Le grandi opere non sempre riescono in tutto quello che cercano di fare: scopriamo perché secondo me The Witcher, Dark Souls e Skyrim hanno fallito
Ogni videogame, o ancora più in generale ogni genere videoludico, ha i propri punti di forza. Non sto parlando delle qualità delle opere come una buona realizzazione tecnica o un’idea di trama molto interessante. Parlo di quelle macrocaratteristiche che distinguono un tipo di gioco dall’altro. Ad esempio, i puzzle game puri non ti mettono fretta e il giocatore si fa cullare da quella tranquillità, oppure i metroidvania ti spingono al backtracking e il giocatore si diverte a poter esplorare più e più volte le aree potendo fare ogni volta qualcosa in più.
C’è poi un genere, quello dei GDR, che ha una notevole freccia al proprio arco: la possibilità di creare personaggi molto diversi ad ogni partita. Questa, di conseguenza, dona una grande rigiocabilità all’opera. Penso a giochi come The Witcher 3, Dark Souls oppure Skyrim. Guerrieri, maghi, arcieri, ladri: potremmo fare una lunga lista se volessi nominare tutte le classi di personaggio che abbiamo giocato nel corso degli anni, partita dopo partita. Oppure no?
E se io vi dicessi che The Witcher, Dark Souls e Skyrim hanno fallito?
Dark Souls: cosa succede in quel primo secondo
Partiamo dall’inizio e spieghiamo cosa mi ha spinto a fare tale affermazione. Nei primi momenti di ogni GDR ci ritroviamo per forza di cose a dover decidere come impostare il nostro personaggio: in alcuni casi si tratta di una vera e propria scelta di classe, come ad esempio in Dark Souls. Certo, in quest’ultima opera nessuno ci vieta di stravolgere il personaggio già pochi minuti dall’inizio, ma capirete bene che se scelgo un guerriero pesante, difficilmente il mio intento è quello di giocare un mago.
In altre opere, invece, non veniamo indirizzati in alcun modo: dovremo solo evolvere il personaggio per renderlo qualcosa di specifico. In quei casi, la questione diventa: “cosa percepisco come migliore?”. Vi riporto la mia esperienza con Skyrim.
Skyrim: com’era la storia della freccia?
The Elder Scrolls V: Skyrim non è stato, tecnicamente, il mio primo TES. Alcuni anni prima, tramite la copia di un amico (Ciao, Bubba!), ho avuto modo di provare per una ventina di ore Oblivion, ovvero il quarto capitolo. Al tempo stesso, però, Skyrim è stato il primo (e unico) TES che io abbia vissuto nella sua completezza (nel mondo console, niente mod, quindi). È il TES che ho iniziato pensando già a come sarebbe finita, pensando a tutto quello che avrei potuto fare nelle decine (centinaia) di ore di gioco future.
Ho creato un bel (si fa per dire) personaggio e sono partito all’avventura. Nelle prime fasi possiamo testare alcune armi. Devo essere onesto: non ricordo con precisione cosa ci metta tra le mani Skyrim nei primi momenti. Di sicuro ci sarà stata una spada, magari pure uno scudo. Tutto ciò che ricordo è che, a un certo punto, stavo impugnando un arco. L’ho sentito subito bene tra le mani. Ed è questo il punto: sentivo che era la soluzione migliore per me.
Trovavo, in tutta onesta, molto più divertente giocare con l’arco: il combattimento melee diventa facilmente un buttonmashing e la magia è troppo scomoda con il controller. Qui Skyrim, e i GDR, hanno fallito: io trovo il modo più divertente per giocare e, da quel momento, tutto il resto è noia. Tutto il resto non può reggere il confronto: quindi perché dovrei cambiare?
Credo che a Geralt non interessi la mia opinione
The Witcher 3: non solo divertimento
Il discorso appena fatto si applica anche ad altri giochi: in Dark Souls trovo molto più divertente giocare melee poiché adoro imparare a schivare, mentre in The Witcher 3 il sistema di combattimento è un po’ limitato per i miei gusti, quindi cerco altre soluzioni.
Non si tratta solo di come amiamo divertirci, però. Alle volte, infatti, il gioco stesso è poco equilibrato e rende più utile evolvere il personaggio in certi modi: in queste occasioni io non riesco a esimermi dal scegliere una strada che ritengo più performante per l’esperienza generale.
Pensiamo a The Witcher 3: è possibile puntare al combattimento, all’alchimia o ai segni (una magia “rudimentale” del mondo dello strigo). Questi ultimi non solo sono utilissimi in combattimento (tutti i nemici, soprattutto i più potenti, hanno qualche debolezza) ma hanno anche utilità nella fasi narrative: con un segno specifico potremo convincere i nostri oppositori a fare quello che vogliamo. Il gameplay non evolve se punteremo al combattimento (che ci rende “solo” più potenti) o all’alchimia (le pozioni e le bombe possono essere create e usate tutte anche senza spendere punti in questa categoria): con i segni, invece, avremo opzioni di gioco superiori. Qui The Witcher, e i GDR, hanno fallito: non trovo sensato negarmi queste possibilità di gameplay. Perché dovrei giocare in modo diverso?
E questo è il punto
“Perché dovrei giocare in modo diverso?”: questa è la domanda che mi perseguita da sempre nei giochi di ruolo. Io adoro creare un personaggio, viverlo sia narrativamente che ludicamente. Guerrieri, ladri, maghi: in ogni gioco trovo ciò che più mi si addice e do il 100% di me stesso. Solo la prima volta, però: rigiocare cambiando stile è per me un tradimento ai valori fondamentali dell’opera. È colpa mia? O sono loro ad aver fallito?
Mentre cercavo una risposta, mi sono reso conto di una cosa: l’unica opera GDR ad avermi spinto a giocare in modo diverso è stata Salt and Sanctuary. Ho iniziato come guerriero leggero, diventando poi un mago e in una successiva partita ho giocato come guerriero pesante con il sostegno dei miracoli. Ogni stile di gioco funzionava bene, per un motivo e per un altro.
È buffo che un piccolo indie, creato da due persone, abbia vinto dove contendenti più illustri hanno fallito.
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