Ultimo appuntamento per la nostra rubrica sull’evoluzione dei videogiochi, stavolta con lo zaino in spalla iniziamo in viaggio nelle lontane terre del Sol Levante, madrepatria dei JRPGÂ
Ripercorrere la storia dei videogiochi vuol dire ripercorrere un po’ anche la nostra stessa vita, specialmente per chi con questo medium è nato e cresciuto. Così come è innegabile pensare che ciascuno di noi viva la sua passione in modo diverso, come valvola di sfogo, come piacevole passatempo o come vero e proprio lavoro, è altresì rilevante sottolineare l’ovvio, ma significativo, assunto che… Ogni essere umano ha un gusto proprio.
C’è a chi piace più il dolce o più il salato, chi l’uomo o la donna, chi il caldo o il freddo. In generale l’uomo è una macchina che pone al primo posto il suo stesso piacere e cerca di soddisfarlo nel migliore dei modi, il più a lungo possibile, nella maniera più rapida. Lo stesso si può dire per il medium videoludico.
Ci sono serie, o nel nostro caso possiamo parlare di generi, che hanno profondamente segnato la nostra crescita e lo sviluppo di un nostro gusto personale unico. Nel mio caso parliamo dei JRPG, dei Giochi di Ruolo di stampo giapponese per chi non fosse amante delle sigle. Abbiamo già parlato in una puntata di questa serie settimanale di speciali dei RPG e dei CRPG, con una meravigliosa finestra aperta anche ai Survival Horror e agli FPS. Ripartiamo da quanto già detto per prendere una strada completamente diversa. Una strada che va verso il Sol Levante.
C’era una volta…
Quando si pensa ai JRPG inevitabilmente la mente va a Square Enix (ex SquareSoft) per ovvi motivi: la serie dei Final Fantasy. Non è così semplice però. Il genere dei JRPG riparte sempre da quel filone di Giochi di Ruolo nati dopo l’esordio di Dungeon & Dragons e si colloca temporalmente dopo la nascita dei primi RPG occidentali. Il primo JRPG che possiamo definire tale è Black Onyx, datato 1984, nato dalle mani di un gaijin, uno straniero, Henk Rogers, olandese trasferitosi in Giappone. Black Onyx uscì su Apple II e proprio questo fu causa della sua poca diffusione: i PC, infatti, non erano proprio le macchine preferite dai giapponesi.
Il tutto cambia due anni dopo con l’uscita di Dragon Quest, nato dall’incontro (non sessuale, sporcaccioni) fra Yuji Horii e Akira Toriyama. Horii apportò alcune modifiche ed accortezze al modello dei RPG, in modo da renderlo più appetibile ed interessante al pubblico principale del Nintendo Famicom: i giovanissimi.
Prendiamo quindi l’art design di Toriyama, notoriamente coloratissimo e accattivante, togliamo alcune spigolosità tipiche del genere e rendiamo tutto più semplice: singolo protagonista, level up e distribuzione delle statistiche automatici, niente classi, tante armi ed equipaggiamenti e un mondo vastissimo da esplorare. E così tutto ebbe inizio.
… SquareSoft e le sue magie – L’evoluzione dei videogiochi 4/4
Ammetto candidamente che scegliere un singolo episodio della serie dei Final Fantasy per rappresentarla nella sua interezza non è stato facile. Vi ho già parlato di cosa ha significato per me l’ottavo capitolo, di quanto mi abbia segnata sia come persona sia come videogiocatrice, ma non posso certamente elevarlo ad essere il rappresentante della serie: come abbiamo già detto è stato un esperimento più che fallito sotto molti punti di vista. E allora perché proprio Final Fantasy VI?
Datato 1994, il sesto capitolo della serie di JRPG più famosa di sempre è quasi universalmente considerato l’archetipo, il punto di origine e forse il miglior gioco di ruolo di stampo giapponese mai creato. Successo di pubblico e critica a livello mondiale, conta una miriade di riedizioni su quasi tutte le console esistenti. Il viaggio di Terra, Locke, Edgar, Celes e tutti gli altri indimenticabili protagonisti è un viaggio maturo, schietto, complesso. Trattare temi delicati come le gravidanze precoci o ancor meglio il sucidio con la maturità e la delicatezza di Final Fantasy VI, inoltre, ha contribuito all’attaccamento generale del pubblico.
Impossibile negare anche l’enorme tristezza e la pesantezza dell’atmosfera del World of Ruins, così come dimenticare l’eterna soddisfazione nello sconfiggere Kefka Palazzo, uno dei migliori villain mai creati nella storia dei videogiochi. Evitiamo di dilungarci troppo, infine, sulla colonna sonora, basta nominarlo soltanto: Nobuo Uematsu. Insomma, Final Fantasy VI non è solo una pietra miliare, un trampolino di lancio per la serie che doveva morire col primo capitolo. Final Fantasy VI è a mani basse, secondo la mia personalissima opinione, il miglior JRPG mai creato.
Un viaggio nel tempo – L’evoluzione dei videogiochi 4/4Â
A contendersi il ruolo fra i migliori JRPG della mia vita con Final Fantasy VI c’è sicuramente lui: Chrono Trigger. Sempre figlio di mamma SquareSoft, Chrono Trigger ha come papà un vero e proprio dream team: Akira Toriyama, Hironobu Sakaguchi e Yuji Horii. Tre personalità di spicco dell’epoca, ciascuno tremendamente famoso nel suo ambito.
Toriyama aveva già sbancato con Arale e Dragon Ball, Sakaguchi aveva visto innalzarsi sul podio dei migliori videogiochi di sempre la sua rara perla un anno prima e Yuji Horii aveva già lasciato la sua impronta nella storia con Dragon Quest. Chrono Trigger rinnova e reinventa il genere, inserendo nuove meccaniche e svecchiandone altre. I viaggi nel tempo, inoltre, hanno sempre affascinato la massa.
Crono è un protagonista tremendamente silenzioso, completamente gettato nelle mani dei videogiocatori, chiamati ad effettuare delle scelte sulla base delle quali poi la trama si modifica grandemente. Modificato anche il sistema di combattimento, molto improntato sulla Velocità (caratteristica che andrà ad influenzare quanto dura l’attesa di ogni personaggio ad ogni tunro) e sulle Combo. Dinamismo e rapidità in un combattimento a turni: due concetti difficili da immaginare, ma Chrono Trigger ci riesce.
Fiumi e fiumi di parole – L’evoluzione dei videogiochi 4/4Â
Ci spostiamo in avanti di una decina d’anni, anche se nel mentre di titoli ne sono usciti, per arrivare a parlare di una serie che personalmente mi sta molto a cuore: i Persona. Nati come ramo secondario della serie degli Shin Megami Tensei, sono passati dall’essere spin-off al divenire un vero e proprio brand apprezzato sia dal pubblico sia dalla critica. Basti pensare al successo che ha avuto Persona 5 e a quanto sia atteso nella sua versione Royal in arrivo a fine marzo per capire quanto sì, la serie di Atlus sia effettivamente partita come un qualcosa di riservato a una nicchia, ma questo piccolo bacino d’utenza si è andato via via espandendo rendendolo uno dei franchise più attesi da ogni appassionato di JRPG.Â
Il capitolo che voglio utilizzare per esaltare a dovere questa magnifica serie è Persona 4, titolo uscito nella sua prima versione nel 2008 in Giappone, per poi essere aggiornato ed ampliato con la sua versione Golden uscita nel 2012, che è andato ad arricchire il repertorio di ottimi titoli di PlayStation Vita, sicuramente molto scarno in occidente.
Persona 4 è, secondo il mio modestissimo punto di vista, la sintesi perfetta di quel che deve essere un Persona: ricco. I vari titoli della serie si pongono a metà fra un JRPG a turni classico e un simulatore, con spiccati elementi di visual novel. Una trama non troppo complessa e personaggi iconici hanno dato quel sapore inaspettato al gioco, rendendolo facilmente apprezzabile e riconoscibile anche negli anni a venire.
La miriade di cose da fare, inoltre, incoraggia la rigiocabilità e la voglia di ottenere il platino è presente sin dall’inizio. Una vera chicca per gli appassionati del genere, e un obbligo assoluto per quei quattro poveri cristiani che hanno avuto la terribile idea di acquistare PlayStation Vita al di fuori del Giappone.
Le portatili che salvarono il mondo – L’evoluzione dei videogiochi 4/4Â
Arriviamo ad un periodo in cui i JRPG hanno attraversato una lunga decadenza, fatta di pochi titoli di nota usciti sulle console ammiraglie delle varie compagnie. Gli anni successivi al 2010 hanno visto nascere brand di AAA tutt’ora in voga, basti pensare ad Assassin’s Creed e Call of Duty, e si potrebbe benissimo dire che, in questo lasso di tempo, l’occidente abbia largamente surclassato l’oriente in termini di qualità e quantità di titoli sfornati. Anche e soprattutto perché i giapponesi si sono adagiati sui giochi erotici, i pachinko e hanno scoperto la passione per il mobile gaming. Sciagurati.
Non tutto era comunque perduto. Il Nintendo 3DS era l’ultima spiaggia degli appassionati di JRPG, fioriera di titoli marcatamente orientali e rifacenti alle grandi epoche del passato. Uno fra tutti che vogliamo citare in questa nostra disamina è Bravely Default ad opera di, indovinate un po’, Square Enix. Anno 2013, il successore spirituale di Final Fantasy: 4 Heroes of Light è fra noi. Ed è dannatamente bello.
Tralasciando il comparto narrativo e quello estetico, entrambi estremamente eccezionali e all’avanguardia per l’epoca (come solo Square sa fare), Bravely Default prende il genere dei JRPG, lo schiaccia e lo rimescola, creandone una nuova forma che verrà poi in parte riutilizzata anche successivamente.
La contrapposizione del brave e del default, che vi permetteranno rispettivamente di utilizzare più attacchi consecutivamente o di difendervi, dei Punti Brave, accumulabili turno per turno se deciderete di difendervi, e lo scatenare attacchi spaventosamente potenti rendono il sistema di combattimento accattivante, geniale al punto giusto e terribilmente soddisfacente. La salvezza, in questo mondo di sparatutto.
Non sempre è necessario innovare – L’evoluzione dei videogiochi 4/4Â
Arriviamo ai tempi recenti per tornare alle origini. Se uno dei primissimi JRPG degni di essere definiti tali è stato Dragon Quest, l’ultimo videogioco che andremo ad esaminare in questo speciale è la sua ultima iterazione, Dragon Quest XI: Echi di un’era Perduta, uscito originariamente nel 2017 e poi convertito in una versione migliorata ed aggiornata uscita nel 2019 su Nintendo Switch, chiamata Dragon Quest XI S, che ha aggiunto, fra le tante cose, la possibilità di vivere l’esperienza in grafica 16 bit. Un occhio al passato.
Torna Akira Toriyama, torna Yuji Horii, torna la sensazione di star giocando un Dragon Quest. Ambientazioni ricchissime di contenuto, nemici sempre buffissimi e colorati (anche se, ahimè, poco vari nelle fattezze), combattimenti a turni che sono una droga. Equipaggiamenti, missioni secondarie, minigiochi, una trama principale davvero entusiasmante e personaggi iconici compongono il solito piatto di Dragon Quest.
Anche la presenza dell’Eroe senza nome e senza voce, caratterizzato quanto una piadina bruciata, è ormai simbolo della serie e non disturba affatto. Anzi, dona ancora più voce e carattere ai comprimari, assolutamente meravigliosi e pieni di sfaccettature.
Insomma, Dragon Quest XI è, nei suoi pregi e nei suoi difetti, semplicemente un Dragon Quest. Non ha apportato queste enormi migliorie e cambiamenti al brand, non ha stravolto e rinnovato il genere. Ha semplicemente fatto ciò che sa fare meglio e che fa da ormai più di trent’anni: emozionare, divertire. Dragon Quest XI è un occhio al passato, proiettato nel futuro. E non potevamo chiedere di meglio.
Vivere ed emozionarsiÂ
Termina qui questa mia lunghissima disanima sui cinque migliori JRPG che, a mio modesto parere, hanno caratterizzato lo svilupparsi del genere. Così come termina qui la nostra rubrica sull’evoluzione dei videogiochi. Sono davvero curiosa di scoprire cosa ne pensate e quali sono i vostri JRPG preferiti, quindi sentitevi liberi di utilizzare lo spazio dei commenti qua sotto.
Io intanto rimango qui, in attesa di nuovi mondi da scoprire, nuove storie da conoscere, nuove emozioni da vivere. Il videogioco è e rimarrà sempre uno dei medium più espressivi e capaci di convogliare emozioni forti e durature nel tempo. O perlomeno, questo è il mio modo di viverlo. A presto, con tanti nuovi speciali.
Lascia un commento