Quando “combatti come una mucca” senza che vada nulla in vacca: scoprite nella recensione se il port di Return to Monkey Island va… in porto
Con poetico e imprevedibile contrappasso, quello del ritorno è un tema portante per la recensione di oggi: Return to Monkey Island è infatti segnato dall’ormeggio presso il porto natìo sin dalle prime righe del nostro scrutinio di oggi. Non solo Ron Gilbert, creatore dell’amatissimo (sebbene perlopiù dalla sua fedele nicchia) franchise targato LucasArts, ha voluto riprendere le redini della serie esattamente da dove l’aveva lasciata. Anche chi vi scrive, dal canto suo, è lieto di tornare a mettere al microscopio i videogiochi come si conviene, dopo due analisi in trasferta eseguite in terra straniera.
Torniamo tutti a casa, insomma: tanto chi vi scrive, quanto questo titolo, il team creativo dietro ad esso e i fan rimasti a bocca asciutta da quel lontano 1991. Ma dopo non meno di trentuno anni, il genere delle avventure grafiche ha conosciuto l’oblio dell’aldilà con la prevalenza di altri generi su console, prima di tornare a nuova vita e seconda giovinezza. Il riscatto si è visto specialmente con piattaforme più intuitive nel loro input, tra Ace Attorney su Nintendo DS e Zack & Wiki: il tesoro del pirata Barbaros su Wii. Su questo vi possiamo rassicurare: in tal senso, il port per Nintendo Switch è de facto la versione definitiva del gioco.
“Dunque, dove eravamo rimasti?”
Sembrerà inappropriato citare il compianto Enzo Tortora per aprire la nostra recensione, ma queste sono le prime parole che ci vengono in mente anche parlando dell’aspetto narrativo di Return to Monkey Island. L’intenzione di Ron Gilbert e dei suoi sottoposti, vecchi o nuovi che siano, si lascia intendere sin dai primi istanti di gioco: tornare alla mistica Monkey Island per scoprirne il segreto che dà il nome al primissimo capitolo di quella che ora è una trilogia. L’espediente, in tal senso, è un framing device (o cornice narrativa, se preferite la lingua dantesca) che torna utile anche nel gameplay.
Con uno sgambetto da manuale, il gioco ci introduce (o reintroduce, fate voi) alle convenzioni del genere attraverso gli occhi di Boybrush e del compare Chuckie, portandoci a pensare che si tratti dei nemici giurati Guybrush Threepwood e LeChuck in tenera età. In realtà, il biondino Boybrush è il figlio di Guybrush, come si scopre (unico spoiler vero che faremo, per necessità) al termine del prologo. Dopo questo tutorial, è di Guybrush che prenderemo le redini, nel racconto di come si scoprì l’eponimo “segreto di Monkey Island”. Ad ogni accesso successivo al gioco, troveremo di nuovo padre e figlio alla stessa panchina, per un utile riassunto degli ultimi eventi.
Chi ben comincia – Recensione Return to Monkey Island
Non c’è molto da dire, in realtà, per quanto concerne l’ossatura del gameplay di Return to Monkey Island: sarà una recensione fedele al gioco tanto quanto quest’ultimo lo è alle convenzioni del genere. Avviare una nuova partita ci permette di assaporare i primi sprazzi di modernità con cui l’avventura si apre anche ai profani di questo filone. Tralasciando l’eccellente localizzazione in italiano (che tiene conto della natura contestuale dell’inglese parlato), già al menù iniziale veniamo accolti da sei voci, due delle quali meritano tutta la nostra attenzione. Nel dubbio, le passeremo in rassegna tutte.
Il sopracitato primo avvio ci permette di scegliere tra una “modalità casual” che semplifica, sostituisce o addirittura rimuove diversi enigmi, concepita “per il giocatore frettoloso”. Altrimenti, i veterani della serie che vogliono tornare a dov’erano rimasti anni or sono possono puntare alla “scimmia completa” con la modalità difficile. Il caricamento della partita è fruibile sia nel menù principale che in quello di pausa (dove lo accompagna il salvataggio). Riconoscimenti a parte, il gioco ha anche un suo sistema di achievement (condiviso, altrove, con la piattaforma di riferimento).
Opzioni per tutti i gusti – Recensione Return to Monkey Island
Parlando delle ultime due voci a cui alludevamo prima, nel menù delle Impostazioni si cela una ricca rosa di opzioni per il giocatore. I vari controlli sono consultabili all’omonima voce, così come è possibile impostare ogni possibile volume (effetti, musica, ambiente e voci) selezionando “suoni”. Le opzioni visive entrano già più nel dettaglio, permettendo di attivare e disattivare il movimento della telecamera a bordo della nave, fare lo stesso con la distorsione e alterare la qualità video. In quanto ad Interfaccia e a Testi & Lingua, c’è di che sbizzarrirsi per la personalizzazione del testo su schermo.
Concludiamo questo lunghissimo preambolo con l’Album di ritagli. Questa colossale raccolta di ricordi funge da recap per tutti gli eventi che precedono il gioco. Comprensibilmente, Ron Gilbert ha supposto che i molti anni senza di lui al timone (letterale e metaforico) della saga piratesca necessitassero di un aggancio anche per un pubblico tutto nuovo. L’album permette di prendere confidenza non solo con la narrativa, ma anche con la struttura punta-e-clicca del gioco. Due piccioni con una fava, insomma, superando in tal senso anche un franchise più blasonato come Kingdom Hearts (prima che Melody of Memory perfezionasse l’accoglienza ai ritardatari).
Parley-mi di te – Recensione Return to Monkey Island
Già dalle prime battute, il gioco non ci fa alcuno sconto sulla dura legge delle avventure grafiche. Si parla di “punta-e-clicca” per un motivo: il genere è nato con i computer e il mouse in mente. E come abbiamo avuto modo di specificare anche prima, non è un genere che ha avuto fortuna su console (per un esempio disastroso di maldestro game design, in tal senso, si veda Nightshade su NES tramite Nintendo Switch Online). Per ovviare il problema, sarà il nostro avatar in-game a fare da “cursore”: noi muoveremo Guybrush verso i “tondini” più vicini, che indicano ciò con cui possiamo interagire al momento.
Da un lato, il bizzarro fascino che l’avventura trasuda da ogni poro si evince già dalle prime battute di gioco. L’umorismo dei caraibi immaginati da Gilbert non è invecchiato di una virgola, tra bizzarri insulti, tanto sarcasmo e l’occasionale nota metaumoristica. Per essere un’esperienza quasi puramente testuale, come ci insegnano i successori indie tra cui la tedesca saga Deponia e il nostrano The Wardrobe, la sceneggiatura è legata a doppio filo all’esperienza e alla qualità del gioco. Visto quanto arcaico e ottuso possa occasionalmente rivelarsi questo genere, del resto, a un contraltare è difficile dire di no.
Che combinazione – Recensione Return to Monkey Island
Purtroppo, i dialoghi da soli possono non salvare il loop di gameplay per tutti gli appassionati. Nel giro di pochi minuti, diventa chiaro quanto occorra fare avanti e indietro per generare un contesto tale da poter proseguire. Dall’ottenimento di un teschio a cose più comuni come prendere in prestito un mocio, l’andirivieni diventa presto parte integrante della quotidianità. Naturalmente, il collante dell’intera esperienza rimane sempre l’enormità di dialoghi (tanto egregiamente recitati quanto ben tradotti) che ci terrà compagnia: un modo come un altro per vedere il mondo di gioco prendere vita.
Lo stesso vale per gli enigmi, per i quali comprendiamo appieno la scelta di lasciare ai giocatori pieno potere decisionale in merito alla difficoltà. Il nostro inventario spesso e volentieri ospita oggetti che ci torneranno inevitabilmente utili più avanti in modi inaspettati. Purtroppo, in modo poco intuitivo al di fuori della nicchia di appassionati al genere, parlare ai vari NPC dopo esserci impossessati degli oggetti non basta: occorre anche porgerli a loro, o utilizzarli per interagire con un dato elemento, se non addirittura combinarne due. Come scappatoia, i neofiti possono “sbirciare” una pratica guida in-game poco dopo il tutorial.
Prodigi della tecnica – Recensione Return to Monkey Island
Non si tratta di un refuso: siamo già “alla frutta”, in un certo senso. Non che ci si possa lamentare: l’aspetto grafico del gioco è da applausi. Si sono già visti capitoli poligonali nella serie, con risultati anche altalenanti. Questo è un ritorno alle origini a livello artistico, sebbene la scelta di Ron Gilbert di evitare la grafica retrò si traduca nel dondolante andamento degli sprite “componibili”, simile ai personaggi di Scribblenauts o di Theatrhythm Final Fantasy (con fondali analoghi alle illustrazioni di Crash Bandicoot 4: It’s About Time). Parlarne così non rende giustizia all’operato di Rex Crowle, però: suona derivativo, mentre in pratica è una bomba.
Anche per il sonoro c’è di che gioire. Peter McConnell, Michael Land, e Clint Bajakian, tornando dai primi due episodi, impregnano l’intera colonna sonora di un’atmosfera scanzonata e piratesca in ogni singola nota. Il cast di doppiatori, dal canto suo, comprende sia tanti veterani che altrettanti volti nuovi. Solo sulla nave di LeChuck è possibile ascoltare quest’ultimo doppiato da Jess Harnell, nella medesima scena in cui il sottoposto Bob vanta le corde vocali di Rob Paulsen: mancava solo Tress MacNeille per una reunion dei protagonisti di Animaniacs. Chicche a parte, artisticamente questo gioco non sbaglia un colpo.
Considerazioni conclusive
Quello delle avventure grafiche può essere un genere ostico. Se siete pronti a venire incontro a questa realtà, per 25 euro (lo stesso prezzo del Pass Percorsi Aggiuntivi di Mario Kart 8 Deluxe) non resterete delusi da quest’ottima introduzione al filone. Abbiamo recensito titoli introduttivi migliori nel contesto dell’iniziazione (si veda LIVE A LIVE in tal senso), per cui ripeteremo in questo caso quanto abbiamo già detto in passato: se a istinto il genere non fa per voi, non è questo il gioco che vi convincerà. Se però invece siete disposti ad amarlo, già lo fate o, meglio ancora, siete fan della serie, è un affare anche a prezzo pieno.
La cura maniacale e la dedizione che il team di sviluppo ha riversato nel prodotto è palese in ogni aspetto, il che lo rende sicuramente un acquisto imprescindibile per i giocatori più devoti al punta-e-clicca. Nel caso non lo siate, però, vi consigliamo ugualmente di aggiungerlo alla vostra wishlist. I saldi, del resto, su eShop non mancano mai: la giusta occasione per fare vostra una copia potrebbe anche essere il momento migliore per dare un’opportunità a questo filone. Non che sia uno dei più simpatici, ma se c’è un esponente su cui vale la pena di puntare, è proprio questo. Bentornati sull’isola!
Questo era ciò che pensavamo noi. Voi però di che opinione siete? Ditecelo qui sotto, e come sempre non dimenticate di restare su tuttoteK per leggere altre recensioni ed avere tutte le notizie più importanti sulla sfera videoludica e non solo. Per i vostri bisogni da gamer, potete invece trovare i migliori sconti in formato digitale su Instant Gaming.
Punti a favore
- Torna ogni caposaldo del genere...
- Cambiamenti quality-of-life a pacchi...
- Facile da raccomandare a tutti...
- Dialoghi, grafica e sonoro al top
- Ironico e carismatico
- Localizzazione italiana fuori parametro
Punti a sfavore
- ... e ogni sua pecca
- ... più come rattoppi per i nuovi fan, però
- ... ma forse un po’ meno ai neofiti
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