Da Hellblade: Senua’s Sacrifice, A Plague Tale: Innocence, per poi passare ad esempi più antichi come The Surge o a Darksiders 3. Tutti titoli del mercato AA, una dicitura fumosa ed evasiva. Cerchiamo di fare luce
E’ palese, ormai, che il mercato AA sta crescendo sempre più . Da esempi italiani come Daymare 1998 al futuro The Surge 2, questo tipo di produzioni stanno sempre più prendendo piede ed entrando di prepotenza nel normale mainstream videoludico. Ciò può essere visto anche dalla loro presenza sempre più massiccia negli show come l’E3 e i Game Awards. Sebbene a volte definiti con connotati negativi, bollati come prodotti “mediocri” e “senza anima”, essi possono rivelare un’ incredibile quantità di amore nella loro realizzazione, che può anche lasciare spiazzati. Ripercorriamo un attimo la loro storia, il significato del termine, e di come, alcune volte, la mediocrità può eccellere.
Dal passato con furore
Torniamo indietro fino ai tempi del NES: insieme ai titoli che venivano sviluppati dalle case di sviluppo come “first party”, ovvero interni alla compagnia e dai loro studi, si accoppiavano altri titoli, con un budget di molto minore, che comprendevano tie-in di serie tv o film, spin off di titoli più importanti o addirittura progetti originali con una loro identità . Bene o male, questo stesso sentimento è sopravvissuto fino ai tempi nostri. Proprio durante l’ epoca PS2, si ebbe un’invasione di questi prodotti, titoli a medio-basso costo con poca campagna pubblicitaria e con prospettive di vendite accordi a quest’ ultimi fattori che potevano portare, se seguiti da un adeguato successo, a successivi maggiori investimenti da parte delle società .
Un esempio quasi perfetto di questo modello può essere l’originale Rachet and Clank per PlayStation 2. Rozzo, con qualche meccanica poco convincente e una trama abbastanza basilare, sebbene piena di personalità , riuscì comunque a far sbancare il lunario alla cara Insomniac Game. Società che continuo poi successivamente a reinvestire nel progetto fino ai giorni nostri, con un ottimo reboot creato qualche anno fa, per poi approdare ad una produzione da AAA che l’ha aiutata nel lanciarsi nel mercato di questo tipo di giochi, regalandoci quell’ottima esperienza che è Marvel’ s Spiderman.
The junk is real, boys!
Ciò non vuol dire che tutti i prodotti del mercato AA siano prodotti meritevoli o che aiutino effettivamente la casa di produzione nel migliorare, anzi. Il mercato è pieno di prodotti mediocri che cadono del dimenticatoio a causa di pochissimi guizzi creativi nel confezionarli, limitandosi a blandissime copie discount di titoli molto più meritevoli (diffuso il termine “eurojank”, atto a descrivere prodotti mediocri che arrivano da software house europee). Possiamo notarlo benissimo con il Team Spiders, che nei suoi precedenti lavori, Bound By Flame e The Technomancer, cercando di imitare in modo abbastanza impacciato Dark Souls e Dragon Age, aveva sfornato opere noiose e senz’anima.
E come non dimenticarci di The Surge, opera dei Deck13 che, sebbene lodevole per molti tuoi aspetti, risulta permeato da piccoli grandi problemi riguardanti il gameplay e una generale mancanza di “responsività ” dei controlli. Sebbene avesse delle idee estremamente interessanti, come la costruzione della propria armatura legata alla distruzione di specifiche parte di nemici che rilasciavano specifici oggetti, purtroppo si andava a sbattere in modo terribile contro due muri chiamati “Budget” ed “Esperienza”.
Non a caso, il nuovo gioco del Team Spiders, Greedfall, è un’opera estremamente più interessante dei loro precedenti lavori, anche a causa di un periodo di sviluppo più longevo che ha aiutato in un maggiore “polish” del prodotto, ossia una rifinitura generale che limava i vari aspetti di quest’ultimo e portando a casa risultanti estremamente interessanti che fanno ben sperare per il futuro di questo team.
Less is more
“Meno è meglio”, bellissima frase che oramai è diventato un mantra tra i designer di tutto il mondo, fu alla testa dei movimenti del primo Novecento, dove venne anche utilizzata dal padre della architettura moderna Ludwig Mies van der Rohe per esprimere il suo nuovo pensiero nella creazione di diversi suoi design, improntati sul minimalismo e sull’efficienza. A tal proposito, vorrei portare all’attenzione Darksiders 3, citato anche all’inizio dell’ articolo e facente parte della line-up di settembre del PS Plus, seguito di una serie di videogiochi che è stata riesumata dal suo vecchio publisher THQ Nordic, dopo il fallimento della casa di sviluppo Vigil Games.
Tutti i Darksiders si inspirano in modo abbastanza palese a diversi videogiochi. Il primo ricordava molto da vicino i primi God of War, mentre il secondo era un’ interessante ibrido tra The Legend of Zelda e il primo Darksiders. Per il terzo, si è visto un inaspettato interesse verso la serie di Dark Souls, con un l’incredibile somiglianza tra le meccaniche di questi giochi che, in un “originale copia-incolla”, ha creato un ibrido e un feeling quasi unico.
“E’ il dark souls del mercato AA!”
Check-point dove si rinasce alla morte, anime che vanno recuperate per poi essere speso in un sistema di level-up delle caratteristiche, materiali per potenziare armi da un fabbro, sistema di cure che si rincarano ai suddetti falò, dungeon labirintici e con numerose scorciatoie tra livelli. E queste sono soltanto le somiglianze più apparenti. Ma in una cosa si differenzia pesantemente dagli altri titoli: risulta essere un prodotto molto più completo che di altri titoli AAA. Quella che fa, lo fa con competenza. Non eccelle, ma neanche è rotto. Cosa che, purtroppo, non si può più dire per molti titoli, che rinunciano alla loro identità per una forte omologazione.
O peggio, rilasciano prodotti palesemente incompleti in occasione di essere completati con DLC (come è già successo con sia Bloodborne che Dark Soul 3, titoli cui informazioni chiave per la lore e plot del gioco è bloccata dietro l’ acquisto di questi prodotti “opzionali”).
L’interessante intreccio di meccaniche di esplorazioni alla The Legend of Zelda, con la sua libertà di scelta ed enigmi ambientali semplici ma divertenti, si fonde ad un sistema di combattimento soulslike, con armi dalle combo semplici, telecamera fissa sul nemico e memorizzazione del moveset dei nemici. Condisce il tutto una mappa metroidvania, con aree che si sbloccano con l’acquisizione di nuove abilità . Questo è ciò che rende Darksiders 3 speciale, anche grazie alla sua natura di titolo derivata dal mercato AA.
Un diamante grezzo
Darksiders 3 è un ottimo paragone per questo tipo di giochi, che grazie a tecnologie sempre più avanzate stanno mostrando il loro incredibile potenziale, in modo non molto dissimile a quello che successe qualche tempo con il mercato indie e la sua “improvvisa” esplosione. Sicuramente da tenere d’occhio, non sia mai che tra qualche anno ci si ritrovi con nuove software house all’elmo di questo grande mercato che è il videogioco. Il salto da un mercato AA ad uno AAA può avvenire con molta facilità sotto le giuste condizioni, ed oltre ad avere meno rischi rispetto a titoli più blasonati, permette anche l’ utilizzo di idee molto più originali, creando degli “ibridi” perlomeno interessanti da un punto di vista concettuale.Â
In fondo, basta guardare proprio alle case di sviluppo moderne. Prima che uscisse The Witcher 3, CD Project Red ha anche sviluppato The Witcher 1 e 2, e tutti noi sappiamo quanto The Witcher 3 sia stato stupefacente nel suo approccio al videogioco e al world design. Ci auguriamo che lo stesso succeda con questi futuri progetti, come il già citato Darksiders, che potrebbe avere un trattamento “d’eccezione” quando finalmente arriverà il capitolo finale di questa saga, con tutti e quattro i Cavalieri dell’Apocalisse nello stesso gioco.
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