Il click baiting, letteralmente “esca per i click” è un pratica vecchia quanto il web che mira a catturare l’attenzione del maggior numero di internauti possibile, facendo spesso leva sulle debolezze umane. Andiamo a capire che come funziona questo fenomeno, perchè dovrebbe preoccuparci e come difendersi
Funziona proprio così il click baiting: un titolo che cattura l’attenzione – nel mio caso ho fatto leva sulle tensioni interne riguardanti l’immigrazione – descrivendo in maniera incompleta o forviante il contenuto stesso dell’articolo, pur effettivamente rispecchiandone il tema. In pratica ci dà una visione distorta di quello che è poi realmente il fatto descritto. Questo perché la realtà è ovviamente noiosa, la viviamo tutti i giorni. Fare un’analisi critica e approfondita richiede tempo, risorse. Cose che i social odierni non mettono a disposizione. Quindi per catturare l’attenzione si fa molto prima così.
Nell’immagine effettivamente un “uomo bianco” è torturato da uno vestito di nero. O no? Qualche obiezione?
I primi passi del click baiting
Agli albori della rete il click baiting nasce come titolone psichedelico atto ad attirare gli utenti al proprio sito – tipicamente truffaldino. A quell’epoca ancora non si andava in contrasto con l’etica umana, semplicemente si sfruttavano i retaggi del nostro subconscio che ci mette in allarme quando vediamo qualcosa illuminarsi a intermittenza come un’ambulanza impazzita.
Passano gli anni e internet si evolve. Dal punto di vista grafico i vecchi titoloni cattura click stonano di brutto, inoltre si stanno diffondendo sempre più i video grazie alla piattaforma YouTube e tutti ci sentiamo veramente euforici.
«Ragazzi, sono veramente euforico.»
Ce lo ricordiamo bene il nostro amico che torturava i nostri tentativi di vedere qualche serie TV in streaming, prima dell’avvento di Netflix. È lui il simbolo del secondo step evolutivo del click baiting. Non si punta più ad attirare l’attenzione con stimoli visivi. Si tenta una strada più subdola, del tutto simile a quella battuta dalle lotterie di tutto il mondo, ovvero il miraggio della ricchezza. I soldi facili come quelli che vediamo nei film, guadagnati nel giro di massimo due ore di tensione, sparatorie e sesso passionale.
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Basta il nostro click, non serve nemmeno dare il numero della carta di credito – ormai tutti lo sanno che non si deve dare il numero della carta di credito ai ragazzi euforici ed in caso contrario abbiamo una guida -, per far schizzare i proventi pubblicitari di cui queste pagine sono tappezzate. Anche qui però manca la sostanza, alla fine la gente non è cretina e si accorge che il gioco non vale la candela. C’è bisogno di qualcosa di nuovo.
L’avvento dei social
E poi un giorno mastro Zuckerberg nella sua stanza ad Harvard creò la nuova tendenza del web. Qualcosa che avrebbe raccolto l’interesse dell’intero web: il social network. Ovvero una struttura dove ogni persona rappresentata dalla sua identità digitale poteva raccontare sé stessa e soprattutto incontrare altre persone, scambiando commenti e like. L’utente diventa parte attiva della rete con una totale libertà di espressione e aggregazione. Nasce l’epoca dei social. I numeri sono imponenti come le cifre generate dalle pubblicità. È tempo che tutti sfruttino una fetta della torta di Zuckerberg. Giornali, siti di informazione, uffici stampa si buttano nel mondo social che ormai rappresenta la quotidianità di miliardi di persone.
I social hanno conquistato la nostra quotidianità al pari della TV.
Lo scopo è sempre lo stesso: attirare i click. Ma non solo. È’ anche necessario accrescere la propria diffusione sui social. E ci sono due modi per farlo attualmente: pagare oppure essere estremamente “apprezzati” dagli utenti con valanghe di reazioni e commenti. Ecco il nuovo click baiting. Voglio non solo che le persone aprano il mio link: voglio i loro commenti e i loro like. Così torniamo al nostro «nero spezza le gambe a uomo bianco», non serve aprire la notizia e leggerla. Probabilmente decine di persone metteranno una reactions e commenteranno senza nemmeno pensare al film Shrek. Ormai lo fanno tutti, anche siti autorevoli.
LaStampa ad esempio pubblica un titolo del tipo «Cassazione: sei ubriaca? Lo stupro è senza aggravante». Una persona legge e intende che i giudici di Cassazione hanno giustificato lo stupro di una ragazza perchè ubriaca. La realtà dei fatti è però diversa. Proseguendo con l’articolo si legge infatti:
La Cassazione (sentenza 32462 della terza sezione penale) sottolinea invece che c’è «violenza sessuale di gruppo con abuso delle condizioni di inferiorità psichica o fisica» anche se la vittima ha assunto alcol volontariamente, visto che «in uno stato in infermità psichica», a prescindere da chi l’abbia determinato, mancano le condizioni per prestare un «valido consenso».
Tuttavia, «l’assunzione volontaria di alcol esclude la sussistenza dell’aggravante», e il relativo aumento di pena, poiché «deve essere il soggetto attivo del reato» ad usare l’alcol per la violenza «somministrandola alla vittima». Quindi, «l’uso volontario, incide sì sulla valutazione del valido consenso ma non anche sulla sussistenza aggravante»
Tradotto in due parole, saranno condannate due persone per stupro di una ragazza in condizioni psicofisiche alterate. Non è possibile applicare l’aggravante di aver utilizzato delle sostanze psicotrope allo scopo di violentare la ragazza perché effettivamente non è successo. Stop. Sentenza perfettamente a norma di ogni legge giuridica e morale. Nei commenti invece si può leggere ogni sorta di ingiuria ai giudici, al governo, perfino alla fantomatica massoneria.
Un altro esempio è tratto da TPI. L’articolo è su Elena Ferrante, autrice della saga de “L’amica geniale” e il titolo recita «Elena Ferrante: “Sono italiana, ma non gesticolo, non urlo e non digerisco la pizza”». Quindi qui abbiamo una traditrice della patria che scappa all’estero per rinnegare il suo paese e sputarci sopra. Molti commenti sono su questo stampo infatti. Leggendo invece l’articolo si apprende che la Ferrante vuole solo proporre una riflessione sulla condizione morale del suo paese d’origine e sull’uso che si fa della lingua per scopi poco nobili. Nel finale si scrive infatti:
In quest’ultimo blog, l’autrice del ciclo “L’Amica geniale” – in un periodo in cui, nel paese, razzismo, immigrazione e paura del diverso sono diventati tra i principali oggetti di discussione della campagna elettorale – ha spiegato ciò che ama e detesta dell’Italia. Un pensiero che conclude con queste parole: “Sono italiana, dunque, pienamente e con orgoglio. Ma se potessi, mi lascerei impregnare di tutte le lingue. Anche il terribile Google Translate mi consola. Possiamo essere molto più di ciò che siamo”.
Vittime e carnefici
Il moderno click baiting ci rende vittime di noi stessi. I nostri ideali, per quanto nobili, vengono corrotti dalla rabbia e dall’indignazione e usati contro noi stessi. È una pratica eticamente scorretta perché fa perno sulle nostre debolezze subconscie. Il click baiting non è una bufala, ma l’effetto placebo è identico. Disinformazione e odio si diffondono. Forse sono vittime anche gli stessi editori dell’algoritmo dei social. Ma loro devono portare a casa il pane e sono costretti spesso a ricorrere a questi subdoli mezzi perché la società stessa lo richiede.
Noi, seduti sulla poltrona o sul cesso di casa, bramiamo questi titoli. Siamo schiavi della filosofia dei social: velocità e abbondanza di informazioni. Vogliamo la nostra home piena di novità ogni 10 minuti. Vogliamo tutto e subito, senza troppi giri di parole si deve arrivare al punto. Anzi, meglio se non ci sono le parole, come insegna Instagram. Le foto son più veloci e dirette a trasmettere informazioni. Abbiamo una fame smisurata di informazioni. Ma le vogliamo già pre-masticate, pronte ad essere ingurgitate con foga. Per poi vomitare velocemente nei commenti la prima cosa che ci viene in mente, di solito annebbiata dalla rabbia o dall’odio per qualcosa, siano persone o vaccini.
Con Instagram si riduce ancor più l’approfondimento critico. Il rapporto è principalmente rapido e visivo.
Fermatevi. Fermate questo terribile banchetto da porci. Respirate. Pensate. Fatelo per voi stessi. La rabbia consuma l’essere umano, lo deteriora. Usate la ragione: perché un giudice non dovrebbe condannare uno stupratore? C’è qualcosa che non torna. Forse dovrei approfondire. Approfondite. Leggete l’articolo sino alla fine – se siete arrivati alla fine di questo già siete sulla buona strada – e ponderate ogni sua parola. Questa è l’unica salvezza per noi. Fermarsi e osservare con la mente libera.
Il moderno click baiting è figlio della commedia dei social di cui noi stessi siamo attori. Attori che si scrivono da soli il loro copione. Non abbiate fretta di scrivere il primo pensiero che vi passa in testa. Una buona sceneggiatura richiede molto tempo per essere redatta. Sfruttate davvero la vostra libertà.
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