In un passato alternativo che sembra però, un po’ la copia degli anni ’90, si svolge Orangeblood e noi ve lo raccontiamo in questa recensione
Vi è mai capitato di mettere su carta, in parole, schizzi a matita o note musicali, un’idea che nella vostra mente si prospettava allettante ma che alla prova dei fatti, una volta tradotta da pensiero a dato tangibile, appariva irriconoscibile? Nei videogiochi questa sconcertante dinamica avviene decisamente spesso. Essi stessi sono infatti frutto di processi creativi nei quali le idee diventano concept e i concept diventano versioni alpha, beta e via discorrendo.
Questo preambolo l’abbiamo piazzato qui all’inizio di questa recensione di Orangeblood per un motivo. Sembra, infatti, che nello sviluppo del gioco in questione sembra essere accaduto proprio questo fenomeno di cui abbiamo accennato. Un’idea si è trasformata in concept e il concept in un prodotto videoludico. Il problema è che ogni passaggio, in questo caso, è avvenuto in modo discutibile. Proveremo a spiegarvi il perché nei paragrafi che seguiranno.
Banzai, harigato, sayonara
Orangeblood è il frutto indie di una piccola software house giapponese, Grayfax Software. Active Gaming Media, il publisher, l’ha presentato nel corso del BitSummit 7 Spirits. Trattasi di un evento che si è tenuto a giugno dello scorso anno nella suggestiva cornice della Kyoto International Exhibition Hall. Active Gaming è uno sviluppatore piuttosto noto in Giappone con sede ad Osaka. Tutto questo per dirvi che Orangeblood nasce, si nutre (e forse muore anche) nel contesto della realtà culturale della terra del sol levante.
Il gioco trasuda essenza nipponica in tante sue componenti. Dall’ambientazione che sembra fare il verso alla caotica Akihabara, a parte della componente visiva in salsa anime fino al genere stesso del titolo: un j-rpg a turni rigorosamente non strategico. Per anni, infatti, parte dell’espressione videoludica giapponese, fin dalle remote uscite del primo Dragon Quest (1986) e del primo Final Fantasy (1987), è stata sinonimo di gioco ruolistico a turni.
Così Grayfax riprende tutti gli avanzi di questo mastodontico banchetto videoludico, ci crea un piatto nuovo e ve lo rifila riscaldato alla meno peggio. Il gioco, dopo un goffo rinvio mirato nominalmente “ad ottenere i più alti standard qualitativi”, ha debuttato il 14 gennaio su Steam e il primo di questo mese su console. Abbiamo avuto modo di provare Orangeblood su Switch e, proseguendo nella lettura di questa recensione, saprete a breve com’è andata.
Quasi arcano – Recensione Orangeblood: pasticcio alla giapponese
Tanto tempo fa c’erano gli anni Novanta. Proprio in quel periodo si svolge Orangeblood. O meglio, Orangeblood si svolge in una versione alternativa degli anni Novanta, perché allora non c’erano certo vetture a propulsione a sfrecciare nei cieli o cyborg quadrupedi a pascolare allegramente per le strade. Fatta eccezione per tali quisquilie, la realtà di Orangeblood è più o meno quella in cui le Spice Girls erano semi-divinità e il Tamagotchi era la novità del momento.
Al largo di Okinawa, New Koza, un’isola artificiale metà esotica e metà sobborghi periferici malfamatissimi, è il teatro delle scorribande di Vannilla. Questa è una sboccatissima, irascibile e tostissima ragazza che in modo alquanto incomprensibile viene incastrata dalla CIA. La protagonista è quindi costretta a portare a termine varie missioni facendo le veci dell’agenzia federale americana.
A New Koza la ragazza riceve il primo incarico della sua sgangherata quest. Dovrà eliminare un boss della malavita locale. Per vie traverse Vanilla fa la conoscenza di Machiko, una ragazza esattamente come lei, fatta eccezione per i modi molto più garbati, dolci e sognanti. La ragazza è una giovane Dj del posto e, con la scusa della musica, Vanilla riesce a far infiltrare Machiko e lei stessa nel locale gestito dal boss ed eliminare quest’ultimo. Se così ad occhio tutto questo vi sa un po’ di B-movie ci avete visto giusto.
Non vi anticipiamo nulla del seguito della storia, non tanto per evitare di rovinarvi quel poco di effetto sorpresa, quanto piuttosto perché sarebbe realmente arduo tentare di ricostruirla tanto è pasticciata la stessa. Tra una peripezia e l’altra, infatti, vi capiterà fin troppo spesso di smarrire l’orientamento narrativo nell’enorme pandemonio sceneggiato da Grayfax. Prima si va da una parte, poi dall’altra e poi da un’altra ancora chiedendosi tutte le volte perché.
Complice di questa bolgia i dialoghi che a sprazzi sfiorano un’incomprensibilità quasi arcana. Per una sorta di capriccio creativo, infatti, la software house ha deciso infatti di caratterizzare il linguaggio dei personaggi con una surreale quantità di gergo da strada, improperi, turpiloqui, battute nonsense, freddure e quant’altro. Ciò, come unica conseguenza, ha quella di far affogare il filo logico-narrativo della vicenda.
Per godervi tutto questo marasma avrete a disposizione solo il cinese semplificato, il giapponese o l’inglese. Insomma, possiamo garantirvi che stare dietro alla storia di Orangeblood non sarà uno scherzo. Unica cosa vagamente passabile la caratterizzazione dei personaggi. Vanilla e Machiko insieme funzionano discretamente e gli sviluppatori sono riusciti in qualche modo a far arrivare la loro personalità. La recensione prosegue con gli elementi di gameplay di Orangeblood.
Mi è sembrato di vedere un j-rpg – Recensione Orangeblood: pasticcio alla giapponese
Sul piano del gameplay non si segnalano sorprese degne di nota. Se sapete come funzionano gli rpg a turni allora saprete automaticamente come funziona Orangeblood. Essenzialmente i personaggi del vostro party si muoveranno nell’overworld di New Koza. In alcune zone della città, a mo’ di dungeon, vi imbatterete negli sprite dei nemici. Una volta che vi avranno intravisti, i villain vi si fionderanno puntualmente contro. Si passerà quindi dall’overworld alla schermata di battaglia (esatto, come in Pokémon, Dragon Quest, Shin Megami Tensei, Chrono Trigger e chi più ne ha più ne metta).
In battaglia, durante il vostro turno potrete decidere se attaccare, usare un’abilità o tornare all’overworld. L’unica variazione sul tema, in questo caso, sta nel fatto che i vostri personaggi per combattere useranno sempre armi da fuoco. Ciò implica che i vostri colpi saranno limitati in base al numero di munizioni che avete a disposizione. Alcuni turni, pertanto, dovrete passarli a ricaricare le armi se non vi attira l’idea della schermata game over. Le abilità consistono in colpi a ripetizione fin troppo letali o vari buff.
Il problema principale con questo tipo di impostazione sta nel fatto che negli scontri solo raramente sarà necessario pianificare in modo oculato le varie mosse. Il più delle volte i villain sono semplici vittime sacrificali utili solo a farvi livellare. I boss, al contrario, sono insidiosi solo in virtù del fatto che hanno un livello alto e non perché in grado di attuare strategie di attacco particolari. Va da sé che l’esperienza di gioco sfocerà il più delle volte in un grinding compassato e tedioso. Unico punto a favore, gli scontri in genere sono rapidi, 2 o 3 turni in media.
Tale impianto di gioco è oltretutto minato da scelte di programmazione scellerate. La gestione della meccanica della fuga dagli scontri, ad esempio, è incomprensibile. Vi capiterà di interrompere uno scontro e tornare all’overworld. Tornando in quest’ultimo ritroverete per magia il villain che pensavate di esservi appena levati di torno. Questo vi si lancerà di nuovo contro reinnescando la battaglia e così all’infinito in un loop diabolico. Vediamo ora alcuni aspetti collaterali di gameplay nelle prossime righe di questa recensione di Orangeblood.
Attendere, prego – Recensione Orangeblood: pasticcio alla giapponese
Abbiamo nominato nel corso di questa recensione l’overworld di Orangeblood che fa da contorno alle varie sparatorie turnistiche. Tale overworld necessita di un’ulteriore disamina. Il modo in cui questo mondo di gioco è gestito rappresenta un impedimento alla godibilità generale del titolo.
L’overworld, in tutta la sua confusione stipata di piani disposti uno sopra l’altro, risulta decisamente ostico da decifrare all’occhio. I personaggi si muovono infatti per stradine e cunicoli estremamente contorti. Spessissimo la visuale su di loro vi sarà coperta da qualche altra strada posta in sovrapposizione. Insomma, ciò che vogliamo dire è che il mondo di gioco ci è parso veramente poco compatibile con la visuale a volo d’uccello e l’ottica 2D con cui il titolo è concepito. I minuti personaggi sfuggiranno spesso al vostro sguardo nascosti da tutto il groviglio di insegne e cartelli che affollano New Koza.
Qualche parola anche sulla programmazione. Un particolare tipo di inghippo sarà pronto a compromettere la vostra esperienza di gioco. Muovendovi negli inventari di gioco o passando da una zona all’altra dell’overworld, si innescheranno dei brevissimi freeze del gioco. Come se l’engine dovesse prendersi qualche istante per caricare. In breve tutto diventerà pause e silenzi manco fosse un concerto del Molleggiato. Si tratta, anche in questo caso, di un inconveniente imputabile ad una programmazione oltremodo deludente.
Incubo a 16 bit – Recensione Orangeblood: pasticcio alla giapponese
La dimensione tecnica in cui si muove Orangeblood è quella di un retro rpg. Si cerca di emulare l’appeal estetico della grafica dell’epoca dei vari Super Nes, Mame e Neo Geo e di tante altre piattaforme che hanno fatto la fortuna del 2D. Anche qui la premessa è buona e giusta, ma i risultati sono altalenanti. La parte migliore il titolo la mostra negli sprite che compaiono nei dialoghi e nella schermata principale di gioco. Qui i personaggi sono disegnati in modo apprezzabile con il più classico degli approcci estetici da anime. Per rimarcare ancora ulteriormente la parvenza retrò, le figure, in questi frangenti, appaiono addirittura delineate con i contorni sgranati. Quasi a simulare una bassissima risoluzione.
L’overworld, l’abbiamo detto, è decisamente ingombro di particolari. Anche questi sono realizzati in modo soddisfacente. L’interno dei vari dungeon e di tanti ambienti, tuttavia, è spoglio e veramente trascurato. Terribile è poi la schermata di battaglia e gli sprite super deformed dei personaggi. Tutto è veramente dimesso, superficiale e stilizzato malamente. Come se non bastasse, in alcuni frangenti specifici, il gioco applicherà dei filtri viola o arancioni all’intero overworld. Si tratta di scelte veramente maldestre che non fanno che aumentare l’impressione di trovarsi sospesi in un incubo a 16 bit.
Il comparto audio, nonostante ci fossero le prerogative per ricreare musicalmente l’atmosfera dance da anni 90, non riesce nell’intento. Motivetti tediosi e seriali a profusione saranno la colonna sonora della vostre frustranti sessioni di gioco. Vediamo ora di accennare una breve conclusione per questa recensione di Orangeblood.
Senza capo né coda
Possiamo tranquillamente ricollegarci al discorso fatto in apertura. L’idea di Orangeblood sembrava buona. Si voleva proporre un rpg a turni ambientato in un futuristico passato alternativo in cui delle ragazze lottano contro una pseudo-Yakuza. C’era l’opportunità di cogliere lo spirito degli anni ’90 e riproporlo in maniera fresca e divertente ai giocatori di oggi. Il concept, sfortunatamente, si è tramutato in un titolo praticamente indecifrabile. A tradurre l’idea in gioco ci hanno pensato varie scelte infelicissime di programmazione.
L’unico vero signore di New Koza sembra essere il caos che domina nella produzione. Il titolo è confusionario, dalla trama, ai dialoghi, all’overworld. Il gameplay a turni è proposto in modo tedioso e privo di reale profondità. Troppo tremendamente simile alla massa informe di jrpg che si sforzano di eguagliare i risultati dei titoli che hanno fatto la fortuna del genere. A nulla vale l’introduzione della meccanica di ricarica dei proiettili. Stando così le cose, non possiamo far altro che sconsigliarvelo.
Vi ringraziamo per aver dedicato tempo alla lettura di questa recensione su Orangeblood. Restate sintonizzati su tuttoteK per tutte le notizie e le curiosità dal mondo del gaming e non solo.
Punti a favore
- Caratterizzazione discreta dei personaggi
- Qualche componente grafica è di buon livello
Punti a sfavore
- Narrativamente da incubo
- Dialoghi ai limiti dell'arcano
- Scontri tediosi e privi di profondità
- Overworld dispersivo
- Meccanica di fuga incomprensibile
- Piccoli freeze sistematici
- Visivamente dimesso in molti frangenti
- Componente audio deludente
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