdente dovresti essere tu”, ci dice implicitamente il gioco. Comprare una katana laser tramite “un sito di aste online” – eBay, nel caso – ha dato il via ad una spirale autodistruttiva, e ben presto il buon vecchio Travis Touchdown (abbreviando, Travis T., travesty, “farsa”) si accorge che no, non “diventa più facile” dopo aver spedito un bersaglio o due al Creatore. Questo si riflette anche nel gameplay, che alterna missioni lineari ad un mondo open world che in parte omaggia Grand Theft Auto in modo reverenziale, in parte lo mette alla berlina svuotando la città di Santa Destroy. Il risultato, rispetto al Martin Scorsese di Rockstar, è un Quentin Tarantino dagli occhi a mandorla.
Un gameplay delirante – Recensione No More Heroes
Il momento in cui la cutscene iniziale – dove Helter Skelter, tipico protagonista dei giochi d’azione, viene macellato dal nostro Travis senza troppe cerimonie – lascia spazio all’azione è folle persino da descrivere. Un esordio in medias res ci mette subito il controller tra le mani (lo stesso Travis, narrando, ce lo dice personalmente) non appena entriamo nella villa del secondo bersaglio. La nostra entrata ad effetto prevede lo sfondamento dei cancelli, lasciando che la moto si vada a schiantare contro la fontana. Nel giro di cinque secondi, il protagonista trasforma due delle guardie in geyser di sangue ambulanti, per poi apostrofarli – testualmente – come “ca**oni”. Benvenuti in No More Heroes.
Dire che il gioco ha stile e carattere da vendere è superfluo, e questo vino d’annata 2007/2008 è invecchiato senza diventare aceto. La particolarità di scrivere una recensione per No More Heroes è la medesima di ogni titolo mai concepito da Goichi Suda: persino i difetti (comunque presenti) sono stati pianificati nei minimi dettagli, partendo da un tutorial singhiozzante. Possiamo saltarlo, naturalmente: il gioco ci invita a farlo a più riprese. Oppure, possiamo apprendere i rudimenti del gameplay armandoci di pazienza e facendo attenzione a tutto ciò che il gioco ci insegna con due frasi alla volta.
Quando l’azione prende il volo, però, lo fa davvero. Non appena ci viene lasciato libero arbitrio su cosa fare della nostra beam katana (compreso un movimento… “di polso” per ricaricarla), la successiva mezz’ora ci vede affettare l’esercito personale del nostro bersaglio come se i malcapitati fossero panetti di burro. Il level design, a quanto abbiamo avuto modo di vedere, consiste prevalentemente in stanze separate tra loro da corridoi, in un voluto contrasto con l’open-world di cui parleremo in seguito. Questa linearità non impedisce al gioco di celare i segreti più svariati, da figurine a semplici ricompense monetarie.
Scalata mortale – Recensione No More Heroes
Al termine di ognuno dei livelli che compongono la graduatoria degli assassini (la cui scalata non ci lascia alternative, visto il vuoto di potere che ci vedrebbe bersagliati in caso di forfait) ci attende il boss: uno dei dieci assassini di cui dovremo prendere il posto con la forza. Pian piano, i pattern d’attacco di ognuno di loro si faranno via via sempre più intricati, mettendo alla forza i nostri riflessi e la nostra capacità di apprendere le astuzie che derivano dal gameplay. Il combattimento potrebbe, in via puramente teorica, limitarsi a martellare i tasti X ed Y, ma questo hack ‘n’ slash ha molto altro da offrire.
In breve, disponiamo di attacchi fisici con i tasti A e B e (quando siamo “sul lavoro”) della già citata beam katana con i rimanenti tasti frontali. A questi però si aggiunge un sistema di lock-on sugli avversari e la funzione di ricarica che abbiamo menzionato prima, ed entrambe fanno un uso consistente sia dei tasti dorsali che della leva analogica destra. Queste sono solo le basi, ma ben presto il gioco ci propone di approfondirle, per poi chiedercelo apertamente e arrivando, con i boss, anche ad imporcelo. Per quanto concerne la mera ossatura di No More Heroes non c’è altro da dire, ma non è certo qui che chiuderemo la recensione.
Il gioco è stato protagonista di un paragone con Grand Theft Auto durante la “fase di hype” che ne ha preceduto l’uscita su Wii sulle pagine di Nintendo La Rivista Ufficiale. La realtà, però, è in parte diversa. Questo piatto (usiamo la metafora culinaria per venire incontro ai due livelli di difficoltà, “Dolce” e “Salato”) vede un utilizzo dell’open world come mero contorno. A livello di motore grafico e di puro stile, non si troverebbe fuori posto in GTA III o in Vice City, ma il sandbox è stato svuotato quanto basta da renderlo anche una sagace parodia delle grandi mappe da esplorare.
Nello specifico, i punti di interesse restano pochi anche dopo il loro aumento e l’unico veicolo utilizzabile resta la moto di Travis. Al di fuori delle nostre missioni da sicario Sith, le uniche persone che possiamo fare a fette restano i bersagli, e mai i pedoni. Anche gli oggetti segreti da raccogliere sono sparsi in maniera volutamente frustrante. Paragonare No More Heroes a una sottomarca mancherebbe completamente il punto a cui Goichi Suda intendeva arrivare; non è un titolo che imita male i nostri gusti, ma un gioco che ci vuole aprire gli occhi nei loro confronti.
Un titolo controcorrente – Recensione No More Heroes
La frustrazione programmata si estende anche ai “minigiochi”, tra molte – e doverose – virgolette. Per enfatizzare l’aspetto da detestabile (o amabile, fate voi) perdente di Travis, il gioco ci impone di guadagnarci la quota necessaria per poter entrare a far parte del prossimo omicidio. Da bravo otaku quale è, il protagonista è perennemente al verde. Per rimediare, ci viene data la possibilità di tirare a campare in due modi. Il primo sono i già citati minigiochi, che ci permettono di fare dei lavoretti nei quali il combat system viene implementato in modo scomodo e legnoso.
Non appena finiamo di prendere a pugni e a calci gli alberi di cocco (per poi portarne i frutti con esilarante lentezza al rivenditore), No More Heroes ci apre la seconda fonte di guadagno extra di cui parleremo in questa recensione. Le missioni ci permettono di scatenarci in omicidi sulla falsariga di quelli principali, ma riprodotti in scala. Il risultante dualismo – due gameplay diametralmente opposti nel divertimento che offrono al giocatore – non sarebbe fuori posto in un film di Maccio Capatonda: i punti di forza sono validi quanto basta da farci apprezzare anche la cura riposta nelle fasi più sgradevoli.
Come abbiamo menzionato prima, però, la mappa inizia a farsi più viva (sebbene molto di poco) una volta ucciso il nostro secondo bersaglio (o terzo, se contiamo la cutscene iniziale). Si aprono infatti esercizi commerciali mirati a personalizzare maggiormente il nostro amabilmente detestabile avatar, dagli aspetti puramente estetici come i vestiti alla palestra in cui aumentare la nostra vita, o il laboratorio in cui l’avvenente Naomi ci fornirà del nuovo equipaggiamento. Fa tutto parte di un ricco mosaico, paradossalmente capace di fare dei propri difetti il trampolino di lancio dei pregi.
Naturalmente, ciò non toglie che No More Heroes sia un gioco da capire prima ancora di poterlo apprezzare. La lente dell’ironia non deve mai abbandonare il nostro occhio, ma non tutti i giocatori ne sono provvisti e questo è qualcosa di cui Goichi Suda avrebbe fatto meglio a tenere conto, tanto alla fine degli anni duemila quanto al termine di questo sciagurato 2020. I difetti del gioco, visti in superficie, possono a tratti persino renderlo paragonabile allo shovelware. Un titolo che ancora oggi dimostra di avere carattere (quanto mai irriverente) da vendere, onestamente, merita di meglio.
“Mobbasta” – Recensione No More Heroes
Concludiamo la nostra recensione di No More Heroes passandone in rassegna l’aspetto tecnico, partendo dalla grafica. Se vogliamo mettere i puntini sulle “i”, specie all’alba della next-gen, possiamo candidamente ammettere che di “remaster” questo gioco ha ben poco. Se non altro, però, ogni possibile sbavatura (comprese alcune animazioni quasi arcaiche) mette ulteriormente in risalto l’intento originale di Goichi Suda. Potrebbe non sembrare un parere oggettivo, ma proprio in fase di critica non possiamo proprio ignorare la visione artistica che permea ogni aspetto del gioco.
Per quanto concerne il sonoro, c’è ben poco da eccepire. La musica riprende le sonorità occidentali in modo similare alla colonna sonora di Crisis Core: Final Fantasy VII per PSP. Nel doppiaggio – a discapito di alcuni scambi di battute semplicemente atroci – traspare invece tutta l’emozione che i membri del cast hanno riversato nei loro ruoli. La scelta di Robin Atkin Downes (il Medico, Team Fortress 2; Luxord, Kingdom Hearts) nel ruolo di Travis è solo l’inizio: i dialoghi in stile Resident Evil 1 nascondono molto talento.
La longevità, forse, è il punto in cui No More Heroes zoppica maggiormente. Criticare la ormai onnipresente ed ossessiva mania per l’open world è un conto. Fare di questo elemento di game design lo strumento per la suddetta critica, però, è tutt’altra faccenda. Un azzardo, questo, che occasionalmente ripaga, ma di cui va spesso e volentieri a fare le spese il ritmo dell’avventura per il giocatore. Per capire Guernica, oltre ad avere in mano un libro di storia, è d’obbligo guardarlo da lontano. Non c’è alcuna certezza che il grande pubblico sia disposto a farlo, oggi come nel 2008.
Considerazioni conclusive
Potremmo concludere una recensione di No More Heroes scrivendo una sola frase, ma come? Potremmo forse definirlo il risultato grottesco ottenibile rivoltando un Grand Theft Auto come un calzino. Certo, non si può dire che nessuno abbia mai provato a farlo prima, ma ci siamo mai chiesti esattamente perché? Eppure, vedere gli organi pulsanti del tipico titolo Rockstar pulsare sotto una luce nuova (quella del sole) trasuda inesplicabilmente fascino. A livello puramente analitico, per non dire artistico, questo titolo – no, questa serie – merita tuttora di essere definita il magnum opus di Goichi Suda. Consigliato e consigliabile, il gioco è davvero un vino invecchiato egregiamente. Se siete astemi, non possiamo farci niente, ma se amate l’alcol potete già armarvi di cavatappi.
La nostra recensione si conclude qui; noi vi diamo appuntamento sempre qui su tuttoteK, per non farvi perdere nulla del mondo videoludico.
Punti a favore
- Una visione audace priva di compromessi
- Uno dei giochi più stilosi mai creati
- Una perfetta miscela di narrazione e gameplay
- Matrimonio intrigante tra intelletto e goliardia
- Un port perfettamente funzionale
Punti a sfavore
- Le fasi volutamente noiose, essendo comunque noiose, rischiano di allontanare i giocatori
Lascia un commento