Quello dei puzzle game è oggi un genere non sempre sulla cresta dell’onda. Andiamo per questo a riscoprire la logica e la poesia dietro ai puzzle game
Quello dei puzzle game è un genere difficile da raccontare. Questo perché per loro natura la componente narrativa non è esplicita, quasi sempre serve a contestualizzare la progressione dei puzzle che compongono i livelli. Di conseguenza, il tentativo di raccontare in modo critico questo genere, rischia di trasformarsi in una lezione accademica di game design o puzzle design. La sfida pertanto si traduce nel darne una visione quanto più moderna e meno legata agli stereotipi. Una visione che sappia rendere tanto della logica sottesa ai puzzle game quanto della poesia insita nel particolare linguaggio utilizzato. Immergiamoci dunque in questa dimensione ludica, allo stesso tempo impegnativa e affascinante, che rivela molto sul modo di comunicare proprio dei videogiochi.
Icona, indice, simbolo
In effetti, è proprio il loro modo di comunicare, diverso da ogni altro genere ludico, ad aver sedotto così tanto il sottoscritto. Qui, a differenza di altri generi, non solo il processo di apprendimento delle meccaniche (l’interazione), ma anche la vera e propria risoluzione dei livelli (la progressione) è molto più elaborata. Spesso, infatti, ci troviamo davanti un mondo privo di interfacce che ci spinge a interpretare le situazioni in modo molto più astratto rispetto ai titoli più action. Ogni puzzle game contiene infatti un proprio linguaggio fatto di oggetti, luoghi, suoni e colori che hanno un preciso codice comunicativo. Dalla linea di The Witness ai Jammer di The Talos Principle, passando ai portali di Portal, ognuno di essi intesse un proprio rapporto simbolico con il mondo di gioco.
Definizione – Puzzle game: logica e poesia
A partire dallo storico Portal del 2007, arrivando al più recente The Witness, gioco acclamato dalla critica, andiamo a filosofeggiare su cosa rende i puzzle game un genere da rivalutare. Per cominciare, vediamo prima che cosa sono nel concreto i puzzle game e cosa li differenzia dagli altri generi ludici. Giusto per non fare confusione. Essi sono definibili come quei giochi in cui bisogna risolvere una serie di enigmi la cui risoluzione è basata sul problem solving.
Diverse sono le abilità di problem solving richieste, dal ragionamento logico al pattern recognition, passando per abilità visivo spaziali o linguistiche. Sebbene molti siano i titoli che includono sezioni di questo tipo, ad esempio in sequenze o “mini giochi” in cui bisogna risolvere dei puzzle (ambientali o meno), questo non è tuttavia sufficiente per farli rientrare nella categoria. Nei puzzle game, queste meccaniche costituiscono infatti il loro “core gameplay”.
Un esempio semplice – Puzzle game: logica e poesia
Manipolazione di oggetti, comprensione di regole, pensiero logico, modelli mentali. I puzzle game contengono al loro interno un design complesso. La domanda cui si vuole rispondere però, non è semplicemente come funzionano i puzzle, ma soprattuto cosa c’è dietro la loro originalità, la creatività e la sensazione di “wow” di quando si scopre una soluzione. Per rispondere a questa domanda tuttavia, è doveroso prima introdurre alcuni concetti di base. In questa parte prenderò in prestito diversi concetti dal canale YouTube Game Maker’s Toolkit.
Partiamo delle meccaniche. Queste ultime stabiliscono come e con cosa andremo a interagire con il mondo di gioco. Dal muoversi all’interno del mondo all’utilizzo di oggetti, ogni meccanica può essere categorizzata. Dalle meccaniche si possono derivare alcune regole. Ad esempio, in The Witness, dal tracciare una linea all’interno di un area quadrata, si possono derivare diverse regole esplorando le potenzialità della stessa meccanica. Possiamo stabilire immaginiamo, la regola per la quale la linea debba separare nel suo percorso quadratini bianchi da quadratini neri, come nell’immagine qui sotto. Ciò non basta però per avere un buon puzzle game. Occorre infatti stabilire una situazione che metta il giocatore alla prova.
Il trappolone – Puzzle game: logica e poesia
Nel video intitolato “What Makes a Good Puzzle?” viene menzionata una caratteristica che contribuisce a rendere interessanti puzzle ed enigmi. L’elemento di puzzle design che permette di creare questa sensazione di epifania, ovvero ciò che rende un problema difficile e allo stesso tempo sfidante e affascinante, è ciò che viene definito “the catch”. Catch potremmo tradurlo amichevolmente come “il trappolone”. Il giocatore, dopo aver appreso il funzionamento delle meccaniche e delle regole, osserva e interagisce con il livello facendosi un’idea mentale del procedimento per arrivare alla soluzione, ovvero dei passi che costituiscono l’algoritmo del puzzle. A questo punto, se il puzzle design è ben congegnato, si incontrerà un muro. Qui, le assunzioni, o ipotesi, del giocatore si scontrano con l’esperienza. In quanto due elementi del gioco entrano in contraddizione logica l’uno con l’altro.
Pensiamo ad esempio ad uno dei puzzle di Portal. Abbiamo una porta attivabile tramite la pressione di un pulsante/piattaforma. L’antinomia consiste nel fatto che, se ci posizioniamo sopra la piattaforma per attivare la porta, non potremo attraversarla. Al contempo, se usciamo dalla stessa per attraversare la porta, questa si chiuderà. Questa strategia di design sfrutta anche le assunzioni del giocatore consolidate in livelli passati. Se abbiamo imparato che per risolvere il problema basta piazzare un cubo sopra la piattaforma per tenerla aperta, si potrebbe creare un livello successivo in cui persiste la medesima contraddizione logica, ma senza la presenza del cubo. Per risolverlo, si potrebbe programmare l’apertura della porta solo dopo essere stati fermi sopra la piattaforma per un determinato periodo di tempo.
Non solo progressione fine a sé stessa – Puzzle game: logica e poesia
Sono questo genere di contraddizioni logiche che creano la magia nel puzzle game. Situazioni in cui, per proseguire, è necessario riconsiderare il funzionamento delle meccaniche (il cubo di prima), oppure rivedere le proprie azioni da un altro punto di vista spaziale, o ancora provando a ricombinare la propria sequenza di passi in un diverso ordine. In altre parole, questo tipo di game design spinge il giocatore ad essere creativo, ad usare il pensiero laterale, “thinking outside the box”.
A tutti gli effetti però, i puzzle game possono essere molto di più che semplici collezioni di puzzle ed enigmi. Questo avviene quando essi riescono, non tanto a comunicare la soluzione del singolo livello, quanto a esprimere un vero e proprio messaggio di fondo. Ovvero quando, tramite la progressiva scoperta del mondo di gioco, livello dopo livello, si crea un legame tra game designer e giocatore. Il messaggio c’è, quando quest’ultimo è portato a cambiare il suo punto di vista sul mondo e a comprendere la volontà dell’autore (attenzione, non di aderire).
Di solito questo coincide quando il gioco presenta una narrazione, implicita o meno, che non si limita solamente a mero world building, ma che ha invece qualcosa da dire, diciamo una morale o un orientamento valoriale. Un altro titolo che pone il giocatore in questa posizione è Superliminal. Il gioco si basa sulla risoluzione di enigmi che hanno a che fare con la prospettiva e, pur non presentando enigmi particolarmente complessi, fanno immergere via via il giocatore nelle fantastiche e surreali contraddizioni del reame dell’inconscio e dei sogni.
Hal 9000, o quasi – Puzzle game: logica e poesia
Per stabilire invece dei controesempi, se da un lato Superliminal adempie ammirevolmente a questo tipo di comunicazione poetica, dall’altra, The Turing Test si pone come un puzzle game che rientra perfettamente nei canoni dell’ordinarietà. The Turing Test, nonostante l’elevato numero di meccaniche introdotte (dalle telecamere ai robottini comandati), permette la risoluzione di tutti i suoi puzzle semplicemente forzando il sistema. Non c’è nel gioco un solo livello che faccia cambiare prospettiva al giocatore.
Tutte, o quasi, le ipotesi sul suo funzionamento fatte basandosi sull’osservazione empirica dei livelli si vedono avverate nel momento stesso in cui vengono messe in pratica. In sostanza, The Turing Test è un titolo che non aggiunge nulla oltre ai puzzle stessi, anche se mantiene una propria, seppur minima, poetica. Il gioco infatti, reinterpreta in modo abbastanza diretto lo stesso tema legato all’intelligenza artificiale di 2001 Odissea nello Spazio, con l’IA malvagia che disobbedisce agli umani per salvaguardare gli stessi. Da questo si evince che il gioco manca di quel quid in più.
Un impegno ripagato
Insomma, come abbiamo visto, progettare un puzzle game che presenti un certo livello di originalità non è affatto semplice. Tuttavia, non c’è un giusto o sbagliato, semplicemente esistono titoli che funzionano più di altri. Spesso, quando si pensa ai puzzle game si pensa subito alla logica e mai alla poesia che potrebbe nascondersi. Il mito della razionalità rappresenta solo una mezza verità. Infatti, se da una parte abbiamo degli elementi formali, come le meccaniche, le regole o anche il nostro trappolone, dall’altra, invece, esistono degli elementi per così dire semantici. Ossia elementi che riguardano il rapporto tra game designer e giocatore, il senso e il messaggio di fondo del videogioco. Riuscire a realizzare un puzzle game che non si limiti alla successione di puzzle fine a sé stessi, ma che riesca, oltre a questo, a raggiungere una sua filosofia di pensiero, non è così immediato. Quando questo accade, come nel caso di The Witness, ecco che la magia si compie.
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