I nemici generici nei videogiochi spesso rappresentano il vero e proprio fulcro del gameplay, eppure spesso li eliminiamo senza remore senza prestargli l’attenzione che meriterebbero. Abbiamo quindi eseguito una serie di riflessioni sulle principali categorie di NPC e il conseguente impatto che possono avere sulla reputazione stessa del videogioco
Coraggiosi e indomiti, i protagonisti di numerosi videogiochi hanno saputo ammaliarci, conquistarci e affascinarci tanto da mantenere un posto speciale nei nostri cuori e, a volte, anche su una mensola o scrivania con una action figure che li raffigura a imperitura memoria. Tuttavia nessun eroe è tale senza una nemesi altrettanto grandiosa, un antagonista di turno che sappia darci la motivazione per continuare ad accompagnare il nostro eroe, pad alla mano, lungo tutto il corso della sua avventura. Ma non è dei super cattivoni che vogliamo parlare in questa sede, l’argomento è già stato trattato in migliaia di salse diverse e chi scrive in questo momento non potrebbe portare nulla di aggiuntivo né migliorativo rispetto a quanto già sviscerato da giornalisti ben più preparati e talentuosi.
Ciò di cui vorrei parlare sono quei nemici generici che, senza una reale caratterizzazione, falciamo quotidianamente a migliaia senza curarcene troppo durante la stragrande maggioranza della durata di una campagna. Ebbene, l’abbattere quegli anonimi fantocci rappresenta spesso la parte preponderante del videogioco stesso, essendo il combat system una caratteristica fondamentale del gameplay di numerosi generi.
Memorie di un videogiocatore
Ricordo ancora vividamente la prima volta che uccisi un NPC in un videogioco. Era un’estate della prima metà degli anni ’90, la scuola elementare che frequentavo era chiusa e passavo i pomeriggi con mio fratello e mio cugino fra giocattoli e giri in bicicletta per le vie del mio quartiere periferico immerso nel verde. Un giorno mio cugino ci chiamò nella mansarda della sua villetta a schiera dove, fra le varie apparecchiature da radioamatore di mio zio, spuntava un PC 486. Dopo averlo acceso mio cugino digitò sulla tastiera grigiognola dei comandi che apparvero in un verde vivido contro il nero dello sfondo:
cd c:\giochi\gold
gold
Apparve una grande scritta che avevo già visto in uno spot con Jerry Calà durante le pubblicità di Bim Bum Bam: SEGA. Partì così Golden Axe e dopo averci fatto vedere una partita dimostrativa, mio cugino mi fece spazio accanto a lui, presi i comandi delle frecce direzionali e iniziammo una partita cooperativa. Dopo aver mandato avanti velocemente le incomprensibili scritte in inglese ci trovammo ad affrontare i primi due nemici che ci dividemmo equamente combattendone uno a testa. Un po’ impaurito e dopo avene prese parecchie, riuscii a premere il tasto 5 con il giusto tempismo e ad abbattere così il mio nemico, facendolo cadere all’indietro mentre il suo corpo lampeggiava fino a sparire e la potenza della nuovissima Sound Blaster riproduceva un rantolato urlo MIDI.
Mi alzai dalla sedia esultando: ce l’avevo fatta! “Smettila!” mi sgridò mio cugino: “ne arrivano altri”. La partita continuò, non ricordo come, ma non andammo tanto lontano. Da quel momento però le mie mani erano sporche di sangue digitale, e quello sventurato scagnozzo di Death Adder non fu che il primo di una lunghissima serie di vittime che continua ad allungarsi ancora oggi.
Dall’aria minacciosa e decisamente poco intelligente il tizio più in alto è stato la mia prima vittima videoludica
Le principali categorie
Dopo essermi scusato con voi per il racconto volutamente da nonno che parla della guerra ai nipotini, volevo analizzare un po’ meglio quel nemico, sviscerandone caratteristiche e background.
Dal look fetish e senza alcuna intelligenza artificiale, questo nemico era studiato per avvicinarsi al giocatore e colpirlo senza pietà. Davvero ci faremo delle remore a percuotere e abbattere un essere così bieco, brutto e senza scrupoli? Assolutamente no! È il seguace di un malvagio essere che ha rapito il nostro re e la nostra regina, mettendo a repentaglio la libertà. E allora, via libera a spade, asce e draghi sputafuoco per fermare la malvagità e il caos!
Il mostro fantasy
L’ambientazione di Golden Axe fa parte di un genere decisamente più ricco e articolato: il fantasy. Alimentato da decenni di giochi di ruolo cartacei, letteratura e avventure testuali, questo genere ci ha regalato un ventaglio di nemici davvero innumerevole, il cui limite è appunto la fantasia. Orchi, non morti, creature d’ombra o semplicemente animali selvatici: tutte le infinite categorie che dobbiamo combattere hanno il tratto comune di essere creature malvagie e senza scrupoli, giustificando così la loro uccisione da parte dei bellissimi e illuminati esseri quali uomini o elfi.
L’alieno
Non troppo dissimile dal mostro fantasy, troviamo uno dei uno dei nemici più inflazionati e longevi della storia del medium: l’alieno.
Ciò che davvero lo differenzia dai nemici tipici del genere fantastico è soprattutto l’ambientazione che, invece di essere un medioevo alternativo, è spesso contemporanea o futuristica. Tuttavia per trovare le origini di questo nemico dobbiamo andare a scavare nel passato: correva infatti l’anno 1987 quando Toshihiro Nishikado, dipendente di Taito, disegnò degli alieni dalla vaga forma di esseri acquatici che divennero la prima vera icona videoludica dotata di una propria riconoscibilità nella cultura pop.
Da quel momento di alieni ne abbiamo visti davvero di tutti i tipi e non tutti necessariamente malvagi. Capita spesso infatti non solo di avere comprimari provenienti da un altro pianeta, ma anche di poterne direttamente impersonare uno. Unico requisito per avere un eroe alieno è quello di disporre di un design decisamente figo o, più frequentemente, simpatico e divertente: le bave e le deformità lasciamole ad appannaggio dei nemici, cosicché possiamo decimarli senza remore.
Gli alieni di Space Invaders: le prime superstar del medium videoludico
Il nazista
Il male tuttavia ha molte facce e purtroppo, diverse di queste sono prese a piene mani dalla nostra storia: un nemico che non passa mai di moda è infatti il nazista.
Pensiamoci bene: in quanti videogiochi dobbiamo ribaltare l’imperante e stragista terzo Reich? Che il concept sia focalizzato sulla ricostruzione storica piuttosto che su una sua raffigurazione fantasiosa e grottesca, la guerra al nazista è su così ampia scala da aver attraversato diversi generi, in particolare gli strategici, gli action e gli sparatutto. Risalire a quale sia il primo cronologicamente è quasi impossibile, ma la saga uccidi crucchi per antonomasia è certamente Wolfenstein, il cui primo capitolo è datato 1981.
Ebbene, volendo prendere questo anno come quello di riferimento per l’inizio della rivolta antinazista videoludica, il soldato tedesco della seconda guerra mondiale si contende con l’alieno il titolo di più longevo villain del medium. D’altronde ogni volta che ti trovi davanti ad un NPC con la svastica al braccio e che urla frasi che sembrano composte da una manciata di consonanti pescate casualmente dal sacchetto dello scarabeo, che fai? Non gli spari? Sarebbe da irresponsabili non provare ad arrestare l’ascesa dei tedeschi al dominio del mondo.
Il terrorista
Tuttavia non è tutto nazista ciò che nuoce alla libertà e al libero arbitrio. Durante la storia del videogioco infatti la sua figura come nemico per eccellenza è stata più volte (temporaneamente) sostituita da altre categorie ispirate a purtroppo reali accadimenti della scena internazionale. Ad esempio i tragici avvenimenti dell’11 settembre iniziarono una lunga scia non ancora conclusa di titoli ambientati durante la guerra contro il terrorismo internazionale.
Di genere principalmente FPS, il primo esempio che viene in mente è Call Of Duty, che nella saga di Modern Warfare ci porta proprio a combattere nei paesi del medio oriente, facendo leva sul desiderio di vendetta e rivincita suscitato delle immagini che sono passate sui telegiornali di tutto il mondo. I nemici in questo caso sono dei fanatici che hanno ordito contro la grandezza degli Stati Uniti d’America. Spostiamoci quindi in Medio Oriente ed esportiamo un po’ di disinteressata democrazia a suon di headshot e bandiere americane che garriscono al rallenty.
Un nazista diventato zombie: due motivi in uno per un headshot!
Lo zombie
Un’altra categoria che gode paradossalmente sempre di ottima salute è lo zombie. Da Resident Evil a Dying Light, da Days Gone a Left 4 Dead: il non morto ha trovato nel videogioco un ottimo ecosistema in cui attecchire e prosperare sempre più. Il pubblico sembra non essere mai stanco di massacrare ondate di non morti, mentre sceneggiatori e designer sono sempre più ansiosi di dare le proprie personali interpretazioni di un fenomeno che non sembra passare mai di moda. Virus, maledizioni, fino alla contaminazione da funghi di The Last of Us: ogni espediente narrativo è valido. E se non si riuscisse ad inventarsi nulla?
Pazienza: c’è uno zombie brutto, sbavante e desideroso di divorarti le interiora; sembra un umano, ma non lo è dannazione, e allora via, un bel proiettile in testa e il problema è risolto in una esplosione di cervella. Se poi lo zombie dovesse essere un nazista, be’, cosa chiedere di meglio di questa combo degna del migliore film trash? Grazie Sledgehammer Games!
Le polemiche sociali
La formula della caratterizzazione dei nemici del videogioco politicamente corretto sembra insomma essere sempre più o meno la stessa, e al massimo genererà un “che schifo” da parte di qualche persona non particolarmente avvezza a smembrare zombie. Il mercato è comunque talmente tanto ampio da lasciare spazio a vere e proprie inversioni di ruoli rispetto a quanto detto fin ora, anche se in una percentuale certamente non maggioritaria.
Esistono invece casi che non seguono queste precise linee guida, ma danno la possibilità di falciare vittime fra categorie di NPC che, non possedendo le qualità sopra elencate, vanno a ledere la morale e a scatenare polemiche (diciamocelo) soprattutto da parte di chi di videogiochi non conosce proprio nulla.
Ecco quindi comparire la mamma che fa parte dell’associazione genitori “mio figlio è l’essere perfetto” pronta a strepitare denunce contro il videogioco quale male del mondo che vuole corrompere il suo adorabile pargolo tutto camicette a quadri e riga da una parte. Allo stesso tempo Trump non aspetta altro che additare nuovamente il medium interattivo quale la vera causa della violenza nel suo Paese, invitando poi subito dopo tutti i cittadini onesti a recarsi in un supermercato per comprare un fucile semi automatico per potersi difendere dalle orde di malvagi e violenti videogiocatori.
La lista dei videogiochi al centro di polemiche è piuttosto lunga e attraversa trasversalmente tutta la storia del medium fin dalle sue origini. Era infatti il lontano 1976 quando l’opinione pubblica venne scossa da Death Race, un racing game in stile destruction derby sviluppato da Exidy. In questo titolo, oltre a dover distruggere le altre auto, era possibile investire dei piccoli gremlins facendo comparire una croce dall’aspetto macabro. Il problema era che la grafica rudimentale rendeva i gremlins non distinguibili da esseri umani, dando così il via al primo scandalo legato ad un videogioco che imperversò attraverso gli Stati Uniti.
Carmageddon in tutto il proprio splendore
Death Race tuttavia ebbe un erede ben più famoso e recente: stiamo parlando di Carmageddon, celeberrimo titolo sviluppato da Stainless Games ed uscito sul finire degli anni 90. Le meccaniche da racing game si mischiavano alla possibilità di investire i passanti in una esplosione di sangue e gore. Anche qui le polemiche non si fecero attendere e in diversi stati il gioco fu ritirato dal mercato per poi tornare in una edizione in cui i pedoni erano sostituiti da zombie o robot, rendendolo quindi “compatibile” agli standard che abbiamo elencato poc’anzi.
Nel recente 2015 si presentò un caso decisamente limite: sviluppato dal team Destructive Creations, Hatred è un titolo in cui bisogna compiere genocidi eliminando più civili possibile. In questo caso le polemiche si sollevarono anche all’interno della stessa community di giocatori. Tuttavia il gioco uscì comunque su Steam, nonostante un tentativo di blocco da parte di Valve.
Il titolo politicamente scorretto per antonomasia però è l’acclamata e fortunatissima saga di GTA, diventata un vero e proprio simbolo delle polemiche anti videogioco. A quanto pare però, come diceva Oscar Wilde: “Non importa che se ne parli bene o male, l’importante è che se ne parli”; e in effetti l’eco mediatica che ebbe la serie è uno degli elementi che l’ha resa il colosso che è oggi. GTA 5 è in commercio dal 2013 ed è tutt’ora a prezzo pieno e ai primi posti delle classifiche di vendita. Al momento in cui scrivo il gioco sta per sfondare i 100 milioni di copie vendute, e i ricavi hanno superato i 6 miliardi di dollari: più di qualsiasi altro videogioco, film o album musicale nella storia!
Sul serio quegli esserini sono stati giustificati come gremlins? Sento rumore di unghie sul vetro
Il labile confine
Eppure nella mia carriera più che ventennale da videogiocatore mi è capitato di assistere a un fatto che mi ha spinto a riflettere e che ha rappresentato il perno centrale attorno al quale sono ruotate tutte le considerazioni che hanno portato al presente articolo.
Un paio di anni fa giocando a Metal Gear Solid V mi stavo introducendo furtivamente in un piccolo forte disperso nell’immensità dell’open world e c’erano due guardie che mi ostruivano il passaggio. Ero quasi pronto ad ucciderle entrambe quando iniziarono a parlare fra di loro: “Ancora un paio di giorni e torno a casa. Non vedo l’ora di riabbracciare mia moglie e mia figlia”. Devo ammettere che rimasi perplesso: la linea di demarcazione fra il soldato senza personalità pronto a farmi a pezzi e l’essere umano padre di famiglia mi si era appena lacerata davanti agli occhi. Razionalmente so che quella frase è stata pescata randomicamente fra un set di qualche centinaia registrate da un doppiatore, tuttavia con quella esclamazione Kojima è riuscito a “riempire” di personalità e background uno di quegli NPC che solitamente eliminiamo senza remore.
Già me lo immaginavo mentre i suoi compagni gli rimboccavano la bandiera comunista sulla bara e un commilitone consolava la vedova e l’orfana dicendogli che era un vero eroe e aveva dato la vita per l’ideale. Datemi del patetico sciocco se volete… ma l’ho risparmiato. Ed ora mi piace pensare che possa essere con la sua famiglia fatta di bit su un qualche server in Konami, oppure che abbia potuto vivere felicemente in qualche allocazione di memoria sulla ram della mia PS4 finché spegnimento non li abbia separati.
Andrea Farina
7 Agosto 2018 alle 14:13Bellissima recensione! Molto interessanti gli argomenti trattati!
bakla89
5 Febbraio 2021 alle 13:12Ma…
Ma questo articolo fa sbellicare!!!
Mettetelo in prima pagina!!
Poi il finale toccante… Sei un fenomeno!