Il termine indie può avere molti significati, ma qual è il più importante? Possiamo trovare una risposta in Stardew Valley?
Indie. Amato. Odiato. Ignorato (di rado).
Cos’è realmente indie? Al di là del puro significato da vocabolario (independent, ovvero indipendente) e del valore storico del termine (il quando e il come), cosa rende un titolo definibile come indie?
Ad esempio, non reputo una caratteristica fondamentale la reale indipendenza del team di sviluppo: Thatgamecompany ha ballato sulle mani di Sony PlayStation per lungo tempo, ma non oserei mai affermare che Journey non sia indie. Non è il genere videoludico a far dell’indie un indie. Non è il numero di persone che vi lavorano.
Quindi?
Il realtà la mia risposta è molto più banale di quel che si possa pensare, ma non la rende meno vera. È più interessante, però, arrivarci per gradi attraverso un titolo specifico.
Stardew Valley; ma prima le presentazioni.
L’uomo della valle
Stardew Valley nasce dalle mani di ConcernedApe, all’anagrafe Eric Barone, e vede la luce in forma completa il 26 febbraio 2016 dopo circa quattro anni di lavoro.
La ricetta base è molto semplice: un bicchiere di Harvest moon, una spolverata di realismo e venti cucchiai di varietà e contenuti.
Il giocatore veste i personalizzabili panni di un giovane uomo (o donna) disilluso e oberato dalla vita moderna. Nel grigiore di una grande multinazionale viene in soccorso l’eredità lasciataci da nostro nonno: una proprietà in campagna, un ameno spazietto tra mare, lago e montagna. Stardew Valley, appunto.
Partiamo, quindi, verso una vita migliore.
Da questo momento si apre il gioco che ci sbatte subito la realtà in faccia: il terreno è abbandonato da tempo e pietre, alberi ed erbacce ricoprono la nostra proprietà. La casa è una stanza “rustica” e tutto ciò che abbiamo a nostra disposizione è una manciata di strumenti del mestiere quali zappa, ascia, piccozza da minatore, innaffiatoio e falce. Un paio di abitanti del vicino paesello, Pelican Town, ci danno il benvenuto e ci augurano buona fortuna. Fine. Nessun grande tutorial, nessuna freccia lampeggiante che ci indica come iniziare.
La dura vita del contadino digitale
Si comincia quindi a ripulire il terreno ottenendo le prime risorse come roccia e legname. Si zappa, si piantano i primi semi ricevuti in regalo, si innaffia. Ci si rende conto che tutto questo ha diminuito la barra dell’energia e si capisce che sarà per lungo tempo il nostro avversario principale. Inizialmente non abbiamo cibi con cui riprendere le forze, quindi non possiamo fare altro che andare a dormire e cominciare a pensare come sfruttare appieno la giornata successiva.
Nel giro di qualche tempo avremo familiarità con gli elementi di gioco: i semi crescono a differenti velocità e i prodotti della terra vanno rivenduti per comprare altre semenze. Il tutto stando attenti alle stagioni, che portano nuove colture e uccidono senza pietà quelle precedenti.
Potremo creare nuove strutture per accogliere vari animali e buttarci sull’allevamento.
Otterremo una canna da pesca che ci aprirà un minigioco impegnativo per quanto strutturalmente semplice. Noteremo che, compiendo le varie attività, si sale di livello in cinque abilità differenti: i level up ci ricompenseranno con maggiore padronanza nella relativa attività e ci insegneranno ricette per oggetti via via più avanzati.
Comprenderemo che sono necessarie risorse di varia natura per rendere più tecnologica e variegata la nostra produzione artigianale (che porta con sé più guadagni) e noteremo sulla mappa l’esistenza di una miniera: tra un masso e una vena di ferro combatteremo qualche mostro grazie a una rozza spada e qualche equipaggiamento difensivo (anelli e scarpe: niente full-havel, spiacenti).
Ci renderemo conto che il paesello, Pelican Town, non è lì solo per bellezza, ma porta con sé una trentina di abitanti con una propria storia e la propria personalità. Il tutto con un tono più serio di quel ci si potrebbe aspettare. Non sono tutti felici e contenti in mezzo alla natura, tutt’altro. Potremo diventare loro amici, sposarci e avere figli addirittura.
E poi? Poi un’infinità di segreti, di aree da sbloccare, di (semplici) missioni da completare sempre legate alla produzione di risorse, una trama dal sapore fantasy sullo sfondo e ancora altro. Di certo non mancano i contenuti in Stardew Valley e i completisti vedranno le cento ore sul proprio contatore senza difficoltà.
Difetti? Una veste grafica un po’ generica che però colpisce con i propri colori (bellissimi i cambi di stagione): il fatto che tutto sia stato a carico del solo Barone addolcisce però il giudizio. Meno scusabile il sistema di controllo che spesso ti rende difficile selezionale la giusta “casella” con cui interagire: ben presto ci si farà l’abitudine, ma rimane un difetto.
Stardew Valley, quindi, è un grande titolo e le vendite hanno già da tempo dimostrato questa verità.
Cosa ci insegna Stardew Valley?
Ma non era questo il punto del nostro discorso. Cosa rende indie Stardew Valley?
Ancora più precisamente: cosa senti, come giocatore, di fronte a un gioco come Stardew Valley, di fronte all’indie? Quale elemento ti tocca dentro?
La mia risposta è: la necessità. È questo che rende diverso l’indie.
Non importa che Stardew Valley sia un ottimo gioco (sebbene ovviamente non faccia male), ma ciò che conta è che Stardew Valley fosse necessario. Barone aveva per certo la necessità di creare Stardew Valley.
Lo immagino mentre scorre la lista di titoli di uno store digitale e si chiede: non c’è qualcosa di simile a un vero Harvest Moon? No? Allora lo faccio io!
Non poteva fare altrimenti. Non si tratta di avere le capacità e di finalizzarle verso un gioco che sia ben realizzato e possa risultare godibile per il pubblico, si tratta di vedere di fronte a noi qualcosa che non c’è ma dovrebbe esserci e di fare tutto ciò che è in nostro potere per renderlo reale. È un bisogno di molti che viene realizzato da qualcuno. È un idea indipendente che ci rende suoi strumenti. Noi dobbiamo solo metterci l’amore e la fiducia. È un messaggio che doveva essere recapitato, che doveva essere letto.
Non conta se il gioco vuole toccare le corde di pochi(?) con una poesia visiva e sonora, come Journey, o voglia darti qualcosa di pura sostanza, che ti porti a premere i tasti sul controller per “ancora dieci minuti e poi spengo”, come Stardew Valley. Non è questo indie. Non è l’indipendenza, non è il numero limitato di risorse, non è l’essere diversi a tutti i costi. È quel sentimento di necessità che accompagna l’opera ogni secondo.
Troppo romantico? Forse.
E voi, cosa pensate sia indie? Quando si può utilizzare correttamente questa parola? Deve esserci reale indipendenza contrattuale? Se ti vendi a una grande azienda non sei più indie? O magari bisogna essere in pochi a lavorarci, con due soldi spicci. O magari conta solo che il gioco sia qualcosa di non mainstream?
Diteci cosa pensate. Io, intanto, devo andare a accarezzare i conigli di Stardew Valley. È necessario.
Albertino
4 Giugno 2017 alle 21:04Io aggiungerei che in genere si lavora senza uno stipendio, perchè lo si fa per passione poiché i guadagni non sono assicurati.
Dato che fare un gioco costa molta fatica e tempo.
Nicola Armondi
4 Giugno 2017 alle 21:36Anche questo è assolutamente vero.