È finalmente giunto il momento di tornare a Hyrule, nella nostra recensione di The Legend of Zelda: Tears of the Kingdom. Sarà un capolavoro?
Spesso e volentieri chi vi sta scrivendo ha aperto una sua recensione con una sensazione di irrealtà, ma mai come con The Legend of Zelda: Tears of the Kingdom essa è tangibile anche dal lettore. Non potremmo certo darvi torto se fosse questo il caso: certo, si tratta comunque di una delle IP di maggior spicco mai partorite dalla Grande N ma, mentre Mario si è sempre rivelato assai prolifico, quando il grande pubblico torna a vestire i panni di Link è sempre un evento per l’intera community videoludica. Sì, nella sua interezza: i fan gioiscono per la possibilità di un capolavoro annunciato, e i detrattori si divertono a sminuirlo.
In questo tirare l’acqua al proprio mulino, nonostante l’autentico plebiscito visto con la stampa di settore straniera, c’è chi ha parlato di “Elden Ring lite”. Per nulla togliere al magnum opus di Hidetaka Miyazaki e George R. R. Martin, però, questo confronto è semplicemente risibile. La vera domanda è: con le aspettative settate dal predecessore, Breath of the Wild, come si può annunciare un sequel definendolo semplicemente “il seguito di BOTW” all’E3 2019? Svelare Banjo e Kazooie in Super Smash Bros. Ultimate sarebbe stata una conclusione più che sufficiente, ma non per Nintendo. Sarebbero seguiti anni di hype astronomico, con il team di Eiji Aonuma che si tuffava nell’occhio del ciclone.
C’è “quando” e “quando” | Recensione The Legend of Zelda: Tears of the Kingdom
Siamo passati da chiederci quando avremmo visto il titolo definitivo, dopo anni di “Breath of the Wild 2”, a quando avremmo saputo la data di uscita, fino ad oggi, in fase di recensione, mentre cerchiamo di capire “quando” è ambientato The Legend of Zelda: Tears of the Kingdom. La trama, evitando spoiler beceri sia sul gioco che sul predecessore, parte con Link e Zelda intenti a esplorare un misterioso sotterraneo. Una volta risvegliato il male antico intravisto nel primissimo teaser, Link si ritrova al punto di partenza con abiti, equipaggiamento e abilità, sperduto su un’isola in cielo, con la principessa sperduta chissà dove.
Le implicazioni per il resto della linea temporale sono quanto mai nebulose. La ricca lore della serie riceve un tassello importante nei primi minuti di gioco, quando Zelda definisce gli eventi di un antico affresco come la “Guerra dell’Esilio”. Siccome i dialoghi in inglese parlano invece di Guerra dell’Imprigionamento, è naturale supporre che gli eventi nel passato remoto di Breath of the Wild siano la backstory di A Link to The Past, nonostante il vaso di Pandora che si va ad aprire. Gli Zora sono tornati ad essere umanoidi di punto in bianco? A queste domande non c’è risposta, ma le rivelazioni di fine gioco sono molto succose.
“Per quanto in un secondo tutto può cambiare / niente resta com’è” | Recensione The Legend of Zelda: Tears of the Kingdom
Un’altra critica mossa dai detrattori verso il gioco è quella di “DLC a prezzo pieno”. Le differenze tra la mappa di Hyrule attuale e quella del predecessore sono materia di discussione per i prossimi paragrafi, ma per quanto riguarda il gameplay le basi (enfasi su “basi”) sono rimaste le stesse. Ciò significa che, per fare un esempio, il Link della dilogia open world può combattere in modo analogo al resto della saga, espandendo però il proprio moveset esplorativo anche alla possibilità di saltare e, stamina (“Vigore”) permettendo, correre ed arrampicarsi. Naturalmente tornano anche gli effetti climatici (uno su tutti la pioggia che rende scivolose le pareti).
La luna rossa, poi, fa a sua volta capolino ogni tot giorni in-game per riportare in vita i mostri sconfitti dal giocatore, mettendo in risalto il loop di gameplay definito dalle armi distruttibili. Ancora una volta, dunque, occorre tenere sempre qualche spada, clava, alabarda, lancia o, nei casi peggiori, ramoscello di riserva nel proprio arsenale. Questo potrebbe far storcere il naso ai puristi della serie, ma se possiamo… spezzare una lancia per il gioco, le nuove abilità a disposizione del giocatore consentono di rendere meno invasivo l’impatto di opzioni offensive tanto fragili. Tutto uguale, dunque?
MacGyver fatti da parte, armeggiare è la mia arte | Recensione The Legend of Zelda: Tears of the Kingdom
Abbiamo dedicato una guida intera al Compositor, ma non abbiamo mai sviscerato a dovere questa meccanica dal punto di vista dello scrutinio. Fondere le armi in nostro possesso con un qualsiasi materiale presente a terra, in ogni momento, presenta spesso dei notevoli benefici a livello di gameplay. Il primo, se serve specificarlo, lo si nota già nel magico istante in cui fondiamo un ramo e un masso per creare un martello. Non sarà comunque la più resistente delle armi ottenibili, ma di sicuro il potenziale offensivo è un ottimo metodo per aggirare la fragilità dei singoli oggetti nelle prime ore di gioco.
In base a ciò che andiamo a fondere, poi, è possibile ottenere effetti inaspettati. Unire la cosiddetta Granclava a una sua simile, per fare un esempio, risulta in una gigantesca mazza a due mani con un bonus inatteso di resistenza. Applicare una banalissima stalattite a un bastone, invece, può risultare in una lancia congelante (che, per amor di realismo cinematografico secondo gli standard della Tripla A, rimane integra solo alle temperature più basse). Oppure, ancora, fondere l’occhio di un nemico alle proprie frecce per costruire proiettili guidati. Il potenziale è enorme e, nel caso cambiate idea, esistono anche metodi per preservare i componenti, come abbiamo visto nella guida.
“Su, su, più in alto!” | Recensione The Legend of Zelda: Tears of the Kingdom
Un altro potere introdotto nel tutorial è l’Ascensus, con il quale la rosa di opzioni esplorative si apre a vista d’occhio. Saltare verso un soffitto sufficientemente basso, creando così scorciatoie dapprima impensabili per templi e grotte, è sempre un’emozione unica (oltre ad essere quasi indispensabile in alcuni casi). Non solo: la verticalità vertiginosa del level design, come vedremo più avanti parlando delle Isole Celesti, dimostra spesso di essere stata concepita con questo potere in mente. Certe scalate richiedono infatti un utilizzo quasi smodato della nuova abilità, portando il giocatore a pensare spesso fuori dagli schemi.
Ci sono occasioni in cui il level design in questione ci fa però capire di dover fare le cose in un certo ordine. Chiariamoci: non si tratta certo della linearità menzognera di Pokémon Scarlatto e Violetto. Contrariamente a quei giochi, qui abbiamo di fronte un titolo ben più aperto al sequence breaking, come dimostrano i primi speedrunner passati dal risveglio di Link al boss finale in un’ora e mezza. Però, per fare un esempio, le Torri Topografiche (sostitute delle Torri Sheikah viste nel predecessore) spesso e volentieri sono chiuse o inagibili, portandoci a posticipare un’apertura prematura di una certa sezione della mappa.
“Ma il treno dei desideri / nei miei pensieri all’incontrario va” | Recensione The Legend of Zelda: Tears of the Kingdom
Il contrasto tra il regno di Hyrule e l’arcipelago di Isole Celesti al di sopra di esso strizza l’occhio ai fan che hanno amato Skyward Sword tempo addietro, ma al posto del Solcanubi abbiamo un approccio diametralmente opposto: quello del Reverto. Quest’abilità riavvolge il tempo per qualsiasi oggetto non sia in qualche modo ancorato al suolo. Il suo utilizzo più palese è quello di trasformare i detriti caduti dal cielo in ascensori per raggiungere i punti della mappa da cui sono caduti, ma come dimostra l’enigma introduttivo per questo potere esistono anche altri utilizzi. Come abbiamo detto, occorre pensare davvero fuori dagli schemi stavolta.
Potreste aver intuito un pattern: ebbene sì, le Isole Celesti non si limitano alla sola area del tutorial. Si tratta di qualcosa di molto più grande, di pari passo con la maggiore ambizione del titolo. Mentre Breath of the Wild si “limitava” a fornirci più opzioni per giocherellare con la fisica degli oggetti, come si è visto con lo Stasys per fare un esempio a caso, Tears of the Kingdom sfida apertamente la nostra immaginazione come un novello Scribblenauts. E c’è una sorta di poesia nel vedere che, in modo analogo, dopo aver immaginato l’Isola Celeste delle Origini come un’area aggiuntiva, un po’ di osservazione ci porta a capire che il sequel eclissa il predecessore al punto tale da farlo sembrare incompleto.
Tanto tempo fa, in una galassia lontana lontana | Recensione The Legend of Zelda: Tears of the Kingdom
Visto che nella nostra introduzione abbiamo alluso al duo di Rare, l’abilità Ultramano sembra aver riaperto il caso di Banjo-Kazooie: Viti e Bulloni per Xbox 360, vista la meccanica in comune tra i giochi in fatto di costruzioni folli. Scopriamo ben presto durante il tutorial che è possibile incollare tra loro più oggetti, per poi venire messi di fronte al potenziale di mobilità degli stessi. Certo, alcuni scenari come il sacrario di Runakita mostrano anche l’occasionale eccesso di zelo da parte del team di sviluppo. Ma il potenziale di questo potere è veramente sconfinato. Se ne volete una prova, fatevi un giro su YouTube.
Inizialmente l’elevata versatilità dell’Ultramano rema contro l’intuitività del tutto, ma ben presto lo sfruttamento dell’abilità si lega a doppio filo con l’esplorazione di Hyrule, sia nei cieli che, come vedremo tra poco, sottoterra. Una volta ottenuti tutti i poteri, ben presto nel menù a rotella fanno capolino degli spazi vuoti da riempire: uno di questi è un potere complementare all’Ultramano, che ne apre definitivamente le metaforiche ali. I congegni degli Zonau hanno un potenziale illimitato: imparare a sfruttarlo rende lo scotto da pagare, ovvero una barra della stamina separata, praticamente irrisorio.
Ma il cielo è sempre più blu | Recensione The Legend of Zelda: Tears of the Kingdom
Sebbene i collegamenti tra loro siano meno numerosi dei viaggi di andata e ritorno verso Hyrule, ci sono abbastanza Isole Celesti da permetterci di definire il Cielo un vero e proprio open world a parte. Naturalmente ci sono anche alcune Isole più grandi di altre, è vero, ma imparare a conoscere l’arcipelago aereo si dimostra vitale non appena i primi utilizzi del Reverto ci portano anche a scovare dei sacrari sospesi in aria. Oltre a loro, naturalmente, non mancano nemmeno i punti di interesse dove partecipare a sfide secondarie, fare scorta di provviste e molto, molto altro ancora.
È qui, inoltre, che trova maggiormente posto il focus più esteso sulla civiltà Zonau, alla quale il caro vecchio Breath of the Wild aveva alluso solo vagamente. Mentre i golem ostili abbondano, ce ne sono anche molti altri intenti ad operare come benevoli NPC. Questi ultimi spaziano da dispensatori di consigli a punto di accesso per le sfide menzionate poco fa, passando per chi ci aiuta fornendoci oggetti utili come i semi luminosi per esplorare le grotte. E nel caso qualcuno sia ancora convinto di una descrizione delirante come il “DLC a prezzo pieno”, sentitevi liberi di proseguire nella lettura.
Sotto sotto, il Sottosuolo sa di Souls | Recensione The Legend of Zelda: Tears of the Kingdom
Immaginate, per un istante, di essere convinti che il titolo presenti “solo” due open world separati, per poi scoprirne un terzo. Già, nemmeno noi capiamo come mai Nintendo abbia preferito giocare a carte coperte fino al day one, ma a quanto pare il marketing ha voluto tacere interamente sulla presenza del Sottosuolo. Una volta tornati ad Hyrule, scopriamo infatti che tramite i Baratri è possibile accedere a un intero mondo sotterraneo. E contrariamente ai Grandi Sotterranei di Pokémon Diamante Lucente e Perla Splendente, abbiamo a che vedere con un vero mondo a parte, proporzionato alla mappa di superficie e come tale ad essa connesso in più punti.
Nel Sottosuolo, il Miasma (sostituto del Rancore visto nel gioco precedente) che ha causato la corrosione delle armi è decisamente più presente. L’esplorazione segue regole diverse, in cui le Radici svolgono il medesimo ruolo delle Torri, ma l’apertura della mappa che ne consegue è ben più vitale per un motivo: sottoterra è buio pesto. Consumare i Semi Luminosi e andare a tentoni non conviene, specie se si rimane in contatto con il Miasma troppo a lungo subendo una diminuzione della salute massima simile alle maledizioni della serie Dark Souls. Anche l’atmosfera, a ben pensarci, ci si avvicina vertiginosamente.
La solita vecchia Hyrule? | Recensione The Legend of Zelda: Tears of the Kingdom
No. No, non diremmo. Il ritorno di Hyrule, la cui mappa ora viene chiamata semplicemente come “Superficie”, mostra che sebbene il punto in cui si trovano molte location sia rimasto uguale, lo stesso non si può dire dei suoi abitanti. La ricostruzione voluta dalla stessa Zelda sta procedendo, e i popoli di Hyrule stanno guardando avanti. Torna sicuramente comoda la somiglianza con il mondo di gioco precedente (specie con gli Stallaggi, grazie ai quali non tutti i progressi di Link vengono gettati al vento con il reset delle sue abilità), ma non si tratta di allori sui quali appoggiarsi a priori.
Il clan degli Yiga, per fare un esempio, fa il suo irritante ritorno dopo aver reso inagibile il centro di ricerca Sheikah nelle terre di Akkala. Mentre i poco di buono trovano il modo di prosperare, però, ci sono altri insediamenti che si sono evoluti. Il Villaggio Finterra, per dire, dall’essere il luogo che ospitava la “casa di Link” e la tintoria, ora ospita invece una scuola e lo studio di un’eccentrica stilista. Il progresso più emblematico resta però quello del Villaggio Daccapo: il melting pot etnico messo insieme da Link nell’avventura precedente è rimasto lo stesso, ma nelle immediate vicinanze è prevista un’espansione a cura del team edilizio di Miceda per riproporre la stessa esperienza in questa “vecchia ma nuova” Hyrule.
L’ingegno e gli enigmi che lo sfidano sono sacri | Recensione The Legend of Zelda: Tears of the Kingdom
Naturalmente tornano a svolgere un ruolo centrale anche i Sacrari. Oltre ad essere un ottimo punto di riferimento per il viaggio rapido, questi mini-dungeon propongono un paio di enigmi alla volta. La scelta di level design consente naturalmente di sparpagliare i vari puzzle che hanno reso nota la serie in giro per la mappa. Con uno sguardo analitico alle scelte di design su cui si regge l’esperienza, il tutto ha improvvisamente senso: anziché puntare solo sulle differenti armi, numerose ma fragili, conviene piuttosto creare più enigmi rapidi incentrati sulle abilità, minori ma affidabili e durature.
E di Sacrari ce ne sono, ancora una volta, davvero tanti. Completandone quattro è possibile recarsi presso le statue della dea Hylia come nel predecessore, ma stanare questi punti si è fatto molto più impegnativo per chiunque si aspettasse la stessa passeggiata già vista in Breath of the Wild. Oltre ad essercene anche in Cielo come abbiamo già accennato, alcuni di quelli che si trovano vanno prima sbloccati con un enigma a parte. Tuttavia, fortunatamente, raggiungere l’ingresso di uno di essi contribuisce ugualmente allo sblocco del punto di teletrasporto per il viaggio rapido, aprendo le opzioni esplorative laddove non può farlo la chiusura di una Torre.
Ping my ride | Recensione The Legend of Zelda: Tears of the Kingdom
Le quest (ufficialmente chiamate “Sfide”) si dividono in due tipi. Quelle più importanti ovviamente sono le Sfide principali, in quanto portano apertamente avanti i punti vitali della trama. La tavoletta Sheikah, ora ribattezzata tavoletta di Pruna, presenta una gestione più dettagliata di tutte le varie sfide, permettendo al giocatore di tenere d’occhio sia le principali che quelle dedicate agli aspetti più “frivoli” e mondani di Hyrule. Le Sfide secondarie spaziano dalla compravendita di voti in un’elezione cittadina al neonato concetto di giornalismo in un regno dove l’elemento fantasy sta via via cedendo il posto al progresso.
I menù interni alla tavoletta, che includono anche ottimi promemoria sui personaggi più importanti, rappresentano un compromesso eccellente tra un open world a tutti gli effetti triplicato e una lista di impegni che si amplia man mano che si esplora Hyrule. Ne abbiamo la prova lampante con il sistema di puntatori, grazie al quale seguire una quest specifica ci informa subito dei punti da raggiungere. O tentare di raggiungere, nel caso la nostra inadeguatezza per il viaggio si metta di mezzo. Se poi volete mettervi le mani nei capelli per la mole di cose da fare, il primo accesso al Sottosuolo sblocca la fotocamera con cui riempire il Compendio di Hyrule!
Templi senza tempo | Recensione The Legend of Zelda: Tears of the Kingdom
Dopo gli antichi macchinari a forma di animale che abbiamo esplorato in Breath of the Wild, qui fa ritorno anche il concetto di dungeon principale. Ribattezzato Tempio (dopo anni di “Santuario” nelle traduzioni italiane, sebbene quello del Tempo rimanga tale), questo tipo di location fa capolino in quattro diverse incarnazioni legate a uno specifico elemento, con una speciale meccanica atta a contraddistinguerle. Nella transizione dal predecessore al sequel, a non tornare sono anche le varie meccaniche come la resurrezione di Mipha, sbloccate in seguito ai vari dungeon. Non è per forza un male.
Donare al giocatore tanti poteri, se non altro, col senno di poi denota una sorta di ammissione di inesperienza in fatto di open world, per lo più con una fisica mai vista prima di Breath of the Wild. In questo gioco, in compenso, Eiji Aonuma e i suoi hanno decisamente tolto i guanti, in favore di un aiuto utilizzabile esclusivamente prima di aver concluso un dungeon. Per ogni differente etnia corrispondente ad ogni Tempio, raggiungerlo seguendo la trama ci permetterà di combattere al suo fianco, godendo dei suoi poteri. Il rampollo dei Rito, il giovane Tulin, è il primo che Pruna ci consiglia di raggiungere, e ben presto il suo turbine si dimostra essenziale per raggiungere in planata l’altissimo Tempio del Vento.
Nulla per cui aggrottare le sopracciglia, ci pare | Recensione The Legend of Zelda: Tears of the Kingdom
A fare ritorno dai precedenti capitoli di The Legend of Zelda sono le grotte, la cui assenza è passata quasi inosservata in Breath of the Wild. Ora invece le caverne sono parte integrante di quasi ogni anfratto dell’immensa Hyrule. La giustificazione in-game per la loro ricomparsa è il risveglio della mummia al di sotto del castello a inizio gioco, ma in realtà è solo l’ennesima dimostrazione delle ossa che il team di sviluppo si è fatto dal 2017 ad oggi. Chiaramente nulla impedisce al giocatore di cambiare idea con Ascensus se la situazione dovesse farsi troppo claustrofobica, ma nelle caverne trovano posto anche materiali inottenibili altrove, tra cui pietre preziose vendute a caro prezzo.
Similarmente, in alcuni luoghi come Stallaggi e centri abitati trovano posto dei pozzi. Questi ultimi offrono l’accesso a dungeon minori più incentrati sull’esplorazione e l’azione, rispetto all’enfasi sui puzzle nei Sacrari. Non sempre si tratta per forza di luoghi dalla rapida esplorazione; talvolta si riconnettono a sotterranei molto più grandi. Altre volte, invece, l’utilizzo dell’Ascensus va di pari passo con il design di un pozzo, come ad esempio nel Villaggio Finterra per placare i sospetti della moglie del candidato sindaco Xaiosh. Questi sono gli elevatissimi standard di cura che potete aspettarvi dal level design in ogni punto del gioco.
L’altra meccanica di crafting (e la meccanica più… meccanica) | Recensione The Legend of Zelda: Tears of the Kingdom
Naturalmente non manca nemmeno la dinamica legata alla cucina degli ingredienti, anzi. Si può dire che sia stata ampliata, vista la presenza di nuovi elementi da coinvolgere nella meccanica. I vari calderoni, disponibili presso i fuochi da campo con cui bivaccare (e improvvisabili in qualsiasi punto della mappa con i giusti oggetti), consentono di creare piatti ricchi di sostanze nutritive con cui riempire la propria salute in modo molto più efficiente rispetto alla consumazione dei singoli ingredienti. Stavolta, però, per ogni elemento culinario è possibile consultare le diverse ricette che ne fanno uso tra quelle già cucinate.
E poi ci sono i congegni Zonau. Il gioco offre a più riprese dei nuclei di energia con cui crearne alcuni che rimangono nel nostro inventario fino al momento in cui li si estraggono, dopo il quale non si potranno più ritirare. I punti dove entrano in gioco i suddetti nuclei operano come dei distributori gachapon, nei quali è possibile ottenere fino a quattro tipi di congegni. Questi ultimi, in tandem con Ultramano, si rivelano essenziali per la creazione di veicoli che sta ancora facendo furore tra i fan, dalle “semplici” automobili fino ai più improbabili ed incredibilmente elaborati velivoli.
Un mondo per il quale combattere | Recensione The Legend of Zelda: Tears of the Kingdom
Gli scontri con i boss sono preannunciati dalla comparsa della loro barra della vita, che come in Breath of the Wild rappresenta un serio rischio per le coronarie di chi gioca. Preferiremmo non rovinarvi troppe sorprese, ma un paio di cose ve le possiamo anche anticipare. Ci sono punti dell’avventura in cui più nemici di alto calibro condividono la medesima barra della salute. A noi è capitato di affrontare inavvertitamente il boss “Orda di mostri” alla palizzata da oltrepassare per accedere al Villaggio Finterra, ma una volta appreso di non essere all’altezza ci siamo limitati a scavalcare il muraglione con una scala di legno improvvisata con l’Ultramano. Il gioco si fa amare anche quando ci costringe a “smontarlo”.
Di un boss, però, ci sentiamo di poter parlare apertamente e questo è il Golemax. L’Isola Celeste delle Origini presenta questa creatura composta da cubi, molto rappresentativa dell’intento del gioco: mettere alla prova il nostro ingegno. Dal punto debole che cambia posizione alle diverse formazioni d’attacco, il Golemax si trova a cavallo della linea di confine tra azione e risoluzione di enigmi. Non è un equilibrio facile da raggiungere, al di fuori dello stato di assoluta grazia visto in A Link Between Worlds su 3DS (a sua volta apice dei titoli con visuale dall’alto, dove il problema non sussiste). Vedere un matrimonio di successo tra le due cose in un gioco open world non è cosa da poco.
L’abito non fa il monaco, o forse sì | Recensione The Legend of Zelda: Tears of the Kingdom
Non sempre ricette (e pozioni, nel caso si usino ingredienti come ali di pipistrello) bastano a sopperire un bisogno più lungo, ed è qui che subentra nuovamente il vestiario di Link. I tempi delle tuniche colorate dei vecchi capitoli sono ormai passati, e anche rispetto a Breath of the Wild ci sono ancora più opzioni tra cui scegliere. Oltre agli abiti da scalatore e quelli per reggere il freddo fanno la loro comparsa pure i vari ed eventuali abiti aerodinamici per lo skydiving, le vesti per potersi arrampicare sulle pareti scivolose e molto, molto altro ancora. Insomma, è un capitolo ancora più aperto di prima.
Si tratta dunque del capitolo perfetto, dunque? Noi siamo al bacio accademico, ma conveniamo che la cosa possa non valere per tutti. In maniera opposta alle nostre recensioni in cui abbiamo alluso alla possibilità di alzare il voto da parte del lettore, qui vi diamo la libertà di decidere se dare più o meno importanza all’unico neo del gioco. La combinazione tra fisica e combinazioni di elementi con l’Ultramano, occasionalmente, fa calare il framerate. In modo “ingiocabile”, vi chiederete? No, non c’è nulla che “rompa” il gioco. Non impediamo a nessuno di avere un po’ di puzza sotto al naso, ma con un “problema” risolvibile non appena si bivacca (e che non ha mai causato morte da lag, nel caso) non c’è motivo di gridare allo scandalo.
Fonderia digitale | Recensione The Legend of Zelda: Tears of the Kingdom
Siamo alle battute finali! Entriamo in zona Cesarini con la valutazione tecnica del gioco, partendo dalla grafica. Lo stile artistico da dipinto, che già in Skyward Sword sposò i colori di The Wind Waker alle proporzioni realistiche di Twilight Princess, fa ancora una volta capolino. I colori sono meno vivaci rispetto ad altri esponenti della serie, ma la solennità del tutto conferisce ad ogni elemento di gioco un carisma mistico. Comprendiamo che ad alcuni giocatori (specie quelli che esulano dalla definizione di puristi della Grande N) il calo di framerate possa non andare giù, ma con tutte le variabili in gioco e l’aggiunta dell’Ultramano è un miracolo che i nostri Switch non prendano fuoco.
Persino il sonoro rappresenta un miglioramento netto sul predecessore. Le carezze al pianoforte conferivano a Breath of the Wild uno strano fascino etereo, che però spesso e volentieri rasentavano il minimalismo. Stavolta, invece, il Colosso di Kyoto ha deciso di sfruttare un po’ più degnamente l’orchestra a sua disposizione. In un caso più unico che raro (se non contiamo l’inatteso endgame di Kirby e la Terra Perduta), inoltre, il doppiaggio in italiano torna a far emergere il cuore pulsante del quadro d’insieme. Su altre piattaforme, produzioni Sony in primis, questa è usanza comune, ma lo slancio di coraggio da parte di Nintendo ci fa solo sognare come sarebbero altri giochi con voci in lingua dantesca.
Considerazioni conclusive
Appurato che non si tratti di un “DLC a prezzo pieno”, quanto “pieno” sarebbe il prezzo? Si parla di non meno di 70 euro: una scelta che Gary Bowser di Nintendo of America ha difeso definendo quella del costo una questione da decidere “caso per caso”. La capiamo con Breath of the Wild, con Super Smash Bros. Ultimate e la appoggiamo anche qui. Il piglio quasi tracotante con cui il primo avvio del gioco esordisce con un cinematografico “Nintendo presenta” su fondo nero è quasi un guanto di sfida verso il giocatore. Ma l’intenzione di valere ogni centesimo del prezzo richiesto diventa ben presto evidente.
Abbiamo concluso la micro-recensione di Breath of the Wild con una domanda: come invecchierà l’articolo con l’uscita di Tears of the Kingdom? Abbiamo parlato di un seguito capace di eclissare il predecessore e non mentivamo. Se dovessimo stilare di nuovo la classifica oggi, non solo il secondo capitolo prenderebbe il posto del suo antesignano, ma lo farebbe guadagnando una posizione. Se Nintendo Switch Sports era un cavallo di Troia per la seconda metà del ciclo vitale, qui troviamo un parallelismo con il primo Zelda open world. Il primo era il motivo per acquistare la console. Ora abbiamo una ragione per preferire all’apparenza del 4K la sostanza di un game design ben più solido delle armi che propone.
Questo era ciò che pensavamo noi. Voi però di che opinione siete? Ditecelo qui sotto, e come sempre non dimenticate di restare su tuttotek.it per tutte le notizie più importanti per i gamer e non solo. Per i vostri bisogni puramente videoludici, potete invece trovare i migliori sconti in formato digitale su Kinguin.
- Il seguito di The Legend of Zelda: Breath of the Wild
Punti a favore
- Al netto di qualche sbavatura, tecnicamente rasenta il miracoloso
- Innova un titolo già di per sé rivoluzionario
- Mette il mondo di gioco in mano al giocatore
- Reinterpreta i dogmi assenti nel predecessore
- Longevità anni luce oltre ogni parametro
- Musiche e doppiaggio migliorati ulteriormente
Punti a sfavore
- Nulla che intacchi negativamente l'esperienza
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