“… sa soltanto quello che non è”: i volpini in crisi d’identità al centro di Trifox sono l’oggetto della nostra recensione di oggi
Parafrasare il film d’animazione Balto ci è sembrato il modo migliore per aprire la recensione con tutto ciò che serve sapere per descrivere Trifox. Non vogliamo sembrare subito caustici in merito, anzi: quel che deve fare, il gioco, lo fa anche bene. Se proprio dobbiamo metterci un pizzico di malriposto cinismo, nel caso, possiamo aggiustare il tiro: abbiamo a che vedere con un indie che anziché non sapere chi è, si pone con certezza ed autocoscienza verso un pubblico dai bisogni stranamente specifici. Non ci siamo mai chiesti chi potesse voler combinare elementi di platforming, scaglie di action adventure, un granello di roguelike (tra tante virgolette) e i twin-stick shooter come condimento. Fino ad oggi.
Sia come sia, al risultato finale dobbiamo riconoscere che è quantomeno un ibrido curioso. La sua identità può essere derivativa e frutto della somma delle sue parti finché vogliamo, ma questa piccola avventura ne ha una. Parleremo più avanti delle impressioni complessive che ci ha dato questo titolo, ma partiamo da un preambolo: esistono due tipi di indie reverenziali. Ci sono quelli che traggono evidentemente ispirazione da certi classici, ed altri che la elevano in modo tale da mettere in risalto la loro passione. Nel secondo caso, quel che si ottiene è una lettera d’amore verso le suddette muse. A quale categoria apparterrà il gioco?
Volpe con pigrizia, volpe senza furbizia – Recensione Trifox
In veste di omaggio vivente a tutto ciò che gli sviluppatori di Glowfish Interactive hanno amato nel loro periodo formativo da giocatori, in fase di recensione la trama di Trifox lascia il tempo che trova ed opta anzi per il minimalismo. La volpe di cui prendiamo le redini vive placidamente da eremita e passa il suo tempo a guardare la TV. Non appena il trambusto all’esterno lo distrae, insieme a lui viene messo fuori gioco anche il suo apparecchio. A spingerlo ad abbandonare la sua dimora è un motivo quanto mai nobile: la sparizione del telecomando. Con queste premesse, inizia effettivamente il tutorial.
Cogliamo l’occasione per dire che il gioco non è localizzato in italiano. Gli anglofoni tra voi non si porranno il problema, e in parte neanche i fedelissimi della lingua dantesca. Il pretesto narrativo, perché di pretesto si parla anche per il resto dell’avventura, si basa sulla pantomima e sul dialogo espresso tramite goffi mugugni. Il rovescio della medaglia risiede però nelle istruzioni. Passeremo a breve in rassegna gli elementi di gameplay presenti nel gioco, ma in generale l’esplorazione e il combattimento prevedono (sebbene non inizialmente) l’utilizzo di ogni pulsante. E, inevitabilmente, ci sono giocatori che usciranno dal tutorial con più domande che risposte.
Cash Banooca – Recensione Trifox
Passando al gameplay, il tutorial di Trifox (lingua a parte) mette sul tavolo tutte le nozioni del caso: nella nostra voglia di sviscerare il gioco quanto più possibile per una recensione approfondita, ci siamo posti l’obiettivo di padroneggiare le nostre abilità al meglio. E per la maggior parte, diremmo di esserci riusciti. Di nuovo, per motivi di game design “indeciso” nel gioco coesistono due anime: quella di un titolo immediato ed accessibile, e quella di un’avventura più ostica, che richiede da noi un minimo di maestria. Anche se ce lo siamo rimangiati in poco tempo, però, c’è stato un momento a inizio gioco in cui ci è sfuggito un “oh, no”.
L’avventura ci chiede quasi subito quale sia la nostra “classe”: per fortuna non è nulla di tanto irreversibile quanto in un Dark Souls a caso, ma dopo aver preso confidenza con dei comandi da semi-platformer non ci aspettavamo certo un “momento Bulbasaur-Charmander-Squirtle”. In base alla classe scelta, abbiamo più opzioni per il movimento aereo. Di nuovo, una volta concluso il tutorial la hub principale consente di tornare sui nostri passi con il salone dell’upgrade, ma fino ad allora abbiamo chiuso il livello con un po’ di amaro in bocca. Per poi addolcire il tutto ricordando Crash Bandicoot 2: Cortex Strikes Back nel vedere un pelosetto che parte all’avventura per un disguido elettronico.
Il peramelide distruttivo 3: warped – Recensione Trifox
I parallelismi con Crash proseguono nella caverna dalla quale scegliamo prima il mondo da giocare e poi il livello: ci viene persino chiesto, come nel terzo capitolo della saga ex-Naughty Dog, di sostare su un pulsante per aprire la via ai vari livelli. Naturalmente questa base operativa ci aiuta anche, come abbiamo specificato in precedenza, a decidere come spendere le monete ottenute nei vari livelli. In base alla (fortunatamente intercambiabile) “classe”, infatti, possiamo ottenere diverse opzioni di movimento aereo ed altrettanti alberi delle abilità con relativi attacchi da associare ai vari tasti dorsali.
Vi diamo la libertà di prendervela col sottoscritto se preferite, ma quest’ultimo tende a non amare l’utilizzo dei vari grilletti per eseguire azioni di base. Tralasciando il logorio a cui li espone (la cui prevenzione risiede semplicemente nei pulsanti frontali, ma supponiamo sia opinabile), a meno che non siate davvero abituati a preferirli ai cari vecchi triangolo, quadrato, cerchio e croce non li troviamo particolarmente pratici. Tornando a noi, man mano che si prosegue nel gioco le opzioni offensive (e difensive) a disposizione del giocatore aumentano, consentendo di trovare la combinazione (o, in termini Soulsiani, la build) che più si confà al pubblico. Lo apprezziamo.
Volpe triforzuta – Recensione Trifox
Solitamente, se non si tratta di sua maestà Kirby i platformer tendono a mandare il loro flow di gameplay completamente in vacca nel momento stesso in cui implementano il combattimento. A difesa di Trifox, però, il level design sa più di dungeon di Zelda con occasionali corridoi à la Crash atti ad interconnetterli, più che di platformer duro e puro. Questo vuol dire anche che l’esplorazione passa dal superamento dei fossati con i dovuti salti alla risoluzione di enigmi in modo abbastanza repentino da darci un serio colpo di frusta. Frustati, ma non frustrati. O meglio, non proprio sempre.
L’associazione di volpi e dungeon porterebbe in teoria a pensare al brillante Tunic, se solo non fosse per una veicolazione dei messaggi al giocatore capace di superare le barriere linguistiche in un modo che Trifox può solo sognare. Questo, più l’occasionale calo di framerate. Chi vi scrive, da nintendaro qual è, solitamente considera il framerate un’inezia da poco, finché non si intromette nel gameplay. Purtroppo, però, un blocco di mezzo secondo nel bel mezzo di un salto può rovinare l’esperienza tanto quanto il lag negli ultimi tre minuti di una partita a Fortnite. Sì, abbiamo appena fatto un confronto con Fortnite.
Pimpami la difficoltà – Recensione Trifox
Va detto che a inizio gioco ci viene proposta una rosa di opzioni più che generosa, partendo dalla difficoltà (aggiustabile a piacimento con i tre livelli classici) e passando per altri parametri. Questo, considerando anche le (non molte) possibilità di curarsi, la tendenza dei combattimenti ad intromettersi negli enigmi (a loro volta intrusi in un platformer… più o meno) e i già citati tradimenti del framerate, tende ad ammorbidire parecchio un mosaico finora non dei più lusinghieri. Il che è un vero peccato, perché nella sua piccola grande crisi d’identità, Trifox svolge degnamente il suo compito.
Le abilità sbloccabili vengono in nostro soccorso anche quando le idee di gameplay giocano ancora una volta alla roulette con il game design di base. Esistono fasi da ibrido tra shoot-em-up e rail shooter in cui dobbiamo sparare da una torretta mobile sui binari, per fare un esempio. Chiaramente, le abilità sbloccabili danno al titolo anche un certo sapore da gioco di ruolo, che viene meno quando le convenzioni da action-adventure ci impongono di curarci solo quando troviamo le dovute pozioni nel livello che stiamo esplorando. In altre parole, le opzioni ci sono, ma forse servono più a sopravvivere nel marasma di idee contrastanti che per capirci effettivamente qualcosa.
Scontro a scacchi col boss – Recensione Trifox
Il progresso nel gioco, parlando di ambientazioni e di curva di difficoltà in generale, riporta l’ago della bussola impazzita di Trifox di nuovo sul platformer. Se la hub pare un ibrido tra le caverne di Crash Bandicoot 2 e le pulsantiere del seguito, i mondi aderiscono ad una divisione tematica molto più tipicamente “mariesca” (o, per restare in tema peloso, si rifanno a Crash Bandicoot 4). Per fare un esempio, se il primo scenario riprende le atmosfere isolane del tutorial, nel secondo si passa ad una miniera nell’arido deserto. E, dopo i primi tre livelli di ogni ambientazione, il tasto recante un teschio anziché un numero non lascia molto spazio all’immaginazione.
Esistono dei miniboss a metà (e/o alla fine) di quasi ogni livello, ma i boss di certo non si rifanno al “pestalo finché non crolla” tipico dei loro sottoposti. Chiudere i conti con un mondo ci chiede prima di superare questo esame finale, passando il test di ammissione in cui l’accesso all’arena è bloccato dalla stessa meccanica su cui si basa l’intero scontro. Rendere vulnerabile ai nostri attacchi un boss consiste sostanzialmente in un enigma al cardiopalma, in cui destreggiarci tra le varie minacce cercando al contempo di abbattere le difese del cattivone con l’astuzia. In altre parole è il medesimo mix di puzzle e battaglie visto anche nei livelli, ma contestualizzato ed eseguito meglio.
Labirintite – Recensione Trifox
La rigiocabilità del tutto dipende molto dal vostro senso dell’orientamento. I pretesti per rivisitare un’area già completata non mancano: per dirne una, non esistono vite ma è presente (e tangibile) un conteggio delle nostre sconfitte. Superare un livello senza perire in battaglia viene premiato, e lo stesso vale con la nostra capacità di scovare i vari prismi presenti nei diversi stage. Purtroppo quando subentra l’influenza zeldiana perdersi diventa molto facile: il più delle volte il level design ci chiede semplicemente di fare una strada e di ripeterla a ritroso con varie trappole, ma a volte le strade da tenere a mente diventano un po’ troppe.
L’eccesso di zelo, per quanto encomiabile sia il secondo rispetto al primo, si traduce in un continuo “ma sarò già passato di qua?”, ripetuto ogni volta con più sospiri della precedente. Naturalmente le visite successive “col senno di poi” vanno in tandem con le abilità sbloccate man mano che la pecunia in-game del giocatore aumenta. Non sempre arriva la soddisfazione di poter superare un ostacolo dapprima insormontabile, specie quando notiamo di colpo che quei due o tre prismi mancanti sarebbero stati ottenibili anche al primo ingresso nel livello. Per quanto lontano dal tipico indie “difficile tanto per”, questo è un gioco che va preso con filosofia.
Pane e volpe, la mattina – Recensione Trifox
Con quanta filosofia prenderemo noi le prestazioni del gioco, però? Lo stile grafico è, così come l’esperienza stessa, un po’ la somma delle sue parti. L’idea di un aspetto “plasticoso” ma al tempo stesso beneficiario di un’illuminazione cartoonesca non è qualcosa di mai visto prima nella scena indie, ma ci ha strappato un sorriso nel suo (involontario, forse?) ricordarci il film Furbo, il signor Volpe di Wes Anderson del 2009. Giocarlo su PS4, poi, non ha fatto altro che accentuare l’effetto Mandela di avere tra le mani un prototipo minimalista di Jak & Daxter da una Naughty Dog fresca di divorzio con il marsupiale che la rese famosa.
Purtroppo vorremmo poter dire lo stesso anche del framerate. Come abbiamo già detto, non c’è traballamento in grado di far sfigurare il gioco per i nostri occhi, ma le occasioni in cui si presenta sono al limite del truffaldino. La telecamera, sebbene questa è più una pignoleria che altro, segue fedelmente i movimenti del giocatore per compensare la regia fissa ed inflessibile, ma optando per la scappatoia facile: l’interno di alberi e (a volte) pareti non è tanto interessante quanto il team di sviluppo avrebbe sperato. Sul sonoro nulla da eccepire: ottima la colonna sonora da film d’animazione, e simpatici i farfugli senza senso dei personaggi.
Considerazioni conclusive
Contando anche le classi che (nel caso non lo avessimo detto) ci consentono di aprire il fuoco sui nemici, nel suo minestrone Trifox inserisce anche il genere dei twin stick shooter. E sebbene resti la sensazione che (citando un proverbio inglese) troppi cuochi rovinano la zuppa, probabilmente la cena proposta dal publisher Big Sugar può anche risultare esotica ai palati abbastanza recettivi da apprezzare una ricetta tanto sospettosamente specifica. Il conto, però, potrebbe risultare un po’ più salato di quanto non lasci supporre il nome dell’editore: venti euro. E qui subentra un ragionamento semplice.
Se avvertite una certezza viscerale sul potenziale nell’amalgamare così tanti generi nonostante le loro diversità, allora difficilmente alleggerirvi il portafogli vi causerà rimpianti. In caso contrario, però, la wishlist esiste per un motivo. Come recita un altro adagio anglosassone, “jack of all trades, master of none”. Il gioco si diletta nell’amore libero con diverse branche del medium videoludico, senza però mettere l’anello al dito di nessuno di loro. Non siamo critici insensibili: riconosciamo lo sforzo ed elargiamo i dovuti encomi, ma dobbiamo anche saper riconoscere “il mappazzone”. E per quanto possiamo apprezzare la volontà di premiare ogni idea di game design, forse Glowfish avrebbe dovuto silurarne qualcuna.
Questo era ciò che pensavamo noi. Voi però di che opinione siete? Ditecelo qui sotto, e come sempre non dimenticate di restare su tuttoteK per leggere altre recensioni ed avere tutte le notizie più importanti sulla sfera videoludica e non solo. Per i vostri bisogni da gamer, potete invece trovare i migliori sconti in formato digitale su Instant Gaming.
Punti a favore
- Una cornucopia di buone idee...
- Gradevole lo stile artistico...
- Platforming apprezzabile...
- Carino l’aspetto simil-Zelda...
- Combat system complesso...
Punti a sfavore
- ... ma mal amalgamate
- ... con salti di frame sempre inopportuni
- ... dal ritmo incostante
- ... ma battaglie ed enigmi non convivono
- ... poco apprezzabile senza traduzione
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