Ormai è sapere comune che Death Stranding è un gioco molto particolare. Non solo per la sua storia o la realizzazione, ma anche per il background del suo ideatore, Hideo Kojima. Oggi prenderemo in esame proprio l’ispirazione di Kojima che lo ha portato a creare una delle più attese IP del 2019
Death Stranding, pubblicato l’8 novembre come esclusiva PS4, è un gioco unico nel suo genere. Non è particolare solo la trama, criptica ed ermetica fino alla fine, ma anche per le sensazioni che suscita nel giocatore da inizio a fine. Si tratta dell’ultimo action adventure game ideato dal maestro Hideo Kojima, il primo ad essere prodotto da Kojima Productions, e la cui complessa trama si basa sul concetto di connessione e legami. Nonostante questo concetto faccia da base alla storia, Death Stranding suscita nel giocatore un mix di sentimenti, anche contrastanti. A volte confusione, alle volte eccitazione, ma il tutto condito da un profondo senso di solitudine e smarrimento.
Kojima, in un’intervista con un sito francese, Telerama, ha rivelato infatti che molti aspetti della sua vita si sono riflessi nella trama di Death Stranding. La solitudine, la depressione e quel senso di fatica nel relazionarsi con gli altri, sono percepibili nel gioco e con cui Kojima stesso ha avuto a che fare. Death Stranding, quindi, è un po’ come l’anima stessa di Kojima riflessa in un action adventure game.
Quello che cercherò di mortrarvi con questo speciale è un’analisi dei concetti che fanno da base al gioco. Sono molteplici, ma mi soffermerò in particolare sul concetto di connessione/legame e il senso di solitudine che hanno ispirato Kojima nella realizzazione di Death Stranding.
Viaggiare in “compagnia”
Death Stranding è ambientato in un futuro post-apocalittico, caratterizzato da una società divisa e frammentata. Il mezzo tramite il quale Kojima ci porta a conoscere il suo dolore è Sam, un corriere che si avventura nella desolazione di questo mondo da solo, cercando di riconnettere questa società completamente frammentata. Hideo Kojima non è solito lasciare le cose al caso. Per quanto all’inizio la trama vi possa sembrare confusa, fa tutto parte dell’atmosfera cupa che Kojima ha cercato di ricreare nel gioco.
Lo ha fatto nel tentativo di suscitare nei giocatori i sentimenti che lui stesso ha provato/prova ancora oggi sulla sua pelle. Ma non è tutto: Death Stranding non è un gioco deprimente con l’unico scopo di farci sentire tristi, perché (senza fare spoiler) alla fine ne rimarremo comunque sorpresi e in qualche modo soddisfatti.
Soli, sì, ma in mezzo a milioni di persone – Death Stranding: la solitudine di Kojima
Mentre procediamo nella storia noteremo che ci sono milioni di giocatori come noi in questo mondo desolato. Sebbene non si vedano fisicamente gli altri giocatori, è possibile vedere le loro tracce. Quello che ci lascia questa interazione indiretta con gli altri, è un senso di solidarietà, coesione e pace in un mondo crudele come quello di Death Stranding. Chiaramente una metafora della società odierna, nonché una denuncia alla stessa, dove ognuno pensa a sé stesso e non ci si fida del prossimo.
Da bambino, e a volte ancora oggi, mi sentivo solo e facevo fatica ad esprimere i miei sentimenti con gli amici. Era qualcosa di non detto espressamente, e non credo che lo abbiano mai davvero capito. Mi sentivo strano, un po’ come Travis Bickle in Taxi Driver. Mi identificavo molto nel personaggio fuori dal comune del film di Scorsese, soprattutto perché il fatto che un ragazzo di New York potesse sentirsi soffocato da quegli stessi sentimenti che anche io provavo mi ha aiutato molto. Ho capito che non ero malato, ma solo legato agli altri tramite una sorta di connessione malinconica specifica della condizione umana.
Per chi non lo sapesse, Kojima ha lasciato la sua azienda storica, Konami, che lo ha consacrato come un game director dalla profondità unica e un ideatore fuori dagli schemi. La separazione è avvenuta circa quattro anni fa e Kojima, oggi, ammette di aver vissuto un momento di profonda solitudine e depressione a causa di questo divorzio. Questo, almeno finché non ha realizzato che, in tutti gli anni di carriera, è riuscito a costruirsi una rete di connessioni con tanti altri artisti, fra cui Guillermo del Toro, il quale ha anche partecipato alla creazione di Death Stranding.
Quando poi ha fondato la sua software house, Kojima Productions, si è cimentato nell’impresa di realizzare un gioco in cui emergesse, sì, questo senso di solitudine, così come l’idea di un mondo basato su connessioni e legami. Kojima ha quindi cercato di far emergere proprio questo profondo senso di isolamento mentre si gioca a Death Stranding.
Mi sono sempre sentito solo nella società odierna. Ci sono così tante persone che giocano ai videogiochi e si sentono allo stesso modo, come se non appartenessero a questa società. Non si sentono a proprio agio. Sei completamente solo mentre giochi e mentre cerchi, da solo, di riconnettere una società frammentata. Il mondo è bellissimo, ma tu sei un minuscolo granello in un mondo enorme. Ti senti senza speranza, indifeso e impotente oltre che molto solo.
DS is the game you feel very lonely during playing it.The nature surrounds you is so beautiful but also relentlessly tough,the mules force to keep fearful tension,and the BTs are so dark & scary,gives you stressed.That’s why this Private Room is necessary
👍🌈🦀🐟🐋🐬☔️💀👶✋😴 pic.twitter.com/t1mPyPxW2G— HIDEO_KOJIMA (@HIDEO_KOJIMA_EN) September 15, 2019
Un luogo sicuro – Death Stranding: la solitudine di Kojima
Kojima, all’interno del titolo ha inserito le cosiddette Private Room. Un luogo “sicuro”, dove Sam può rifugiarsi nei momenti di estrema solitudine o frustrazione, per rilassarsi e/o svagarsi. Trovo quest’idea molto interessante e realistica, da cui ne scaturisce una chiara rappresentazione di uno spaccato di società che, non sentendosi a proprio agio in mezzo alla folla, preferisce rifugiarsi in un proprio spazio e fuggire dall’esterno.
Una realtà molto triste, nonché molto attuale. Nonostante oggi sia così semplice connettersi con qualcuno, ovunque esso sia, è paradossalmente più facile sentirsi soli e incompresi, secondo Kojima. Oltre alla denuncia ai social media, che causano più solitudine di quanta cerchino di stemperare, Kojima ammette che a questo non ha una soluzione. Il fatto che in Death Stranding le interazioni presenti siano sempre di tipo positivo è (probabilmente, ndr) una dimostrazione di fratellanza e solidarietà, concetti che ormai sembrano essersi persi nella società di oggi.
Quello che cerco di dire è che mi sento connesso con tutti e non voglio perdere questa connessione. Per questo ho creato una rete, così che non potrò più separarmi da voi.
Buon viaggio a tutti!
Sicuramente Death Stranding non è uno di quei giochi dal target vario e di facile accesso. I temi sono maturi e complessi, ma spero di avervi dato una chiave di lettura interessante. Voi cosa ne pensate? Lo avete giocato? Come vi è sembrato? Fatecelo sapere con un commento e non dimenticate di continuare a seguirci su tuttoteK per tutti gli aggiornamenti dal mondo videoludico e non solo!
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