L’italianissimo team di sviluppo Village Bench ci sottopone al puro sadismo di Killer Chambers: ecco che ne pensiamo nella nostra recensione
È difficile condensare in una recensione il sapore agrodolce che Killer Chambers lascia sulle labbra. Probabilmente la punta di amaro viene dal fatto che il gioco vuole farci arricciare il naso. Questa ostilità aperta verso il giocatore, però, è tanto concepita bene quanto dosata male. Vogliamo essere chiari: c’è del talento dietro al titolo, ma il risultato finale gioca a carte coperte quanto basta da renderlo a malapena visibile. Fermateci se l’avete già sentita: è un indie che usa la pixel art, e pertanto con un tasso di sfida degno dell’età dell’oro degli sprite.
Quel che potreste non aver anticipato, invece, è che pur essendo solo in inglese il gioco viene da un team di sviluppo tutto italiano. I ragazzi di Village Bench hanno espressamente richiesto il nostro scrutinio, e non è con piacere che li abbiamo fatti attendere. Con ancor meno piacere, oltre ai pregi su cui il gioco ha voluto costruire le proprie fondamenta (e, per estensione, la sua identità), elencheremo anche i difetti che lo tengono saldamente ancorato a terra. Armiamoci di zucchero, dunque, e andiamo a sviscerare cos’ha in serbo per noi questo demoniaco dungeon.
Quando ti vesti come Hershel Layton, ma nel cuore resti Wario
La descrizione di Nintendo eShop per Killer Chambers ci mette di fronte a una trama semplice quanto basta per dare al gioco un tocco di personalità, che questa recensione non intende certo negargli. Il nostro scopo, nei panni del moralmente inetto (ma non troppo) Brave Lord, è quello di farsi strada nelle segrete del palazzo reale ed avere la meglio sulle trappole di Lord Grave. Questo è quanto ci serve sapere per poter proseguire nella nostra avventata esplorazione. Il resto della trama si dipana in un eterno e buffo scambio di battute tra il nostro “signore coraggioso” e lo “stregattesco” Lord Grave. Mentiremmo se dicessimo che i siparietti montati ad arte dal cast minimalista non ci hanno strappato un sorriso a più riprese.
Brave Lord, a discapito dell’eroico epiteto, resta comunque un amabile idiota nell’arco di tutti i dialoghi. Appena abbiamo l’occasione di mettere piede nel primo negozio, scopriamo che in realtà non si tratta di un emporio. È solo un appartamento in cui il sardonico negoziante espone i suoi oggetti più cari, che il protagonista si propone di comprare a prezzo rigonfiato. Nel mormorare tra sé che avere di fronte un imbecille come Brave Lord “è troppo bello per essere vero”, il goblin ci lascia andare per la nostra strada. Nel farlo per conto del gioco, il personaggio ci ha convinto che questo libro vanta una copertina quanto mai accattivante. Cosa si cela però tra le sue pagine?
“Come ti giri ti si chiudono le porte…” – Recensione Killer Chambers
La descrizione dell’eShop per Killer Chambers definisce il gioco un ibrido tra un platformer e un gioco di memoria. Tuttavia, nello scrivere questa recensione possiamo solo dissentire. Ci sono sporadici elementi di platforming, se vogliamo considerare tali le manovre che dovremo effettuare per evitare di morire rovinosamente. Il DNA da platformer, però, finisce lì. In realtà, il gioco vive perlopiù di pattern, come il tutorial non tarda ad insegnarci. Dobbiamo sopravvivere finché il tempo dettato dalla clessidra non scade, ma abbiamo dalla nostra – in via molto teorica – la possibilità di rinascere a piacimento.
La nostra contestualizzazione (“teorica”) viene dal fatto che mentre le vite di cui disponiamo sono infinite, morire non giova in alcun modo al nostro progresso. A meno che non siamo dotati di riflessi ai limiti del fulmineo, il gioco consiste in una lunga maratona di trial and error. Dobbiamo andare per tentativi, perché le frecce (sempre letali, al primo colpo) che partono dai muri ripetono gli stessi identici pattern. Questo contraddice la parvenza di platforming che la descrizione dell’eShop ha lasciato trasparire. Si tratta di uno dei tanti “però” che il game design di questo titolo gli vale il laconico ma descrittivo aggettivo, “contraddittorio”.
Tra garage a misura di Smart e mobili dell’Ikea – Recensione Killer Chambers
A strappare a Killer Chambers la sua pretesa di fingersi un platformer puro provvede il level design, che per accorciare la recensione definiremmo claustrofobico. In realtà, il nostro spazio di manovra consiste in semplici stanze, le “camere assassine” a cui allude il titolo. Non possiamo stare in un certo punto per più di pochi secondi, salvo quando il pattern lo richiede espressamente per disarcionarci. Sempre citando la scaletta della descrizione di Nintendo eShop, dovremmo apprezzare schemi di trappole concepiti per essere impegnativi il giusto e mai frustranti.
Il terzo ingrediente citato dalla descrizione, quello dei bullet hell, è presente più nel respiro che il gioco non ci concede rispetto alle meccaniche vere. Per chi non lo sapesse, un bullet hell è un gioco in cui l’alto numero di proiettili nemici contemporaneamente presenti su schermo viene bilanciato da una zona di vulnerabilità (hitbox) che corrisponde al centro del nostro avatar, anziché alla sua intera massa. Questo è vero solo in parte: dovremo rimanere abbassati e saltare per schivare i dardi più bassi negli spazi ristretti. Il nostro cappello è l’unico punto sacrificabile del nostro corpo, e per buona parte del primo mondo non siamo stati in grado di capire perché.
Cappelli come se piovesse, Team Fortress 2 style – Recensione Killer Chambers
Per amor di sincerità, lo diciamo sin da subito: se nella recensione di Killer Chambers vogliamo seguire punto per punto la descrizione dell’eShop, è perché verrà il momento in cui la “sbugiarderemo”. Per ora, concentriamoci su questa tappa: avremo a disposizione “12 cappelli in grado di dare poteri speciali”. A differenza del cilindro con cui iniziamo il gioco, ognuno dei copricapi disponibili nei negozi – a loro volta camere/livelli di ogni piano/mondo del castello/gioco – vanta un potere mirato a sopperire ad una scelta di game design, rendendolo più tollerabile.
Sbloccare dell’equipaggiamento, visto quanto il gioco ce lo farà sudare, è davvero un sollievo. Superare un livello normalmente ci ricompensa con una chiave, ovvero l’accesso alla stanza successiva; alzando il tiro con la difficoltà faremo nostre le monete con cui comprare gli strumenti; infine, il tasso di sfida più elevato ci ricompenserà con le gemme. Con queste ultime potremo ottenere i cappelli, i cui poteri speciali dipendono dalla nostra capacità di tenerli in testa. Visto lo spazio di manovra troppo proibitivo (spesso oggettivamente proibitivo) per indossarli a lungo, però, ogni (presunta) utilità della feature viene meno. Un gioco contraddittorio.
Che notte terribile per avere una maledizione – Recensione Killer Chambers
Siamo giunti al punto clou della recensione, ovvero la meccanica che per chi vi scrive abbassa da sola il punteggio totale di Killer Chambers di almeno un punto. La descrizione di Nintendo eShop menziona la necessità di “masochistica perseveranza” e di “buona memoria (muscolare)”, ma non spende una sola parola sulla dinamica delle maledizioni che getta queste due doti alle ortiche. In realtà, persino le vite hanno un limite: morendo un certo numero di volte (al di fuori del tutorial che introduce questa spiacevole sorpresa), si viene “maledetti”, in un modo che mira unicamente a farci dimenticare quanto abbiamo memorizzato del pattern di una certa stanza. Per farla breve, la barra della maledizione conta quante volte siamo morti.
Una volta riempita, questa ci obbliga a giocare un livello alternativo che va a sostituire completamente qualsiasi stanza del gioco, “offrendoci” un nuovo pattern da memorizzare. Non lo paragoneremmo a un game over, bensì a una sorta di antitesi dei checkpoint. Il gioco sospende il nostro progresso quanto più a lungo possibile, aggiungendo uno strato di troppo a una difficoltà altrimenti severa ma bilanciata più che decentemente. Dulcis in fundo, la barra della maledizione è cumulativa: superare un livello non la svuota. Esistono strumenti mirati a contrastarla, dopo il primo mondo, ma sono paragonabili ai Nonfarmicader per la barra Caduta di Kingdom Hearts 3D – Dream Drop Distance: se una meccanica è così odiosa da bilanciarla con gli strumenti, che senso ha includerla?
Pimp my trap – Recensione Killer Chambers
Sapendo di non poter ottemperare all’eccesso di zelo nella difficoltà old-school con la sola simpatia dei dialoghi, Killer Chambers non si limita alle sole stanze mortali. Le variazioni sul tema, sebbene sporadiche, ci sono: una sono gli scontri con i boss, e l’altra sono i cosiddetti corridoi. Per quanto concerne i boss, non c’è granché da aggiungere: sanciscono la fine di un mondo, come da tradizione, e nel loro caso dovremo fare maggiormente affidamento ai riflessi che, sempre citando la descrizione di Nintendo eShop, “non servono”. In linea di massima, dobbiamo evitare gli attacchi e attendere che i nostri aguzzini facciano il lavoro da soli, ricompensandoci anch’essi con gemme e monete.
I corridoi, dal canto loro, sono ciò che il loro nome implica: livelli di platforming vero e proprio, da punto A a punto B. Il problema di fondo è che, sebbene Lord Grave li definisca (con non poco compiacimento) le trappole più crudeli, in confronto a quello che abbiamo sopportato fino a quel punto superarli si rivela in realtà una autentica passeggiata. Un peccato, visto quanto si tratti di livelli molto più gradevoli, ma ogni analogia con gli stage run & gun di Cuphead va a farsi benedire se ricordiamo la vasta diversità di un contesto che vede questi ultimi come frutto di un lavoro sui fondali quasi logorante mentre la limitazione sui corridoi del castello è una mera scelta stilistica.
Considerazioni conclusive
La recensione di Killer Chambers volge al termine, ed è ora di sfoderare la temutissima pagella. Graficamente parlando, in realtà, c’è ben poco da eccepire: è vero, il tempo passato dopo l’avvento di Shovel Knight ha reso quella della pixel art una scelta facile, per non dire comoda, ma sarebbe disonesto non riconoscere il fascino della sua implementazione nel gioco. Ottimo il character design minimalista nei ritratti dei dialoghi (nonché la loro espressività), e l’ispirazione lovecraftiana dei livelli maledetti (estrapolata da quel becero contesto) vista anche nel logo del gioco è davvero da applausi. Buoni gli effetti di luce.
Il minimalismo emerge maggiormente nel caso del sonoro, che vede – per così dire – il silenzio regnare durante i livelli. Presumiamo che questa scelta sia mirata a favorire la concentrazione del giocatore nei confronti dei pattern da memorizzare, perché quando la musica si fa sentire emerge tutto il carattere dei compositori. La metafora più breve che ci sentiremmo di usare è quella di un rave party a 16 bit, con cui il gioco ci fa capire di essere nato da una visione ben precisa. I crampi alle mani all’ennesima scritta “CURSED!” la penseranno forse diversamente, ma le orecchie ringraziano per dei motivetti davvero orecchiabili (e per l’anteprima uditiva allo scocco delle frecce).
La longevità, purtroppo, casca nella solita trappola di ogni gioco “difficile come una volta, mica come oggi che i giochi ti tengono per mano”: il tasso di sfida smette di essere tale e degenera nel padding puro. La differenza, però, è che stavolta siamo in grado di vedere il punto esatto in cui il gioco mira esclusivamente ad allungare il brodo: le maledizioni. Paradossalmente, nel voler giustificare i nove euro che il gioco chiede al giocatore, Killer Chambers passa dal poterselo permettere al rendere più consigliabile un generoso sconto dal 50% in su. Credeteci: l’italianità del prodotto ci ha portato a morderci le nocche più volte in queste dolorosissime 2000 parole circa.
In generale, il gameplay cerca di prendere il concetto di trial and error e di indossare questo difetto come se fosse il suo fiore all’occhiello, con orgoglio, come Asura’s Wrath fece a suo tempo con i quick time event. Purtroppo, siamo di fronte davvero ad un gioco contraddittorio: le maledizioni si sposano male con i pattern perché mirano a farceli dimenticare, le vite infinite sono fondamentalmente inutili, gli spazi ristretti silurano subito la mascherata da platformer, e i cappelli servono a ben poco se cadono alla prima freccia. Questo gioco è uno studente brillante, ma che non si applica. Sei politico.
Questo era ciò che pensavamo noi. Voi però di che opinione siete? Ditecelo qui sotto, e come sempre non dimenticate di restare su tuttoteK per non perdervi alcuna novità dal mondo videoludico.
Punti a favore
- Un cast minimale ma carismatico
- Cura nei dialoghi evidente
- Un’idea di fondo più che valida
- Una presentazione retrò convincente
Punti a sfavore
- Un’offerta spesso contraddittoria
- Memorizzare un pattern serve solo una volta, la rigiocabilità è artificiale
- Vite infinite ed equipaggiamento si rivelano inutili
- Le maledizioni rovinano il ritmo dell’intera esperienza
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