I videogiochi sono ormai un medium ben integrato nella cultura popolare: perché l’Italia tende ancora a ripudiare gioco e giocatori?
Non c’è modo di girarci attorno: i videogiochi, in Italia, ancora non hanno vita facile. Il che è strano, considerando che (a fatica) sta emergendo non poco made in Italy. Abbiamo avuto modo (nonché il piacere) di intervistare singoli autori ed interi team di sviluppo in merito, mentre molti titoli hanno apertamente trasposto la nostra italianità. È vero, esperienze indie come Killer Chambers e progetti tripla A come Mario + Rabbids sono nati sullo Stivale per caso. Però esistono anche giochi apertamente figli della nostra cultura. Parliamo di Game Over Carrara, di Milanoir e, perché no, del ricordo immortale di Bud Spencer con Slaps & Beans.
Con un simile elenco, susciterebbe quantomeno stupore solo pensare a una chiusura nei confronti del videogioco come (diciamolo pure) forma d’arte. Ma se siamo qui, potreste facilmente intuire il motivo. Non sapevamo nemmeno noi quanto apertamente affrontare la questione, ma l’incipit della nostra recensione di Nintendo Switch Sports ci ha convinti: se c’è un momento in cui è il caso di parlarne, è adesso. Perché vedere una passione che ci ha sempre regalato emozioni e ricordi condannata solo per la sua interattività, in un periodo di supposta apertura mentale come il 2022, è semplicemente inammissibile.
“Vedo d’oppio”
Quindi l’Italia odia i videogiochi? Le risposte sono due, e dipendono dalla generazione a cui si pone la domanda. Se state anche solo leggendo queste righe, è molto probabile che alcuni di voi non vedano il problema. Purtroppo, ogni generazione diventa col tempo sempre meno recettiva nei confronti dell’inarrestabile mutamento di ciò che, bene o male, fa (ed è) cultura. Provate solo a pensare alla parola “PlayStation”. Il Bel Paese offre due differenti pronunce: una è quella dei giocatori, e l’altra viene dal consueto sdegno (solitamente di un genitore) che, facendo del termine un sinonimo dell’intera categoria videoludica, la denigra come indegno utilizzo del proprio tempo.
Naturalmente, la questione della videoludofobia italiana è riemersa di recente quando il medium, insieme al web che ospita queste stesse parole, è finito nel mirino del senatore Andrea Cangini. O meglio, in realtà parlare di un solo (e metaforico, si spera) mirino sarebbe inesatto. Il suo ultimo libro, “CocaWeb: una generazione da salvare”, è anche il frutto di studi condotti da esperti che hanno ricevuto udienza in Senato. Nelle molteplici interviste mirate a promuovere questo progetto corale, raramente Cangini tende a specificare che il campo di esperienza degli studiosi consiste nella neurologia. A occhio e croce, visto il paragone con le sostanze stupefacenti, non si tratta tanto di questo quanto di una universale analisi degli eccessi.
Domattina sarò a @SpecialeTg1 per parlare del mio libro “#COCAWEB, UNA GENERAZIONE DA SALVARE”. Tra gli altri, sarà presente un ragazzo che racconterà la propria esperienza di ex drogato da Web: altro che esagerazioni… pic.twitter.com/RrwssmNYzm
— Andrea Cangini (@andrea_cangini) April 11, 2022
L’erba del vicino è sempre più… web – Italia e videogiochi
Prima di approfondire la questione, proviamo a trattare la reputazione dei videogiochi al di fuori dei confini dell’Italia. Che ci si creda o no, persino la culla della cultura videoludica non è esente dalla stessa discriminazione. Ebbene sì, anche il Giappone ha le sue colpe in tal senso. Il creatore di Super Mario e di The Legend of Zelda, Shigeru Miyamoto, ha ricevuto solo di recente un riconoscimento dei suoi meriti culturali. A rendere il tutto più importante è che il titolo, letteralmente chiamato “Persona di merito culturale”, viene conferito solamente una volta all’anno. Insomma, i giochi sono (o possono essere) cultura.
La nostra arretratezza nel non averlo ancora riconosciuto si può vedere, in modo più eclatante, appena fuori dai confini nazionali. Non alludiamo solo al fatto che le scuole francesi incoraggino a giocare a Valiant Hearts per studiare la prima guerra mondiale. La foto che vedete qui sotto ritrae il creatore di Rayman, Michel Ancel, insieme al già citato Shigeru Miyamoto e il ministro francese Renaud Donnedieu de Vabres, ricevere il titolo di Cavalieri all’Ordine delle Arti e delle Lettere. Verrebbe da pensare che si tratti di una foto recente, ma risale al 2006. Sedici anni fa il nostro senso di rivalsa sui nostri fratelli transalpini si è sentito sull’erba sintetica di un campo da calcio, ma a livello di apertura mentale viene da chiedersi se siamo noi a dover riguadagnare terreno.
Fa più notizia il cane che morde il padrone – Italia e videogiochi
Cerchiamo però anche di trovare dei meriti nella tesi esposta (con un certo grado di disperazione) dal senatore Cangini. Anche chi vi sta scrivendo nutre una certa preoccupazione verso l’esposizione dei più giovani al mondo di social e smartphone in età sempre più tenera, al pari del “parcheggiarli davanti alla TV” di relativamente pochi anni fa. Tuttavia, non siamo desensibilizzati al concetto di eccesso: non sottovalutiamo la tendenza dei videogiocatori a riconoscere i propri limiti. Del resto, Ready Player One (l’adattamento su grande schermo) è una vera celebrazione del videogioco, ma si conclude con l’importanza di sapere quando staccare la spina come fulcro della sua morale.
Il punto in cui il tour di Cangini, atto a promuovere il progetto CocaWeb, tende a perdere la bussola è l’enfasi sulla perdita di sé stessi nel mondo digitale. Non dubitiamo che possa accadere, ma fare di una minoranza il proprio campione statistico è un ottimo modo per abbattere qualunque tesi si voglia sostenere. Del già citato tour, la tappa che ha ispirato questo intero speciale è l’intervento al TG1: oltre all’anacronistico esempio di un “drogato digitale” che accenna all’ormai defunto servizio MSN Messenger, il senatore ha fatto riferimento agli hikikomori. Un fenomeno che, nel problematico Giappone da cui proviene, anticipa l’avvento dei videogiochi di diversi anni.
Spiace aver suscitato le ire di utenti e programmatori di videogiochi, ma se l’Oms ha riconosciuto il gaming disorder fra le dipendenze, la Corea del Sud impone ai minori di 19 anni di disconnettersi alle 24, la Cina autorizza 3 ore di gioco a settimana, un problema c’è#CocaWeb pic.twitter.com/rNQlypwmEw
— Andrea Cangini (@andrea_cangini) April 18, 2022
Un nervo scoperto – Italia e videogiochi
Insomma, il trattamento dell’intera questione videoludica come una “piaga sociale” (o anche solo l’utilizzo distante e distaccato del termine “questione”) va a delegittimare la preoccupazione dei non-giocatori con un retrogusto di sensazionalismo. Non vogliamo mentirvi: se ci consentite un mea culpa, l’intero giornalismo verte (anche solo in parte) sul fare notizia. Tuttavia, se la generazione dei videogiocatori e degli internauti va “salvata”, forse si può semplicemente intervenire altrove. Se leggeste la breve autobiografia dell’autore in fondo all’articolo, vedreste un punto in comune a tanti amanti di questo medium.
L’escapismo è da sempre uno dei possibili punti di contatto con la finzione, ma forse l’interattività del videogioco lo ha elevato ad allucinante ed allucinata illusione autoindotta. Ma anche volendoci vedere del vero, è possibile che il vero problema sia il motivo dietro questo escapismo. Può essere l’emarginazione sistemica del più “debole” nell’intoccabile istituzione dell’istruzione, o forse la frustrazione dovuta all’insoddisfacente situazione lavorativa a cui sempre più spesso porta. Ma se ci si fermasse ad interagire con i videogiocatori, si potrebbe scoprire che il numero di viaggi di sola andata verso l’immaginazione è più ridotto di quanto sembra.
Un cuore pulsante (con pulsanti) tra le mani – Italia e videogiochi
La disinformazione che, al di fuori della stampa di settore, circola circa il medium videoludico è semplicemente aberrante. La cosa più grave, in tal senso, è che si tratta di disinformazione con un certo seguito. In tempo di pandemia si è parlato molto bene di Fortnite nel suo avvicinamento delle persone blindate in casa: lo stesso notiziario citato poco fa ha dedicato un ottimo servizio ai concerti in-game di Ariana Grande e Travis Scott. Naturalmente il vento è cambiato non appena ci ha levato le mascherine dal volto, tornando a una musica che, detto francamente, sta iniziando a venire a noia.
Fa un po’ ridere vedere che “il giochino in mano” resta la sola preoccupazione circa i videogiochi, sia per gli studenti rei di ignorare il dovere che per i giovani formati ma “perditempo”, quando in realtà nel medium sussistano altre insidie. Il concetto di free-to-play, dove il gioco in sé è gratuito ma gli acquisti in-game a oltranza non lo sono, resta ancora una nozione quasi del tutto esclusiva ai giocatori stessi. Purtroppo lo stesso vale anche per lo scandalo di Activision, l’esistenza troppo giovane dei sindacati nell’industria videoludica e molti altri argomenti. Fermarsi ad un semplice “Spegni quel coso”, nel 2022, è sintomo di ignoranza.
La prima Xbox è del 2001 pic.twitter.com/eotF0FeWcw
— Fabio Chiusi (@fabiochiusi) January 19, 2022
Comunicazione nell’era delle telecomunicazioni – Italia e videogiochi
Il sensazionalismo a cui alludevamo lo si vede anche nell’appuntamento fisso con i videogiochi, nei notiziari, quando esce un nuovo Grand Theft Auto. La serie è indubbiamente meglio nota per la possibilità di effettuare delle potenziali carneficine sulle strade, ma esiste anche una trama. I protagonisti sono antieroi, sempre dalla parte sbagliata della legge, che (ad eccezione di Trevor Phillips, “il giocatore medio fatto persona” su ammissione dei creatori, nel quinto capitolo) riducono i crimini ai minimi termini. D’altronde, la decontestualizzazione ha fatto la fortuna dei fumetti di Superman negli anni sessanta. Sulle copertine, infatti, si parlava di “super”, ma non di “eroe”.
Informarsi è sempre bene, specie quando prende piede una nuova corrente culturale. E a darcene prova è nientemeno che un video della stessa Nintendo, mirato ironicamente ad illustrare una funzione di Nintendo Switch per i genitori. Nel suo utilizzo di due antagonisti di Super Mario, ovvero Bowser e suo figlio, il video li trasforma in surrogati dello spettatore. Sebbene il filtro famiglia consenta ai genitori di interrompere una sessione di gioco a piacimento, è l’approccio del padre nel video a dare un buon esempio: interessarsi e, nei casi migliori, farsi coinvolgere. In altre parole, dunque, evitare che l’immersione causi l’isolamento.
A rischio di suonare scontati, è game over – Italia e videogiochi
Il nostro Stivale sta muovendo dei passi avanti nel riconoscere quella videoludica per la realtà che è, ma senza mai negarsi di indietreggiare rapidamente quando l’acqua si rivela troppo fredda. Ce lo ha dimostrato l’ultima triste svolta nel mondo degli eSports. Per un Paese tanto convinto nel concepire il videogioco come spreco di tempo, d’altronde, elevarlo a sana competizione agonistica suona come un’eresia. Per questo, in un autentico schiaffo al settore visto il contesto da cui è arrivato, il mese di maggio si è aperto con la chiusura di diverse sale LAN mirate all’allenamento. A richiedere questa misura è stata l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli.
L’accusa consiste in quella che si suppone sia “concorrenza sleale” da parte delle sale LAN, nei confronti però di esercizi commerciali dove abbiamo a che vedere con una ludopatia (vera) molto più tangibile e dannosa. L’incresciosa (e, nel caso non fosse chiaro, erronea) associazione tra i premi in denaro messi in palio per un torneo di eSport e il gioco d’azzardo è persino arrivata in Parlamento, dove (salvo la discussione sulla sua regolamentazione) la forte crescita del settore è stata riconosciuta. Ci sono, insomma, anche buone notizie: sembra che il buon senso stia lentamente prevalendo.
Controcorrente – Italia e videogiochi
Riassumere in un solo articolo le mille sfaccettature dell’ostracismo italiano verso i videogiocatori è quanto mai complicato, ma agli occhi di un profano può sembrare tutto il frutto di un semplice lamento di un appassionato frustrato. In realtà, era semplicemente giunto il momento di parlare apertamente della questione. Rispetto ad altri Paesi neanche troppo lontani, per qualche motivo il nostro cerca ancora di discostarsi dal riconoscimento di una nuova forma di cultura la cui unica colpa risiede nella sua giovinezza. Non è solo un semplice “fenomeno di costume”, ma una tematica importante, un chiodo da battere ora che è caldo.
Se così non fosse, i ragazzi di PlayerInside (noti per la loro copertura del medium videoludico a tutto tondo, nonché “simpatici ragazzi sponsorizzati da Nintendo” a detta del senatore Cangini) non avrebbero caricato uno stralcio della loro diretta sul canale principale. Gianluca “Raiden” Verri ha preso parte ad un confronto con l’autore di CocaWeb, prendendo subito le distanze da stereotipi che non ci appartengono ora così come non ci rappresentavano all’avvento del NES negli anni ottanta. Le premesse per risalire la cascata ci sono, ma noi salmoni dovremo ancora sbattere le pinne per anni.
La luce (dello schermo) in fondo al tunnel – Italia e videogiochi
Esiste dunque una soluzione? Tralasciando il fatto che la generazione ancora ignara del concetto di “gap generazionale” stia lasciando lentamente il posto ad una di più ampie vedute, anche la nostra bella penisola sta compiendo i dovuti passi avanti. Prima o poi, l’opinione dura a morire secondo cui è meglio “un buon libro o un buon film” arriverà alle nostre orecchie durante una discussione. Con questo non intendiamo affatto, così come Raiden nel video di poco fa, elevare la nostra passione a panacea universale. Gli abusi non fanno bene a nessuno. Tuttavia, è bene anche venire a patti con la storia che si ripete: il fumetto è stato bistrattato allo stesso modo in passato, mentre oggi Watchmen di Alan Moore si studia alle università.
Il riconoscimento culturale dei videogiochi, nonostante il progetto non sia andato avanti (rimanendo peraltro in terza serata), ce lo ha offerto proprio la stessa Rai. Comprendiamo che il messaggio inizi ad essere sibillino, ma per quanto poco sia durato, Digital World di Matteo Bordone ha trattato per la prima volta il videogioco con tutta la dignità che merita. Vedere inoltre che un progetto mirato alle tecnologie in generale con non poche strizzate d’occhio al nostro mondo è partito dal ramo educativo dell’emittente (Rai Scuola) ci lascia ben sperare. Il futuro, forse, potrebbe essere di mente più aperta.
Età per una passione senza età – Italia e videogiochi
Nel suo confronto aperto (e sorprendentemente equo) con il mondo di web e videogiochi, il senatore Cangini ha in realtà sollevato interessanti spunti di riflessione. Un’età minima per entrambi i mondi, sebbene esista una regolamentazione in merito (il PEGI), rappresenterebbe un buon compromesso per evitare di incappare sempre in stereotipi e generalizzazioni. Sappiamo che il minimo sindacale per il PEGI sono i tre anni di età, ma (salvo alcune opinabili eccezioni) difficilmente ci immaginiamo nel ruolo di genitori tanto permissivi da concedere a un bambino troppo piccolo di giocare. Alzando il tiro, poi, per quanto riguarda i social network.
L’esposizione eccessiva al frutto dell’immaginazione altrui (e questo vale per ogni medium visivo) comporta anche il rischio potenziale di minare la propria. Siamo già arrivati al punto di vedere un’industria dell’intrattenimento sterile e derivativa in quanto a idee (specie sul grande schermo). Il concetto di remake non si limita alla leva facile sulla nostra nostalgia; è un rischio reale sullo stato in cui può ridursi la nostra fantasia. Crescendo, invece, impariamo a conoscere e gestire i nostri limiti. Chiaramente, il coinvolgimento equilibrato di un genitore può fare la differenza: la severità fine a sé stessa e la mancanza di paletti non servono a nulla.
I miti erediteranno la terra
L’Italia, intesa nella sua totalità, sta appena iniziando a tollerare i videogiochi. Può bastare? La risposta è sottintesa. Il problema viene a malapena riconosciuto: alla stesura di questo articolo, il concetto di videoludofobia viene visto come un neologismo nei casi migliori e come un esempio di vittimismo nei peggiori. Possiamo però definirlo un buon inizio? Certo. Un buon inizio fuori tempo massimo, oltre ogni dubbio, ma sì: un punto di partenza come un altro. Per parlare di esperti in materia come di “divulgatori videoludici” è ancora presto. Purtroppo. Un giorno, però, ci arriveremo.
E vorremmo chiudere questa parentesi sull’amara chiusura mentale della penisola con le parole di un grande che ci ha lasciati troppo presto. Perché la lungimiranza non ha davvero età.
In certi ambienti a volte c’è la dicotomia tra cultura alta e cultura popolare, come se quella popolare fosse necessariamente bassa. E questo, a me, non è mai piaciuto.
(Gigi Proietti)
Ora sta a voi dirci la vostra: cosa pensate di questa nostra lunga (ma al tempo stesso stringata) riflessione? Fatecelo sapere qui sotto, e come sempre non dimenticate di restare su tuttoteK per tutte le notizie più importanti per i gamer e non solo. Per i vostri bisogni puramente videoludici, potete invece trovare i migliori sconti in formato digitale su Instant Gaming.
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