Eccoci con la recensione di Death Stranding, un affare non semplice. Il primo lavoro del mostro sacro Hideo Kojima, lontano da Konami, è arrivato dopo una lunghissima serie di trailer e di notizie che tanto facevano intendere ma che nulla rilevavano mai veramente. Cosa ne pensiamo di questo videogioco? La risposta in questa recensione!
Death Stranding porta con sé un fardello importante. Dopo la grandissima saga di Metal Gear, finalmente una nuova IP dal famigerato game designer Hideo Kojima. Accontentare i videogiocatori non è mai stato semplice, ma in questo dato momento storico lo è ancor meno. Grandi produzioni, budget pressoché illimitati e una concorrenza spietata fanno sì che sbagliare non sia un’opzione. Come è andata questa volta?
Kojima ha creato in torno al suo titolo un alone di mistero, un’imperturbabile e tangibile senso di curiosità. Il tutto condito da nomi come quelli di Norman Reedus e Guillermo del Toro (fra gli altri) in grado di accrescere il valore della produzione già prima del lancio stesso.
Più di una volta si è detto che Death Stranding non sarebbe stato un gioco per tutti. In questo siamo d’accordo, Death Stranding è un gioco che non ha mezze misure, può essere amato oppure odiato, vediamo in quale maniera.
Una trama in puro stile Kojima | Recensione Death Stranding
Raccontarvi la trama di questo gioco significherebbe togliervi ogni voglia di giocare a questa produzione. Pertanto mi limiterò a darvi qualche nozione fondamentale sul mondo di gioco senza mai entrare troppo nel dettaglio.
Un mondo post apocalittico (che novità) ma diverso da qualsiasi altro. Non ci sono state esplosioni nucleari, il mondo non è costellato da creature necromorfi pronte a fagocitare ogni parte del vostro corpo. Il mondo però come lo conosciamo (oggi) non esiste più. Un avvenimento ben preciso ha unito il mondo dei morti a quello dei vivi. La morte, l’aldilà se preferite, non è più un’idea sviluppata dall’uomo per rispondere ad una domanda troppo difficile. Ora è tangibile, pericolosa e parte integrante della quotidianità.
I mezzi di trasporto, le grandi città, i centri abitati sono un bel ricordo spazzato via da una realtà fatta di lunghe distese pianeggianti, marine e montuose. L’unico modo per vivere un’esistenza tranquilla è riunirsi in piccole realtà fatte di poche decine di persone o poco più. La tecnologia ha fatto comunque passi da gigante in molti ambiti, ma in un certo senso si è tornati “indietro” in maniera netta e ineluttabile.
Il trasporto di beni di prima necessità avviene tramite “I Corrieri”. Persone che dedicano la loro vita a un lavoro ingrato pericoloso e alle volte mal visto. E questo sarà il nostro compito.
Sam, protagonista bene interpretato da Reedus (e badate bene, interpretato non è un termine scelto a caso) e nostro alter ego virtuale, è proprio questo: un corriere. Ovviamente non siamo uno qualsiasi di questi “trasportatori”, possediamo capacità innate, uniche, che ci permettono di percepire una gran quantità d’informazioni precluse ai più.
Segnato da un’infanzia difficile, il nostro Sam è una persona schiva e fiera che ha deciso di vivere come un reietto ai margini di una società che non lo rappresenta. Società che però ha bisogno di lui, e delle sue capacità , per raggiungere un’unità ormai sempre più lontana.
L’unica possibilità che ha il popolo di sopravvivere è quella di unirsi (nuovamente) sotto un’unica bandiera. Il nostro viaggio, perché questo è Death Stranding, avrà come scopo ultimo il riunire un popolo e dargli speranza. Al contrario però degli eroi che siamo abituati a conoscere, non lo dovremmo fare imbracciando un’arma ma tenendo l’equilibrio passo dopo passo, chilogrammo dopo chilogrammo, consegna dopo consegna.
Un gameplay funzionale ma senza grandi pretese | Recensione Death Stranding
Come forse avrete intuito dalle parole precedenti, il gameplay di Death Stranding non è consono ai titoli a cui siamo abituati. Un po’ come successe per Life is Strange (perdonate l’azzardo), il gameplay diventa fruizione di un disegno più grande.
Il nostro Sam è un corriere, consegnare pacchetti di prima necessità o utili a convincere le persone a entrare a far parte di una realtà più grande è il nostro lavoro. Bilanciare il carico, disporre in maniera corretta la merce per non farla danneggiare e ottimizzare il nostro percorso, sarà il nostro scopo.
Ovviamente durante i nostri viaggi dal punto A al punto B, incorreremo in minacce di varia natura. Predoni ed entità sovrannaturali saranno i nostri nemici. Potremmo combattere i primi con scontri a mani nude, in modalità stealth oppure con qualche bocca da fuoco… Anche se la soluzione migliore resterà sempre quella di aggirare l’ostacolo (quando possibile).
Lo shooting non è di sicuro il piatto forte della produzione, come non entusiasmano neanche gli scontri con le entità extra terrene. Il tutto è (anche troppo) facilmente gestibile anche alle difficoltà più alte. Inoltre “l’immortalità” del nostro eroe facchino non aiuta nell’avvertire un reale senso di pericolo.
Solo nella seconda metà del videogioco gli scontri si fanno un po’ più interessanti, ma nel complesso risulta tutto poco appagante. Lo stesso dicasi per le boss fight, alcune molto ispirate e dotate di una potenza mediatica senza eguali e altre davvero poco efficaci.
Un colpo di genio salva il gameplay
Laddove il viaggio intermezzato da una colonna sonora imperdibile potrebbe risultare noioso a causa di combattimenti poco ispirati, ecco il colpo di genio. Il mondo di gioco collega in rete (giocando online) più giocatori dando la possibilità di vivere un’esperienza collettiva unica nel suo genere.
Per aiutarvi nel vostro viaggio infatti avrete la possibilità di utilizzare scale e corde da arrampicata oppure creare ponti o box postali (per citare solo alcuni dei mezzi messi a vostra disposizione). Oggetti che aiuteranno voi e gli altri giocatori nel vostro viaggio.
Una meccanica ben studiata, infatti tali oggetti saranno visibili solo dopo aver collegato quella parte di mappa. In questo modo la prima scoperta rimarrà una terra vergine e inesplorata per tutti in egual misura.
La preoccupazione che sorge spontanea è quella che troppe strutture potrebbero appesantire la vostra esperienza ma, in questo, ci viene in aiuto un’altra meccanica. Infatti oltre a essere un tassello fondamentale della trama, la “Cronopioggia” è parte integrante del gameplay stesso.
Questo evento climatico infatti fa invecchiare (o deteriorare se si parla di oggetti) tutto quello con cui viene a contatto. In questo modo una scala posata o un ponte costruito oggi, potrebbe non esistere più dopo qualche giorno di rovesci.
Un comparto tecnico da brivido | Recensione Death Stranding
Il comparto tecnico di Death Stranding è semplicemente inattaccabile. Il motion capture utilizzato per la creazione delle versioni digitali dei protagonisti è impressionante. I volti sono costellati di dettagli unici e precisi. Ogni imperfezione, ogni ruga d’espressione, ogni neo… trasmette un senso di completezza senza paragoni.
La versione da noi giocata su PlayStation 4 Pro è praticamente ineguagliabile nell’emisfero console e tiene banco, senza troppa fatica, a videogiochi riprodotti su PC di ultima generazione. Ovviamente, per far sì che la qualità generale rimanesse altissima, sono stati usati escamotage come la visione di ologrammi per gli NPC secondari. Nulla però è in grado di eguagliare la qualità tecnica delle scene d’intermezzo di questa produzione.
La stessa qualità la avevamo riscontrata nella Recensione di Call of Duty Modern Warfare ma in maniera più ridotta in termini di area giocabile e quantità delle cutscene.
La rottura della quarta parete che avviene più di una volta (soprattutto nella stanza privata) è in grado di far accapponare la pelle. Tanto che la domanda che sorge spontanea è: siamo noi che stiamo giocando al videogioco oppure è il videogioco a giocare con noi?
Nessun calo nel frame rate, nessun bug riscontrato, un doppiaggio (anche nella versione italiana) magistrale, ci permettono di affermare che sotto questo aspetto siamo davanti a un titolo tecnicamente ineccepibile.
Chi dovrebbe acquistarlo? | Recensione Death Stranding
Questa produzione di Kojima, come avete potuto capire da quanto scritto in questa recensione, non è un titolo per tutti. Il gameplay ripetitivo potrebbe annoiare chi è alla ricerca d’azione e frenesia. Siamo ben lontani dai videogiochi della saga di Metal Gear.
Death Stranding è un viaggio accompagnato da una trama ricca, complessa e mai chiara fino in fondo. Un’odissea in grado di regalare emozioni contrastanti a più riprese. Il vero scopo del titolo è quello di offrire un’esperienza unica e diversa per ognuno, quasi introspettiva.
Se siete in grado di mettere da parte i preconcetti, godervi il percorso e non la meta… Questo è il titolo che fa per voi. Se al contrario cercate frenesia, velocità e una continua sfida, lungi da me consigliarvi questo titolo.
- Kojima, il padre della saga Metal Gear torna con un nuovo grande titolo - Gameplay innovativo caratterizzato da un’elevata qualità grafica
Punti a favore
- Un'esperienza unica
- Un comparto tecnico senza eguali
- Online innovativo
Punti a sfavore
- Un gameplay abusato
- Scarsa difficoltà
- Missioni troppo ripetitive
Lascia un commento