Con questo articolo vedremo alcune possibili evoluzioni per il futuro degli open world. Da una migliore AI al ripensamento della struttura delle missioni, molte sono le migliorie attuabili
Questo speciale nasce da un’urgenza del sottoscritto di raccontare e analizzare determinati aspetti cruciali per gli open world e per i loro futuro. Tutto nasce da una mia recente run su Assassin’s Creed Valhalla. Tuttavia, questo ennesimo capitolo della saga degli assassini ci serve per introdurre un argomento ben più ampio e complesso. Ovvero, quali sono gli elementi di game design che funzionano in un open world e quali no? Ma soprattutto, esiste una possibile evoluzione per questo “genere”?
Alcune premesse
Ma procediamo con ordine. Prima di prendere in considerazione il futuro degli open world, è necessario premettere che questi ultimi sono una tipologia di giochi che, nella scorsa generazione di console ha visto una vera e propria rinascita. Basti pensare che tra i primi titoli usciti per PS4 e Xbox One figurano titoli come Infamous Second Son e Assassin’s Creed Black Flag. Ho parlato prima degli open world superficialmente, definendoli una vera e propria tipologia di giochi. Se c’è una cosa che va chiarita è proprio che gli open world NON sono considerabili come un vero e proprio genere. Questi sono piuttosto un paradigma di costruzione del mondo di gioco. Per fare un esempio, anche Ratchet and Clank è un gioco con delle mappe esplorabili liberamente, ma chi si sognerebbe di considerarlo un open world?
Un capro espiatorio – Il futuro degli open world
Tornando a noi, in questo articolo tenteremo di proporre delle idee, di discutere insieme quali saranno alcune possibili innovazioni future e cosa funziona nel presente. Per identificare cosa funziona in un open world però, bisogna prima identificare cosa non va. Partiamo dunque dal nostro amato Assassin’s Creed Valhalla. Valhalla nasce, per dare un minimo di contesto, ancora nel vecchio modello di business di Ubisoft. Ovvero proporre continuamente, a distanza di uno o due anni, una variazione del medesimo titolo.
In questo, Valhalla si carica di tutte le problematiche dei titoli precedenti, tentando di porre goffamente rimedio con alcuni bilanciamenti. Va bene limitare la componente gdr di Odyssey e Origin lasciando al giocatore lo stesso equipaggiamento che andrà potenziato manualmente, ma non va bene tutto il resto.
Qualche paragone – Il futuro degli open world
Qui veniamo a uno dei punti fondamentali, perché in open world come Zelda Breath of the Wild, l’esplorazione funziona e in Valhalla no? Semplice, perché in Valhalla il mondo di gioco è una bellissima cartolina (un po’ buggata) che fa da sfondo alle azioni del giocatore. Mentre in Zelda, il mondo di gioco è un attore protagonista, che cambia nel tempo e fornisce numerose meccaniche per interagire con esso.
Altra differenza con un altro titolo amatissimo dai giocatori: Red Dead Redemption 2. seppur presentando un mondo altrettanto vasto, quest’ultimo risulta originale e sorretto da una concezione delle missioni secondarie che, invece di spezzare il ritmo del gameplay come in Valhalla, costituiscono una vera e propria narrativa emergente e creano un mondo di gioco vivo, credibile e coerente con l’immaginario western condiviso, oltre ad impreziosire l’universo narrativo creato dagli autori.
Quantità vs qualità – Il futuro degli open world
Quantità vs qualità. L’idea che queste due caratteristiche siano mutuamente esclusive è un’idea errata. Basti pensare a giochi come Persona 5 o, rimanendo in tema open world, allo stesso (e già citato) Red Dead Redemption 2. Tutto dipende infatti dalla struttura e dal game design. In generale se le ore di gioco sono molte a causa di un comparto narrativo lungo e complesso, gli autori devono implementare un sistema per cui, dopo momenti di picco nel ritmo e nell’intensità del gameplay, devono esserci dei momenti di decompressione, di calo, senza tuttavia scadere nella totale inattività, come i dialoghi infiniti in certi giochi, o senza spezzare troppo il ritmo di gioco.
A questo proposito, ciò che rende piacevole l’esperienza in un titolo come Ghost of Tsushima (per fare un altro esempio) è proprio questo bilanciamento. Nonostante si tratti di un open world iper classico nella sua struttura e senza particolari guizzi creativi, il titolo scorre via e si lascia completare in modo piacevole perché dopo ogni missione principale, c’è un quantitativo di missioni secondarie e collezionabili non eccessivo. Queste ultime servono proprio per attenuare i ritmi di gioco, oltre che a dare ulteriore senso all’esplorazione.
Attività collaterali – Il futuro degli open world
Parlando di collezionabili e di meccaniche accessorie rispetto alla trama principale, come possono essere molte attività collaterali (caccia, pesca, oppure anche l’andare al cinema o giocare a golf in GTA V), c’è da dire che anche se esse non svolgono un ruolo attivo nella progressione ruolistica del personaggio con il miglioramento delle statistiche a fine attività, o anche se forniscono solamente un pretesto per dare più contesto narrativo al gioco, quello che è importante è che questi elementi risultino “significativi”. Ovvero, non solo devono essere coerenti con il mondo di gioco, ma anche dotati di senso e valore per il giocatore stesso.
Per questo, tornando al nostro Valhalla, il titolo spesso spinge il giocatore a fare questo genere di attività, dalla pesca, alla caccia, dalle sfide con i dadi alle gare di bevuta. In molte occasioni, tuttavia, mi sono trovato personalmente a evitare, anzi, a snobbare proprio questi mini giochi. Non tanto per una questione di ritmo, ma perché non hanno saputo comunicarmi un reale vantaggio e un vero e proprio motivo per farle, rimanendo dunque, dei semplici riempitivi. Per concludere, in funzione di quanto detto finora, possiamo tentare di individuare diverse vie grazie alle quali gli open world possono evolvere in futuro. Andiamo a vederle brevemente.
Possibili soluzioni per il futuro – Il futuro degli open world
Andiamo in questo ultimo paragrafo a proporre qualche cambiamento da poter apportare negli open world. In modo tale da tentare di risolvere i problemi che limitano la godibilità, l’originalità e che amplierebbero il gameplay in modi nuovi. Tutto sempre dal punto di vista del game design.
- Mappe sviluppate pensando alla narrativa: non più vaste aree anonime costruite proceduralmente e riempite di oggetti, luoghi e segnalini a posteriori, ma territori progettati con originalità e in collaborazione con altri gruppi interni al team di sviluppo.
- Interazione con il mondo di gioco e gameplay emergente: abbiamo già parlato di gameplay emergente ma forse è necessario spiegare meglio che cosa si intenda. Il concetto è esprimibile nella libertà del giocatore nell’utilizzare le meccaniche in modi inaspettati e inattesi dagli stessi sviluppatori, dando luogo a situazioni di gameplay sempre nuove. Questo si può applicare ovviamente in tutti i generi ludici, ma è proprio nella libertà data dagli open world che questo sistema può offrire il meglio (in basso un’immagine che delinea bene il concetto).
- Migliorare le routine delle IA: sia degli NPC che, soprattutto, dei nemici. Questo è uno degli aspetti che se sfruttato bene, darebbe al giocatore una maggior sensazione di verosimiglianza (ad esempio i nemici che utilizzano meglio l’ambiente a proprio vantaggio). Dare battaglia a dei nemici che si comportano, non solo in modo prevedibile, ma anche stupido o incoerente, spezza l’immersività.
- Ibridazione con altri generi: la classica struttura gerarchica verticale composta da missioni principali, secondarie, terziarie, collezionabili ecc… andrebbe ormai svecchiata e rinnovata. Un possibile passo in avanti potrebbe essere proprio scombinare questa gerarchia e rimescolare i pezzi del puzzle. Magari inserendo, ad esempio, delle scene di intermezzo più cinematografiche e in modo più organico nella storia, mescolando la regia di un The Last of Us Parte 2 alla progressione di un Horizon Zero Dawn. Spezzando così il loop: attraversamento mappa, dialogo, azione, ricompensa.
- Sensazione di libertà: spesso siamo talmente persi nella nostra run di potenziamento del personaggio, nel perseguire stancamente e apaticamente una serie di missioni o nel raccogliere compulsivamente collezionabili, che non ci rendiamo conto che invece di darcela, il gioco la libertà ce la sta togliendo. Riprendendo quanto detto per Ghost of Tsushima, a volte “less is more”.
- Miglior implementazione della componente multiplayer nel corso del tempo abbiamo visto l’introduzione dell’online progressivamente anche in questi titoli. Ora, si potrebbero inventare nuovi modi per introdurre questa modalità. Un esempio abbastanza originale è stato il multiplayer cosiddetto asincrono di Death Stranding, che in qualche modo riunisce l’esperienza in singolo e quella in multi, evitando di tagliare le due parti con l’accetta come in molti altri titoli.
Capito Ubisoft?
Abbiamo visto quindi, per riassumere, come questo genere (che poi non è un genere) molto amato dai videogiocatori abbia necessità di evolvere. Sia per una questione creativa che di stagnazione del mercato e del gusto del pubblico. Da una miglior gestione dei contenuti o da una diversa interazione con il mondo di gioco, gli open world rimangono per il futuro un vasto territorio ancora da esplorare. Concludiamo assicurando che nessun Assassin’s Creed Valhalla è stato maltrattato nella realizzazione di questo speciale.
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